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Meloni attesa in Cina. La sua linea è chiara ma certi mandarini… 

Dopo il mancato rinnovo del memorandum sulla Belt and Road Initiative, la presidente del Consiglio prepara l’incontro con Xi in nome del trittico partner-competitor-rivale con cui l’Ue definisce le relazioni con Pechino. Ma alcuni, tra politica e burocrazia, premono per la linea morbida

Ci sono i mandarini, nome omen, che, in vista della missione a Pechino, suggeriscono una linea morbida verso la Cina dicendo a Giorgia Meloni che il mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, è sufficiente.

Lei l’aveva promesso in campagna elettorale e l’ha fatto alla fine dell’anno scorso da presidente del Consiglio: alla sua scadenza, il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative (la cosiddetta Via della Seta), firmato nel 2019 dal governo gialloverde di Giuseppe Conte, non è stato rinnovato per altri cinque anni. Il peso di un simile documento, per quanto non vincolante, era troppo pesante per un Paese G7, senza contare che i frutti economici auspicati non sono arrivati (anzi, il deficit commerciale a favore della Cina è soltanto cresciuto).

Una scelta non scontata, considerato il fattore non vincolante del documento e le pressioni cinesi, ma anche italiane, per il rinnovo. Non è bello che l’unico Paese G7 ad avervi aderito esca dal progetto di punta del leader Xi Jinping proprio nell’anno del suo decimo compleanno, si diceva. O ancora, si mormorava: guardate che cos’ha fatto la Cina con gli strumenti di coercizione economica (poco o niente, nei numeri) alla Lituania che ha detto sì all’apertura di un Ufficio di rappresentanza taiwanese a Vilnius o all’Australia per la fine di alcuni accordi sulla Belt and Road Initiative. Tutto ciò ha portato al non rinovo sì, ma sottovoce.

Ora l’Italia e la Cina hanno deciso di puntare sul partenariato strategico che quest’anno festeggia i suoi 20 anni. Così, dopo la prima visita ministeriale a Pechino dopo l’uscita dalla Via della Seta, quella di Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy) a inizio mese, tra una settimana tocca alla presidente del Consiglio. Poi, a ottobre, è atteso Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, per celebrare i 700 anni dalla morte di Marco Polo. A indicare la via a Roma è il trittico partner-competitor-rivale con cui l’Unione europea descrive la Cina: partner sulle questioni globali, competitor economico e rivale sistemico. Per questo, la diplomazia è fondamentale.

Non solo per l’Italia. A maggio Xi ha fatto tre tappe in Europa: prima a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron; poi a Belgrado per commemorare con il presidente serbo Aleksandar Vučić il venticinquesimo anniversario del bombardamento della Nato – per errore dei Gps americani – sull’ambasciata cinese; infine, a Budapest per incontrare il suo migliore alleato in Unione europea e Nato, il premier ungherese Viktor Orbán. Ad aprile era stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz a recarsi a Pechino per incontrare Xi, in un viaggio che aveva come motto “Un’azione sostenibile congiunta”. Tra Xi e il premier canadese Justin Trudeau, invece, i rapporti sono tesi: come dimostrato dall’aspro scambio a margine del G20 del 2022 a Bali, in Indonesia, occasione dopo la quale c’è stato soltanto un scambio saluto a novembre dell’anno scorso al summit Apec organizzato a San Francisco, in California. È stata quella l’occasione dell’incontro tra Xi e il primo ministro giapponese Fumio Kishida e pure del primo faccia a faccia tra il leader cinese e Joe Biden da quando il secondo è diventato presidente degli Stati Uniti. Quest’ultimo incontro ha rappresentato un intermezzo cruciale nei tanti incontri ministeriali e di alto livello tra le due superpotenze, che riflettono la ricerca di canali di comunicazioni aperti per gestire la competizione evitando incidenti.

Per questo, la visita di Meloni a Pechino si preannuncia un passaggio non facile, nonostante la linea della presidente del Consiglio sulla Cina sia chiara. Sia nella politica sia nelle burocrazie la spinta per una maggiore apertura verso Pechino continua a essere molto diffusa e profonda, nonostante le parole sui rischi di dipendenze strategiche come quella che fu dall’energia russa e come quella che rischia di essere dalla tecnologia cinese.


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