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L’intelligence oggi è un po’ meno segreta. Intervista a Sir David Omand

L’ex direttore del GCHQ analizza il ruolo cruciale dello spionaggio nei conflitti, sottolineando le difficoltà di mettere certe informazioni nel dibattito pubblico: tante le difficoltà, a partire dalla protezione delle fonti e dei metodi

Come ogni suddito di Sua Maestà che si occupi della materia, Sir David Omand parla di secret intelligence per riferirsi allo spionaggio. Già direttore del Government Communications Headquarters, ovvero il servizio di signals intelligence del Regno Unito, e anche primo Security and Intelligence Coordinator britannico, oggi è professore al King’s College London. Ha scritto “How to Survive a Crisis”, recentemente pubblicato anche da Penguin Books.

Alcuni mesi prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina, abbiamo assistito alla declassificazione di informazioni di intelligence, sia pubblicamente sia nei canali diplomatici, da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito. Che cosa rende possibili queste attività?

Vale la pena tornare ai fondamentali. Il principale obiettivo della secret intelligence è consentire scelte migliori riducendo l’incertezza dei decisori su ciò che affrontano, siano essi ministri, alti funzionari, generali o capi della polizia. Le agenzie di intelligence devono quindi acquisire (rubare) i segreti chiave che i nostri avversari vogliono impedirci di conoscere. Ci sono momenti in cui il nostro accesso ai segreti consente di prendere misure attive contro i nostri avversari, come sventare piano terroristici e ostacolare i criminali informatici. Ma non vogliamo che i nostri avversari sappiano quando e come abbiamo accesso ai loro segreti. Mettere l’intelligence nel dominio pubblico è quindi una mossa ricca di difficoltà per quanto riguarda la protezione delle fonti e dei metodi utilizzati per ottenerla. Ma ci sono eccezioni.

Quali?

Nel 2002, i governi di Stati Uniti e Regno Unito hanno ritenuto necessario utilizzare valutazioni di intelligence sulle armi di distruzione di massa per sostenere le loro argomentazioni sulla necessità di contenere Saddam Hussein. La polemica che ne è scaturita ha mostrato i pericoli di fare argomentazioni politiche sulla base di rapporti di intelligence inevitabilmente frammentari e talvolta sbagliati. Tuttavia, tale è stato l’urgenza nel 2022 che le autorità statunitensi e britanniche hanno deciso di informare l’opinione pubblica dell’imminenza dell’aggressione militare russa in Ucraina. Da allora, l’intelligence militare britannica ha iniziato a pubblicare regolari bollettini sulla situazione sul campo. Le informazioni sono concrete, senza attribuzione di fonti, e imparziali in modo che la Defence Intelligence non possa essere accusata di “sostenere” l’attuale politica del Regno Unito.

A differenza di Stati Uniti e Regno Unito, gli europei sembrano essere stati colti di sorpresa dall’invasione nonostante gli sforzi pubblici dei due alleati. Secondo lei, come mai?

All’inizio di febbraio 2022, la questione era se Vladimir Putin avesse ammassato i suoi carri armati intorno all’Ucraina come modo per spingere Volodymyr Zelensky a fare concessioni sul suo rapporto con l’Occidente o come preludio a un’imminente invasione russa per raggiungere con la forza militare gli obiettivi di Putin. Entrambe le spiegazioni erano plausibili. Le comunità di intelligence di Stati Uniti e Regno Unito probabilmente attribuivano maggiore peso all’intelligence militare dettagliata delle differenze rispetto alle esercitazioni passate dell’esercito russo, inclusi i preparativi per strutture mediche e armamenti che non erano stati visti in esercitazioni precedenti. Hanno quindi avvertito gli ucraini che stavano per essere invasi, rendendo pubblica l’operazione false flag che ritenevano Putin stesse preparando per giustificare l’invasione. Nel caso delle comunità di intelligence tedesche e francesi, avevano accesso alle stesse informazioni ma potrebbero aver dato maggiore peso ai rapporti diplomatici, specialmente dopo le rassicurazioni personali di Putin sul fatto che non era intenzionato a intervenire militarmente (ora possiamo supporre che sapesse di mentire in quelle occasioni). Potrebbe esserci stato anche un ottimismo inconscio, una reazione comune a una situazione minacciosa: una grande guerra non può davvero essere in procinto di iniziare di nuovo in Europa, no? Gli analisti potrebbero anche aver fatto mirror imaging, attribuendo al leader russo un grado di preoccupazione simile a quello che avremmo noi per una probabile reazione internazionale avversa e per le sanzioni economiche – lo stesso pensiero che portò gli analisti nel 1968 a concludere che Mosca non avrebbe invaso la Cecoslovacchia o nel 1990 che Saddam Hussein non avrebbe invaso il Kuwait.

Attività simili possono prevenire o fermare le guerre?

A volte gli atti aggressivi pianificati scoperti grazie alla secret intelligence possono essere sventati con mosse militari preventive o con l’esposizione pubblica delle intenzioni, per chiarire che i costi dell’aggressione sarebbero molto più alti di quanto calcolato. Nel 1982, il GCHQ decifrò segnali navali argentini che rivelavano l’ordine di invasione delle Isole Falkland. Ma l’avvertimento arrivò troppo tardi per permettere ai rinforzi navali delle forze britanniche di raggiungere l’area, a 12.000 chilometri dal Regno Unito. Se ci fosse stato un preavviso maggiore, l’invasione sarebbe stata scoraggiata. Ma nel caso dell’Ucraina, sappiamo che il piano troppo ottimista di Putin prevedeva un rapido cambio di governo a Kyiv, e non è stato scoraggiato dal fatto che Stati Uniti e Regno Unito abbiamo reso pubbliche le sue intenzioni prima che l’attacco iniziasse. Sospetto che gli analisti statunitensi e britannici, lavorando con accademici esperti, abbiano anche preso sul serio il saggio sulla storia russa in cui lo stesso Putin ha affermato esplicitamente che, a suo avviso, l’Ucraina non ha diritto di esistere come nazione sovrana, libera di promuovere le relazioni con l’Unione europea e la Nato come preferisce. Da allora abbiamo visto quanto sia alto il costo che Putin è disposto a far sostenere alla Russia per perseguire questa visione russo-centrica del mondo. Mi ricorda gli avvertimenti che alti ufficiali dell’intelligence britannica negli anni Trenta, che avevano effettivamente letto Mein Kampf di Adolf Hitler, diedero ai loro superiori politici. Spesso gli autocrati palesano ciò in cui credono. Come con Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri, non c’è mistero sui loro obiettivi se si legge effettivamente ciò che scrivevono.

Pensa che vedremo più episodi come questo in futuro?

Dobbiamo aspettarci di continuare a essere sorpresi dalle svolte degli eventi, sia negli affari interni sia in quelli internazionali. Questo fa parte della condizione umana, per quanto cerchiamo di evitare i pregiudizi inconsci a cui siamo inevitabilmente soggetti. Può essere un circolo vizioso: non riusciamo ad anticipare la possibilità di guai, il che porta a considerare meno urgente questa possibilità, quindi le informazioni di cui abbiamo bisogno per sapere che sta accadendo hanno meno probabilità di essere individuate e quindi il rischio di sorprese spiacevoli è maggiore. Ma non dobbiamo essere così sorpresi dalla sorpresa stessa se abbiamo quello che chiamo “preavviso strategico” dei tipi di eventi che potrebbero metterci alla prova. Possiamo quindi prendere ragionevoli precauzioni dove possiamo e tenere un’attenzione più alta. Questa lezione si applica tanto agli eventi potenzialmente legati al clima, o alla tecnologia, quanto agli affari internazionali.

Come detto, nei casi di utilizzo pubblico dell’intellingence c’è un forte rischio di politicizzazione della stessa. Come dovrebbe essere gestito?

La cosa più importante è tenere presente la possibilità di pregiudizi inconsci, il desiderio di soddisfare i clienti rispondendo alle loro domande urgenti e di evitare di avanzare giudizi che vadano contro la politica prestabilita. Tali sentimenti inconsci sono più frequenti rispetto al fatto che gli analisti di intelligence occidentali distorcano consapevolmente le loro valutazioni per soddisfare le preferenze politiche, cosa che era comune nelle agenzie sovietiche durante la Guerra Fredda e che potrebbe aver contribuito alla grossolana sottovalutazione della volontà di resistenza ucraina da parte di Putin. E un politico saggio sarà sufficientemente aperto verso la comunità dell’intelligence per metterla al corrente delle preoccupazioni attuali, in modo che possa contribuire a fornire le informazioni necessarie per sostenere le decisioni importanti. Ma tutto questo deve essere fatto con attenzione per preservare l’integrità analitica. Come scrisse un ex presidente del Joint Intelligence Committee del Regno Unito: “La migliore soluzione è che l’intelligence e la politica si trovino in stanze separate ma adiacenti, con porte comunicanti e pareti divisorie sottili, come negli alberghi economici”.

Che ruolo ha la cosiddetta commercial intelligence nel contesto attuale?

Oggi gli analisti di intelligence hanno accesso a un’ampia varietà di fonti aperte di informazioni, in gran parte raccolte via Internet, nonché a servizi come i rapporti del Servizio di monitoraggio della BBC, che dispone di linguisti e giornalisti altamente qualificati che ascoltano le trasmissioni all’estero e i media locali dei Paesi di interesse, e oggi, naturalmente, anche i social media. Ci sono analisi strategiche prodotte da università, istituzioni scientifiche e think-tank e servizi come Oxford Analytica e l’Economist Intelligence Unit a Londra. Nel mondo digitale di oggi non è sufficiente affidarsi alla sola secret intelligence per comprendere e spiegare gli sviluppi internazionali. Ma per riuscire a scoprire i segreti gelosamente custoditi dei nostri avversari, e soprattutto per avere un’idea delle loro intenzioni, non c’è niente che possa sostituire le specifiche capacità che l’intelligence è in grado di offrire.

Negli ultimi mesi, in Europa abbiamo assistito a diversi atti di sabotaggio attribuiti all’intelligence russa. Queste covert action ottengono risultati anche quando vengono sventate?

Possiamo legittimamente supporre che la maggior parte dei sabotaggi o dei tentativi di sabotaggio russi scoperti in Europa, anche nel Regno Unito, nell’ultimo anno abbiano come bersaglio la fornitura di armi e di addestramento alle forze ucraine. Sarebbe un errore ignorare questi attacchi solo perché finora si è visto che hanno avuto un impatto minimo sulla fornitura di supporto militare effettivo. Un obiettivo secondario della Russia è quello di far capire ai governi europei che il sostegno all’Ucraina ha un prezzo, che le nostre infrastrutture e persino le strutture militari sono vulnerabili ad attacchi paragonabili a quelli che durante la Guerra Fredda erano associati alle forze speciali spetnatz del GRU e che, se la Russia lo decidesse in futuro, potrebbe ordinare attacchi facilmente negabili. Si tratta di un avvertimento senza dubbio concepito come deterrente per le ambizioni occidentali di aumentare il sostegno all’Ucraina. Le azioni russe devono essere valutate anche rispetto alla campagna ibrida in corso contro i Paesi della Nato nella cosiddetta “zona grigia”, ovvero al di sotto della soglia del conflitto armato. Cyberattacchi, manipolazione e disinformazione, distorsione del nostro spazio informativo, interferenze nelle elezioni democratiche sono solo alcune delle attività previste nel manuale delle “misure speciali” russe. Il Cremlino sembra pensare che il rapporto con la Nato e le nazioni dell’ Unione europea sia un gioco a somma zero. Ciò che è negativo per noi deve, logicamente, essere positivo per la Russia e viceversa. In un mondo del genere non c’è spazio per il controllo degli armamenti e le iniziative volte a rafforzare la fiducia come fu in passato.

Il suo ultimo libro è “How to Survive a Crisis”. Parafrasandone il titolo, come sopravvivere in un mondo di policrisi e minacce ibride?

Nel mio libro distinguo tra emergenze, crisi e disastri. Anche nelle nazioni e nelle organizzazioni meglio regolamentate, le emergenze si presentano. Le aziende, per esempio, sono abituate a problemi di mercato, richiami di prodotti, incidenti industriali e così via. Possiamo identificare le tipologie di emergenza più probabili e prepararci di conseguenza. Ci affidiamo a servizi di emergenza ben addestrati. Le organizzazioni più avvedute hanno piani di continuità aziendale, anche in risposta a un attacco informatico. Ma le crisi sono diverse. Mettono il nostro mondo sottosopra. I problemi si moltiplicano, minacciando di trascinarci verso il baratro. Alcune delle misure che adottiamo per cercare di controllare la situazione sembrano peggiorare le cose. Almeno per un po’, gli eventi sembrano fuori dal nostro controllo. Essere in situazione di crisi può spaventare molto, soprattutto per chi è abituato a comandare, a sapere cosa fare e a poter dettare le proprie priorità. Il modo in cui i decisori rispondono alle crisi è determinante per il risultato finale. I bravi leader mobilitano rapidamente i loro migliori talenti e mettono a disposizione risorse supplementari per scoprire modi innovativi per superare la situazione. Delegano l’autorità a chi è in grado di agire. Le crisi più difficili sono quelle che si sviluppano lentamente, in cui il pericolo non è stato riconosciuto o, purtroppo, è stato ignorato: forse la crisi incombente non rientra nella narrazione politica dei decisori, oppure sembra troppo onerosa per essere risolta, o ancora i leader temono di essere incolpati dai media e dal mercato per aver denunciato il problema. Naturalmente, sappiamo tutti che costa molto di più risolvere i problemi dopo lo scoppio della crisi di quanto sarebbe costato se si fosse agito prima.


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