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Ecco che cosa racconta il caso Abel dell’intelligence di oggi

Di Roberto Toncig

Nato Willy Fisher, reso celebre dal film “Il ponte delle spie” di Spielberg. Uno dei grandi protagonisti della Guerra Fredda raccontato da Kirill Chenkin, amico e collaboratore di lunga data. Una storia che evidenzia le complessità nel valutare la sincerità dei defezionisti e nel distinguere tra asset reali e risorse infiltrate per disinformazione

“Il ponte delle spie”, il film di Steven Spielberg, ha introdotto al grande pubblico due protagonisti della Guerra Fredda: l’avvocato americano esperto in negoziazioni James B. Donovan e la leggendaria spia sovietica Rudolf Abel. Quest’ultimo emerge come un ufficiale silenzioso e tenace del servizio segreto sovietico, che sin dall’inizio della sua detenzione ha ammesso di essere un colonnello dell’intelligence moscovita, coinvolto, secondo l’FBI, nella raccolta di segreti nucleari negli Stati Uniti.

Il libro “Il cacciatore capovolto” di Kirill Chenkin (Adelphi edizioni) offre una prospettiva unica sul “caso Abel”, basata sulla sua lunga amicizia e collaborazione con Abel. Chenkin non si propone di scrivere né un’autobiografia né una biografia di Abel, ma piuttosto di raccogliere “annotazioni sulla vita” propria e di Abel. Attraverso questo lavoro, emerge una narrativa dettagliata sul lento cambiamento della società sovietica parallelo al consolidamento del nuovo regime, e sui percorsi personali, emotivi e politici dei personaggi, sia illustri che umili, che vivevano in questo contesto di disillusione e disincanto rispetto agli anni e alle contraddizioni della nuova ideologia. Il libro è scritto con semplicità, chiarezza e spesso con un umorismo cinico molto godibile.

Focalizzandosi sugli aspetti legati all’intelligence e alla figura di Abel, Chenkin rivela che Rudolf Abel era solo uno dei nomi di copertura utilizzati da William (Willy) Genrikovich Fisher, un ufficiale del servizio segreto sovietico di origine tedesca. Fisher, nato nel Regno Unito e cresciuto in URSS sotto la guida del padre, un attivista comunista, fu inviato negli Stati Uniti intorno al 1948. Rimase lì in silenzio per diversi anni, costruendosi una solida copertura e mantenendo contatti selezionati con i sopravvissuti alle purghe staliniane all’interno dei servizi di spionaggio. Secondo Chenkin, il compito iniziale di Fisher, assegnato personalmente da Vjačeslav Molotov, era quello di valutare lo stato delle reti spionistiche negli Stati Uniti e preparare il terreno per la loro ricostruzione a lungo termine.

Nel 1952, Fisher fu affiancato dal maggiore Reino Heyanen come suo vice e primo assistente. Tuttavia, Heyanen si rivelò problematico fin da subito: era noto per il suo comportamento problematico, che includeva il consumo eccessivo di alcol, un doppio matrimonio e gravi irregolarità amministrative. Nonostante le ripetute lamentele formali di Fisher al centro, Heyanen non fu rimosso dalle sue funzioni. Nel 1957, durante un transito a Parigi, Heyanen disertò e rivelò dettagli operativi cruciali, come l’uso delle monete cave per nascondere messaggi microfilm, che portarono all’arresto di Fisher alias Abel.

L’arresto di Fisher avvenne il 21 giugno 1957, quando ammise immediatamente di essere un ufficiale del servizio segreto sovietico. Questa auto-rivelazione fu un evento senza precedenti, dato che la prassi comune tra gli agenti sovietici era di negare qualsiasi legame con Mosca, sia prima che dopo il caso di Abel. Secondo la tesi di Chenkin, basata anche su lunghe conversazioni con Fisher, l’auto-rivelazione di Fisher come ufficiale sovietico potrebbe essere stata cruciale per la sua missione. Questo gesto avrebbe potuto rendere Fisher un’interessante risorsa per il controspionaggio americano, poiché avrebbe potuto confermare o smentire informazioni ottenute dai defezionisti o da altri individui connessi allo spionaggio sovietico. In particolare, Mosca avrebbe voluto sapere se Alexander Orlov, un defezionista di alto profilo, avesse mantenuto i suoi patti segreti con il Kgb.

Un indizio indiretto della tesi di Chenkin proviene dalle memorie di Oleg Kalugin, un ex alto ufficiale del Kgb che si è esiliato negli Stati Uniti senza essere definito un defezionista. Kalugin racconta come nel 1960 la residenza del Kgb a Washington fosse riuscita a individuare il nuovo nome e l’indirizzo di residenza di Orlov, avviando piani per catturarlo e riportarlo in Urss o eliminarlo direttamente. Tuttavia, i vertici del Pcus decisero di “lasciar morire in pace” Orlov, che ormai era anziano e considerato privo di valore.

La storia di Fisher evidenzia le complessità nel valutare la sincerità dei defezionisti e nel distinguere tra asset reali e risorse infiltrate per disinformazione. La vicenda di Yuri Nosenko, che collaborò con la Cia prima di essere oggetto di controversie e interrogatori intensi, illustra ulteriormente le difficoltà nel verificare le intenzioni e l’affidabilità dei defezionisti.

James Jesus Angleton, noto come il capo del controspionaggio della Cia, svolse un ruolo significativo nel caso Nosenko, promuovendo la teoria che Nosenko fosse una talpa inserita dal Kgb per proteggere un altro agente infiltrato, sostenendo un clima di sospetto e diffidenza all’interno dell’intelligence americana. Angleton descrisse questo ambiente come una “wilderness of mirrors”, una giungla di specchi dove era difficile distinguere la verità dalla finzione, un tema che dominò le strategie di controspionaggio durante la Guerra Fredda.

Il tema del cosiddetto vetting di potenziali assetti intelligence è quanto mai attuale ed assume valenza particolare in questa fase storica nel confronto tra nazioni. Due aspetti ad esso collegati riguardano l’uso di tecniche di reclutamento con la copertura di false flags, ovvero facendo credere al target di lavorare per Paesi non ostili o, sempre più spesso, per organizzazioni con fini apparentemente virtuosi. Un secondo modus operandi si basa, per contro, sull’esatto opposto: impiegare soggetti facilmente “bruciabili”, come piccoli criminali comuni; in questo modo copertura e deniability vengono messe in secondo piano rispetto all’obiettivo di creare timore e disorientamento nell’avversario.

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