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Cosa insegna il caso dell’aeroporto di Antalya. Scrive Spartà

Di Francesco Spartà

Domenica scorsa un volo della compagnia israeliana El Al ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza in Turchia per evacuare un passeggero che necessitava di cure mediche. Ma, “in coerenza” con l’inasprimento delle relazioni tra i due Stati, il rifornimento è stato negato. Così, il velivolo è passato da Rodi

Letteralmente significa “politica della terra”, dal greco “Gè politiké”. Eppure, spesso la geopolitica si concepisce come qualcosa di “non comune”, che riguarda solo “i grandi”, le diplomazie o le forze militari, in ogni caso come lontano dalla vita quotidiana dei cittadini. Quest’idea continua a resistere ancor oggi, nonostante ormai si viva in un mondo totalmente interconnesso e globalizzato, in cui ogni singolo evento, politico e no, che si verifica in una qualsiasi parte del mondo, può essere in grado di avere rapidamente e facilmente effetti a catena in altre parti del pianeta. Prendiamo il conflitto a Gaza che sta cambiando la geopolitica del Medio Oriente e di conseguenza come da quest’ultima, con le sue continue mutazioni, si stiano generando effetti che, dal 7 ottobre, si stanno ripercuotendo su una larghissima fetta di popolazione mondiale. Si parla di geopolitica e non solo di guerra, perché il discorso, in termini di effetti, non è e non può essere circoscritto meramente al conflitto a Gaza, o a Israele e i palestinesi, in quanto coinvolge numerosi Paesi in differenti aree del mondo, dove ognuno a seconda delle proprie relazioni e delle proprie mosse può dare vita a nuovi conflitti e nuovi scenari di crisi internazionali. Lo abbiamo visto e lo stiamo tutt’ora vedendo con gli attacchi degli Houthi contro le navi mercantili occidentali passanti per lo stretto di Bab el-Mandeb, snodo cruciale a livello commerciale che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden e all’Oceano Indiano. Attacchi che hanno fatto aumentare i costi del trasporto marittimo, facendoli triplicare per la rotta tra Asia ed Europa e raddoppiare per quella tra l’Asia e la costa Est degli Stati Uniti, con molti armatori che per quella rotta hanno visto un forte aumento del costo delle assicurazioni e coinvolgendo, dunque, attori non direttamente coinvolti con il conflitto in corso.

Così come stanno generando effetti, seppur totalmente differenti, le operazioni dell’IDF all’interno della striscia di Gaza, dove ci sono un milione e mezzo di palestinesi rifugiati, e fuori, anche nel “nostro Occidente”, dove dal 7 ottobre, proteste, anche violente, nelle Ivy League e nelle più importanti università europee, hanno dato vita ad occupazioni e scontri, che ancor oggi vanno avanti dopo otto mesi di guerra, in protesta, appunto, all’operato di Tsahal.

Per non parlare, poi, dei boicottaggi subiti dai marchi ritenuti semplicemente “vicini” ad Israele: da Carrefour passando per Nestlé, sino ad arrivare alle americane McDonald’s, Starbucks e Coca Cola, con quest’ultima che in Turchia è stata addirittura rimossa dalle caffetterie del Parlamento.

E proprio in Turchia domenica 30 giugno si è verificato un altro evento figlio del conflitto di Gaza, del conseguente inasprimento delle relazioni tra Ankara e Tel Aviv, e quindi del mutamento della geopolitica in quell’area, e che ha coinvolto ancora una volta semplici cittadini, in un’area ancora una volta differente rispetto al luogo in cui si sta svolgendo il conflitto. Secondo una prima ricostruzione, l’aereo della compagnia israeliana El Al (volo LY5102), decollato dall’aeroporto Fryderyk Chopin di Varsavia, in Polonia, diretto verso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, era stato costretto a un atterraggio di emergenza all’aeroporto di Antalya, in Turchia, per evacuare un passeggero bisognoso di cure mediche. Il comandante ha quindi dirottato il velivolo verso l’aeroporto di Antalya, una località marittima situata nella parte meridionale della Turchia, dove ha effettuato un atterraggio di emergenza. Una volta atterrato ed effettuate le cure mediche – ha denunciato la compagnia aerea in una nota – i lavoratori dell’aeroporto si sono rifiutati di rifornire il carburante e il comandante è stato costretto a decollare verso l’aeroporto di Rodi, in Grecia, dove l’aereo è stato rifornito di carburante e successivamente è potuto ripartire verso Israele.

Fonti diplomatiche turche hanno confermato che all’aereo è stato consentito effettuare un atterraggio di emergenza per evacuare un passeggero malato, aggiungendo che per motivi umanitari doveva anche essere rifornito di carburante, ma quando la relativa procedura stava per essere completata, il capitano ha deciso di partire alla volta di Rodi di propria iniziativa. Secondo quanto, invece, riferito dai media israeliani, le autorità turche avrebbero assicurato al ministero degli Esteri che all’aereo sarebbe stato consentito di fare rifornimento, ma in realtà ciò non è avvenuto. L’aereo che stava consumando carburante sull’asfalto per mantenere in funzione l’aria condizionata è stato, dunque, costretto a dirigersi velocemente verso Rodi per fare rifornimento, prima che anche quel breve volo diventasse impossibile.

Questo evento si aggiunge al clima di grande tensione che sussiste tra Israele e la Turchia, dopo i fatti del 7 ottobre, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che, sin dai primi giorni del conflitto, ha sostenuto Hamas nella guerra e ha ospitato il suo leader Ismail Haniyeh a Istanbul. Inoltre, sin da subito dopo lo scoppio del conflitto, tutti i voli diretti tra i due Paesi erano e sono tutt’ora cancellati e dal 2 maggio Erdogan ha anche deciso di sospendere tutti gli scambi commerciali con Tel Aviv, sino a quando l’esercito israeliano non avrebbe posto fine all’invasione militare della Striscia di Gaza. Infatti, il leader turco, seppur con il solito pragmatismo che contraddistingue il suo approccio geopolitico che gli consente da vent’anni di perseguire gli interessi nazionali, sulla questione palestinese è stato sin da subito irremovibile, e queste sue fortissime prese di posizione hanno generato effetti in grado di influenzare pesantemente i rapporti tra i due Paesi e, al contempo, avere immediati riflessi sui rispettivi cittadini, come visto appunto dal caso dell’aereo El Al di domenica 30 giugno.

Quest’ultimo evento dimostra perché oggi la geopolitica, intersecandosi con diverse tematiche (dai conflitti in corso e quelli potenziali, dalla concorrenza economica all’innovazione tecnologica, fino alle questioni ambientali) riguarda sempre di più ormai tutta la popolazione mondiale, dal momento in cui, come abbiamo visto, un singolo evento, in quello stesso momento, può determinare dei cambiamenti epocali a milioni di persone, in differenti aree del mondo e sotto diversi punti di vista. Comprenderne lo sviluppo e la sua evoluzione, attraverso un approccio in grado di coinvolgere sempre più persone, e ponendo, dunque, fine alla concezione che troppo oggi ancor si ha della geopolitica, intesa spesso ad esempio come “un affare” che riguarda esclusivamente la diplomazia o le forze militari, potrà permettere di coglierne la totalità dei fattori, e non solo quelli apparenti, facilitando di conseguenza le possibili soluzioni dei problemi createsi tra i vari Paesi.  Obiettivo, questo, in un mondo ormai totalmente interconnesso e globalizzato, cruciale per la società di oggi, e soprattutto per quella di domani.


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