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Il decennio perduto del “Pivot to Asia”. Parlano Fontaine e Blackwill

Secondo il ceo del Cnas e l’ex ambasciatore americano in India, la visione dell’amministrazione Obama era giusta ma l’approccio poco coerente. Ora serve una politica più efficace nell’Indo-Pacifico ma senza venire meno agli impegni in Europa, spiegano a Formiche.net

L’idea secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero aiutare l’Ucraina perché Taiwan è più importante “non ha molto senso, data l’interrelazione tra ciò che accade in Europa e in Asia”, dice Richard Fontaine, amministratore delegato del Center for a New American Security, think tank di Washington.

Formiche.net ha intervistato lui e Robert Blackwill, ex ambasciatore statunitense in India e oggi senior fellow al Council on Foreign Relations, in occasione dell’uscita del libro scritto a quattro mani dal titolo “Lost Decade” (Oxford University Press), pubblicato 13 anni dopo il “Pivot to Asia” dell’amministrazione di Barack Obama. Il titolo riassume il loro pensiero: gli Stati Uniti hanno perso un decennio. La strategia è forte e giusta ma i successi sono pochi e l’approccio troppo poco più coerente alla regione, sostengono. Il problema, osservano ancora, è che, dopo il decennio perduto, gli Stati Uniti hanno un margine di errore in politica estera molto inferiore rispetto a dieci anni fa alla luce di un ordine internazionale diventato sempre più instabile. Secondo loro, definire una politica efficace per la regione è fondamentale per preservare la sicurezza, la prosperità e i valori democratici dell’America.

Il Pivot to Asia “deve avvenire in un contesto in cui gli Stati Uniti continuano a proteggere i propri interessi e impegni in Europa”, dichiara Fontaine. Come? “Se si considera l’aspetto militare, per esempio, lo spostamento di risorse militari aeree e marittime dall’Europa all’Asia può avvenire senza diminuire la protezione che gli Stati Uniti si impegnano a garantire attraverso la Nato e simili”. Particolarmente importante è, continua, il coinvolgimento dei Paesi europei in “tutto ciò riguarda l’aspetto economico e tecnologico, che è il vero linguaggio di gran parte della competizione tra Occidente e Cina”.

Anche se la Russia dovesse conquistare l’Ucraina, non procederebbe a un’azione militare nei confronti della Nato, alla luce dell’articolo 5 che farebbe scattare la reazione degli alleati, dice Blackwill. “Inoltre, non stiamo affrontando l’Armata Rossa: l’esercito russo è impoverito e più debole di quanto non fosse al momento dell’invasione nel 2022”, dice ancora sottolineando la possibilità per gli Stati Uniti, anche alla luce dell’aumento delle spese militari in Europa, di spostare mezzi dall’Europa all’Asia. “Vale lo stesso per il Medio Oriente”, aggiunge. “Possiamo riattivarle in caso di crisi”, assicura.

La Cina è una questione bipartisan negli Stati Uniti, al centro del dibattito tra il presidente uscente Joe Biden e il suo sfidante (e predecessore) Donald Trump. “Hanno posizioni completamente diverse su Nato, Ucraina, immigrazione, e così via”, osserva Fontaine. “Ma l’approccio di Biden alla Cina è stato molto più vicino a quello di Trump rispetto a quello di Obama”, aggiunge. Blackwill sottolinea i “meriti” dell’amministrazione Biden per aver coinvolto l’Europa sulla Cina, portandola sua posizioni “più sfumate”. E dice: “Trump è notoriamente imprevedibile”. “Se Trump fosse rieletto, ci sarebbe un focus maggiore sul deficit commerciale con la Cina, che era una delle sue ossessioni”, dice Fontaine. Biden ha mantenuto i dazi imposti da Trump, ma non ha dato la stessa enfasi al deficit commerciale”, conclude.



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