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Dove ricercare le ragioni nel non voto di Meloni a von der Leyen. L’opinione di Guandalini

Di Maurizio Guandalini

Si sono sollevate parecchie critiche contro la premier. Ma la sua è una presa d’atto. L’Unione europea è un moloch di contraddizioni. Gattopardesche. Se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi. Non si può aprire il capitolo delle riforme senza aver prima constatato i limiti macroscopici del Vecchio Continente emersi durante la guerra in Ucraina. L’opinione di Maurizio Guandalini

Stupito per lo stupore. La Meloni che non vota von der Leyen. Se c’è qualcosa di spurio a Bruxelles sono le motivazioni che circondano e supportano l’alleanza che c’è ora. E le tante che ci sono già state in precedenza. Grandi reunion per governare l’Europa perché così si riesce governare meglio in casa propria. Dicono. Il solito conflitto tra Stati nazionali, sovrani, e i supposti Stati Uniti d’Europa. Questioni di cash. Decide l’Europa e gli Stati ratificano. Eseguono. Si allineano. Se non ce la fanno a star dentro a direttive e regolamenti si può avere uno sconticino. Rebus sic stantibus meglio far parte della coalizione di Bruxelles. È un po’ questo che si recrimina a Meloni. Non hai voluto eleggere Ursula e sei carica di debiti da onorare, se la appoggiavi poi si trovavano agevolmente vie di uscita. Embrasson nous.

La politica delle porti girevoli

Le partite di giro in denaro sono quelle che mettono una toppa al flusso esagerato di migranti e agli esodi biblici (la moneta data alla Turchia e, per un altro verso, mascherato da potenziali investimenti da fare sul territorio, quella data alla Tunisia). O ricevere il consenso dei giamburrasca dentro l’Unione, il caso dell’Ungheria sulle armi all’Ucraina risolto con qualche soldo dei fondi europei attivo sul conto corrente del Governo magiaro. Per poi lasciare mano libera all’approvvigionamento di gas e petrolio dalla Russia, come fa anche l’Austria. È questa la misurazione dei ‘sani principi’ che tiene unita l’Europa. Una porta girevole per accomodarsi al primo self service che incontri? Chi dà le armi all’Ucraina, chi non le dà, chi le dà misurate, chi applica le sanzioni, chi le aggira, chi non lo dice ma fa quello che gli pare.

Fa specie che l’Europa funzioni in questo modo. Sbrindellato. E sempre più si pensi di trasferire poteri dagli Stati nazionali a Bruxelles. Inficiando, a naso, il motivo per cui ogni cittadino europeo si reca al voto per eleggere un governo nazionale, i propri rappresentanti alle Camere e l’esercizio del potere in casa propria. Le astensioni massicce lo spiegano, in buona parte. E poi la serie di meccanismi contorti, le tendenze maggioritarie della coalizione benedetta dal Parlamento Europeo e la propensione di maggioranza dei commissari nominati dai singoli Stati. Distonie. Parimenti l’esplicitato, in autorevolezza, cordone sanitario verso le formazioni estreme. Da liberale convinto mi suscita perplessità soprattutto nelle probabili reazioni future dell’elettorato di quei paesi, la Francia e la Germania, potremmo aggiungere anche diversi paesi ex comunisti, che si vedono negare la rappresentanza nelle decisioni fondamentali di conduzione dell’Europa. Per assicurare brevità nei ragionamenti, vado per strilli consapevole che l’elenco è nutrito.

L’Europa verso la guerra in Ucraina

Qui stanno i problemi. E i limiti. Dei proclami che ricamano le conclamate riforme che si faranno in Europa. Vi è certezza da parte di molti leader che sarà possibile camminare insieme, tanti Stati e altri ne entreranno, perché facendo gruppo ci si salva meglio dalle insidie che insorgono ogni giorno. Può darsi. A guardare i fatti l’Europa di oggi, cantiere aperto e mai prossimo alla chiusura, è un ibrido. Che ha fornito prove non proprio lungimiranti.

Per stare al vicino corrente si pensi alla guerra in Ucraina. Andatura lenta e sparpagliata. Nessun coordinamento. Una tolda di comando provvisoria. Mai un’iniziativa diplomatica con il timbro di Bruxelles. Solo spinte individuali. Prima Macron, nei giorni trascorsi Orban, esageratamente criticato, quasi ultroneo ai servizi europei dimenticando che è premier di una nazione e che presiede il semestre in corso. Ma è come stata condotta la camminata del travagliato conflitto. Le soluzioni assenti per le ripercussioni a carico dei singoli stati.

Se osservo la solidarietà tra Stati europei dimostrata quando l’Italia da un giorno all’altro era senza riforniture di gas e le bollette erano schizzate oltre ogni limite di decenza e sopportazione dalle famiglie, mi sono interrogato più volte, in quei giorni, sull’utilità dell’Europa. Quando Stati dell’inner circle europeo speculavano sui prezzi del gas, traendo massimo profitto costringendo alcuni, tra gli altri l’Italia, a rinfrescare alcune relazioni familiari con Stati del Mediterraneo per coprirsi le spalle da eventuali shock e le promesse roboanti e continue degli Stati Uniti di forniture di gas liquefatto non proprio a prezzo amico, allora, per tutto questo, e altro, è il caso di emendare corposamente l’efficacia e l’efficienza di siffatta Europa e anche del supposto atlantismo di cui andare fieri.

Arrangiatevi, è stato  il modo di fare. Che, l’abbiamo scritto più volte nel pieno della guerra in Ucraina, ha spinto molti Stati europei a un fai da te, un sovranismo indotto o di ritorno, una autarchia 4.0, paradossale, straordinariamente irragionevole succeda proprio nel momento in cui si discute delle magnifiche progressive sorti dell’Europa.

La diligenza del buon padre di famiglia

Lo stesso ragionamento relaziona con le ripercussioni subite da tante piccole imprese italiane dopo l’insistente carnet di sanzioni comminate alla Russia. Ne abbiamo scritto diffusamente su Formiche.net constatando come non sia mai stata messa in cantiere alcuna forma di risarcimento economico. O soluzione attigua. Solo sparviere parole di circostanza che rimangono sospese quando salta ogni tipo di riferimento legale nella risoluzione delle controversie internazionali.

Della serie, prima crei il caos e poi pretendi che si rimetta a posto senza ferite e ammaccature. Improbabile chi ragiona in questa modalità provvisoria. Senza alcuna visione. Sosterremo l’Ucraina fino a quando sarà necessario, ha detto la von der Leyen. I cittadini europei gradirebbero sapere appunto il limite. Un po’ di problematicità e diplomazia negoziale sarebbe gradita.

Quando si fanno scelte complesse e delicate (come nel caso della guerra in Ucraina) compito del conduttore di casa, del premier di ogni nazione, è quello di agire secondo la diligenza del buon padre di famiglia, preoccuparsi degli interessi dei propri cittadini. Non ne abbiamo visto prova.

Si dice che l’Europa va riformata. Sarà interessante vedere quando si aprirà la discussione sulla difesa europea (aspettiamo anche la riforma fiscale e la reazione di nazioni come l’Olanda), un solo esercito, un solo comando. I militari hanno già detto che sarà un passaggio impossibile. Ci si dovrà fermare allo step del coordinamento. C’è già la Nato facente funzioni.

È pensabile che la Francia della force de frappe sia disposta a cedere scettri di eventuale comando? Principalmente quando si scenderà nel merito della costruzione di nuovi armi e si dovranno incontrare le diverse piattaforme europee, molte industrie che sono operative in questi settori, in rappresentanza dei singoli stati forti dell’Unione (Germania, Italia e Francia).

Accenno anche a come non sia stata mai gestita secondo una visione di collegamento brillante la questione dei migranti, specchio di continui rimpalli di responsabilità tra nazioni. Pure il Green Deal, la transizione ecologica che mi raggiunge leggendo il discorso di von del Leyen davanti agli eurodeputati. Lo riconferma ma introduce il principio della gradualità per non lasciare nessuno indietro e per aiutare chi non ce la fa. Ogni paese ha i suoi tempi. Che accortezza straordinaria! Quando hanno redatto quel piano, stilato direttive e scadenze non si sono posti la domanda elementare e previsionale, il dubbio, che con i diktat non si fanno gli interessi di tutti i cittadini?

Il modo di stare insieme 

È il modo di stare insieme che non va. Quel contrasto forte tra interessi che non coincidono. Quelli di ogni singola nazione e l’Europa. Si può camminare insieme risolvendo i problemi emarginando una parte che non è d’accordo (il cordone sanitario accennato all’inizio)? La panacea di tutti i mali è togliere il diritto di veto, l’unanimità, rivedendo i trattati o forse è proprio impossibile condurre tutti insieme appassionatamente ventisette stati e altri ancora che arriveranno?

Nel 1990 organizzai un workshop internazionale a Roma dal titolo “1992, la nuova Europa economica. Il mutamento delle economie nazionali dopo la nascita del mercato unico”. Ho consultato il materiale di quell’evento poi destinato a un libro mai nato. Ho riletto la prefazione di Enrique Baròn Crespo, allora presidente del Parlamento europeo (dal 1989 al 1990) che scrisse tramite il collega Augusto Pancaldi in stanza a Bruxelles, mio insegnante di quello che succedeva in Europa.

Prima di riformare l’Europa che sarà è cosa buona e giusta rileggersi quelle ambizioni, quei propositi, quegli obiettivi che hanno segnato l’avvio del mercato unico. Li avevo scritti. L’editore bocciò il volume perché troppo vago, denso di temi, molti irrealizzabili e impossibile da prevedere con le ricadute sui cittadini europei.

La mia idea di Europa è rimasta quella di sempre. Area di libero scambio, euro e finita lì. Averla caricata di troppa roba, obesa di paesi entrati, entranti, l’impossibilità di portare avanti una corsa insieme sono i limiti constatati. È cosa buona e giusta che la von der Leyen e la sua coalizione riflettano su questo. Un nucleo forte dei paesi fondatori e il resto circoscritto in altre forme costitutive. Modalità semplificate di stare insieme. Tutti. Una sgrassatura portentosa di direttive, regolamenti, poteri che rendono il Vecchio Continente un moloch privo di sentiment, di efficienza ed efficacia.


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