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Orban, Mélenchon-Le Pen, e Trump porranno fine alla guerra in Ucraina? L’opinione di Guandalini

Di Maurizio Guandalini

L’Europa deve muoversi per trovare un ruolo e risolvere il conflitto Mosca-Kyiv che giorno dopo giorno rilascia centinaia di morti. Lo chiedono i cittadini. Nel frattempo c’è l’attivismo di Orban che ha vestito i panni di negoziatore durante la sua presidenza del semestre europeo. Gli estremi di destra e sinistra stanno spingendo verso la realpolitik. Ma il Vecchio Continente è in ritardo. Il parere di Maurizio Guandalini

Ha ragione Enrico Letta. Quello che arriva dalla Francia è una buona notizia per l’Europa. Ma bisogna dare risposte alle ansie emerse dalle urne, ha precisato l’ex-premier. E una di queste ansie, la maggiore, è il perdurare del conflitto russo-ucraino che giorno dopo giorno sta mietendo migliaia di vittime. E’ di questi giorni la pubblicazione del sondaggio curato dall’European Council on Foreign Relations (Ecfr) in vista del prossimo summit Nato. Il 63% degli italiani è contrario all’aumento delle spese militari. Il dato più alto nei paesi europei. Il 53% degli intervistati non vuole nuovi invii di armi a Kyiv, l’80% non manderebbe nostri soldati a combattere contro la Russia, il 57% vorrebbe  spingere l’Ucraina a negoziare un accordo di pace con la Russia (sugli elettori che puniranno l’Europa per non aver risolto la guerra in Ucraina ne abbiamo scritto su formiche.net).

Orban mediatore

Sono constatazioni fatte dal vittorioso Jean-Luc Mélenchon (che addirittura chiede di uscire dalla Nato), e dalla vittoriosa (di consenso europeo) Marine Le Pen, che prima dei ballottaggi per le legislative ha ribadito il suo niet all’invio di soldati francesi in Ucraina. Affermazioni sulla linea di quelle del comandante in capo del semestre europeo, Viktor Orban, e di Trump, che  ha una soluzione pronta in tasca in vista della prossima entrata alla Casa Bianca. Di fronte al compassato laissez faire delle forze sconfitte alle recenti elezioni europee e che hanno tenuto le redini del conflitto russo-ucraino, gli estremi, di destra e sinistra, paradossalmente sono quelle più armate di realpolitik capaci di sconfiggere l’inerzia e il pressapochismo dei loro vicini di banco? Ha impressionato più di tutti il premier ungherese nel suo ruolo di Presidente del Consiglio durante il semestre europeo (partito il 1 luglio). Prima è andato a Kyiv. Poi a Mosca. E ora a Pechino. Apriti cielo. Sono fioccate critiche da quelli che in primis avrebbero dovuto loro essere animati da quell’attivismo ‘run the global’  dai primi mesi della guerra. Cosa ha fatto di male Orban? Nulla, naturalmente. E infatti le critiche del Presidente uscente del Consiglio Europeo Charles Michel gli sono entrate da un orecchio e uscite dall’altro. Perché oggettivamente inconsistenti. Quanto inutili se non per aspetti formali che diventano relativi in un momento di trapasso di funzioni. Orban, con disinvoltura, non ha fatto altro che parlare con i contendenti. Ha risposto alla domanda retorica, banale se volete, che  pongo in diversi scritti, fin dall’inizio del conflitto: qualcuno dovrà pur parlare con Putin?

La realpolitik del negoziatore

I negoziati partono da qui. L’Europa deve cercare di tenere un ruolo terzo, quello che non ha fatto durante i due anni di guerra e che ormai, visto il decorso degli eventi, è quasi improbabile riuscirà assumere. Sarà arduo anche con tutta la buona volontà manifestata da Orban (che, certo, qualche ritorno e interesse personale ci sarà, ma quello va scontato nell’imprinting del personaggio politico che è). Time is over. Sul punto della mediazione per avviare un negoziato scrissi della necessità di trovare un mediatore con le caratteristiche di Berlusconi. Purtroppo il leader di Forza Italia era già malato e difficilmente avrebbe tenuto un andrivieni diplomatico fitto e problematico. C’è da aggiungere che nessuno in Europa, negli organi di vertice e neppure nella sua famiglia politica, i popolari,  gli ha mai chiesto parere o disponibilità di assurgere a quel ruolo. Rimane un vuoto dell’azione diplomatica europea preoccupante. Perché a Berlusconi vanno riconosciuti meriti soprattutto in politica estera. E  in quella fase poteva consigliare, rapportarsi per trovare strade di uscita. Il suo portafoglio di relazioni internazionali l’avrebbe aiutato. In particolare nel dialogo con Putin. Orban ha fatto, con estremo ritardo, quello che l’Europa nei suoi vertici istituzionali apicali, avrebbe dovuto fare in precedenza. Occorre risalire all’incontro Macron-Putin al Cremlino seduti agli estremi di quel lungo tavolo bianco.  La realpolitik. Che non è la soluzione preconfenzionata dei conflitti ma è soprattutto abbattere il muro dell’incomunicabilità. Non prendere parte per partito preso senza sapere dove si va.

L’Europa e le risposte necessarie

La direzione. L’indicazione degli obiettivi. Anche nelle modalità di sostegno all’Ucraina. L’invio tentennante di armi. Chi sì, chi no, chi in ritardo. Uscite ipocrite. Sostegno peloso. Una guerra che non è una guerra perché l’Europa non ha proprio minimamente l’idea di entrarvi. E’ una guerra che si fa a lotti.  A macchie di leopardo. Oltre misura di oggi non si può andare. Si può continuare a foraggiare l’esercito ucraino ma di contro sarà impossibile fermare i russi. E’ un ping pong senza direzione e obiettivi. Quanto il controverso filotto di sanzioni (che abbiamo approfondito in  articoli su formiche.net) che ha stravolto mercati e relazioni lasciando nel caos parecchie piccole e medie imprese.   In questo excursus della vicenda ucraina è mancata la sponda statunitense. E con Biden alla Casa Bianca  nei prossimi quattro anni insorgerebbe la variabile affidabilità della sua azione. Del suo agire.

Si sa, Orban non la farà o siglerà lui la pace. Infatti è corso a Pechino da Xi Jinping perché è ormai questione da pesi massimi. Però l’Europa ha necessità di trovare un ruolo. Recuperare dopo essersi accodata pedissequamente agli Stati Uniti. Orban ha lasciato queste notule a chi occuperà i vertici della Commissione e del Consiglio Europeo. Non è una novità su quello che c’è da recuperare. O almeno provarci. Perché lo chiedono gli ammorbati cittadini europei. Già circondati dall’inflazione, dalle diseguaglianze crescenti, dalla diminuzione del potere d’acquisto, dalle ansie delle generazioni future che staranno peggio di quelle attuali. E’ l’ora delle risposte. Dalla guerra in Ucraina. Che non va risolta riarmando un giorno sì e l’altro no l’Ucraina perché  è un rilancio senza soluzioni di fine guerra. E neppure distribuendo a pioggia delle gratifiche di filo putiniani solo perché si sostengono azioni di negoziato. Negoziato che per le diverse ragioni finora esposte sarà lungo e complesso e comunque molto frenato fino alle elezioni di novembre della Casa Bianca. C’è tempo per dare una mano. Prepararsi. Anche perché con un Trump presidente ci troveremo una soluzione pronta, prendere o lasciare (questo ragionamento è coincidente con le discussioni sulla costruzione di una difesa europea e quelli ben più ampi sul rinnovo richiesto a estuario di una ristrutturazione della Nato, dalla disegnazione del segretario generale che in tempi non sospetti, prima del conflitto russo-ucraino, parlavano fuori dai denti  fosse una carica, dopo Stoltenberg, che spettava all’Italia, Renzi, Letta o Draghi. Abbiamo visto com’è andata).


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