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Retromarcia sul caccia Usa del futuro? I dubbi del Pentagono

Se negli Usa si dubita dei propri programmi per i caccia di sesta generazione, all’interno di un dibattito accesosi nelle scorse settimane, quello italo-britannico-giapponese procede. Considerando la competizione internazionale, si tratta di una grande opportunità per l’Italia

Da quando il capo di Stato maggiore della Us Air force, generale David W. Allvin, ha annunciato che il caccia di sesta generazione per l’aeronautica Usa non era più una priorità, negli Stati Uniti è iniziato un susseguirsi di riflessioni in materia. Da questa parte dell’Atlantico, invece, il Global combat air programme (Gcap) di Italia, Regno Unito e Giappone sembra procedere spedito.

Infatti, nell’ultimo evento pubblico di grande rilevanza, un’audizione alla commissione Difesa della Camera dei comuni a febbraio, i britannici hanno sottolineato la rapidità del programma. Il direttore del programma al ministero della Difesa, Richard Berthon, ha dichiarato che l’attenzione dei giapponesi sui tempi “ha portato la velocità in cima alle priorità del programma”. Effettivamente, sembra già esserci “un consenso abbastanza forte sulla definizione dei design requirement”, secondo il maresciallo Richard Knighton, capo di Stato maggiore della Raf.

Il contesto

Nel mondo, oltre al Gcap, ci sono altri programmi di caccia di sesta generazione. Sempre in Europa, Parigi, Berlino e Madrid stanno sviluppando il Système de combat aérien du futur (Scaf), mentre la Russia lavora sul MiG-41 e la Cina sul J-28. Gli Stati Uniti, invece, progettano addirittura due velivoli, dopo l’esperimento interforze dell’F-35: Ngad (Next generation air dominance) per Aviazione e Esercito, F/A-XX per Marina e Marines. Nel mentre, anche altri Stati (Svezia, India, Brasile, Australia, monarchie del Golfo) sono interessati a sviluppare programmi nazionali, cooperativi o ad acquisire questi sistemi.

Secondo Tamarack Defense, l’Ngad è il programma occidentale di gran lunga più ambizioso. Se nel 2023 Ngad, Gcap e Scaf potevano essere comparabili, già quest’anno Ngad ha iniziato a staccare il gruppo (cui si aggiunge pure l’F/A-XX): per il 2027 ci sarà un sostanziale doppiaggio, mentre nel 2029 Ngad dovrebbe ricevere fondi superiori alla somma di quelli per Gcap, Scaf e F/A-XX. D’altra parte, tra questi ultimi, il Gcap è il programma con la copertura finanziaria più massiccia.

Questi aerei si collocheranno al centro di sistemi di sistemi, cioè comanderanno tutta una serie di effettori, droni (semi)autonomi in testa, e avranno la capacità di interfacciarsi con l’architettura di informazioni e comunicazioni delle rispettive Forze armate. Insomma, dei super-computer con le ali.

I dubbi statunitensi

Le preoccupazioni di Washington sono relative alla mancanza di fondi. Il budget della Difesa Usa – il più grande del mondo, a più di novecento miliardi di dollari annui – rischia di essere troppo esiguo per fare fronte alle minacce presenti ed assicurarsi la supremazia tecnologica nei decenni a venire. Per alcuni, l’impegno statunitense per la Difesa non è in linea con le ambizioni e la storia americane: con il 3% del Pil dedicato, il Pentagono sta attraversando anni di ristrettezze con pochi precedenti.

Ecco, quindi, che nascono dubbi su Ngad e F/A-XX. Non si tratta solo di costi di sviluppo, ma pure di acquisto: questi velivoli hanno un’ambizione tecnologica molto superiore al resto del mondo, con costi unitari tra i duecento e i trecento milioni di dollari – come affermato a Breaking Defense da Douglas Barrie, senior fellow dello storico think tank britannico Rusi. La Us Navy aveva ufficialmente deciso, già a marzo 2024, di posporre il finanziamento di un miliardo di dollari, inizialmente previsto per il proprio F/A-XX, relativo al budget del 2025. Il capo di Stato maggiore della Us Air Force ha poi cambiato le carte in tavola con l’annuncio della non-necessità dell’Ngad. Questo perché l’Usaf si trova a dover gestire altri programmi di prima fascia (Sentinel, B-21, F-35) e sembra molto interessata a puntare forte sui droni che definiranno il combattimento aereo del futuro. Data la qualità di F-22 e F-35, infatti, i Collaborative combat aircraft (Cca) potrebbero dialogare con i caccia attualmente in servizio.

Ovviamente non mancano le voci che sostengono, invece, la necessità di puntare sull’Ngad. Oltre all’industria, Deborah Lee James, già segretario all’Aeronautica degli Stati Uniti dal 2013 al 2017 (anni nei quali il programma Ngad venne avviato) si è espressa su DefenseNews, invitando il Congresso a trovare i fondi, anche a fronte dei progressi cinesi.

La Cina

Pechino, infatti, è al centro della visione strategica statunitense, ed il suo J-28 sembrerebbe progredire, ma il condizionale è d’obbligo. L’unica notizia effettivamente confermata risale al 2019, quando Wang Haifeng – designer capo alla Chengdu aerospace corporation, sussidiaria di Aviation industry corporation of China –  dichiarò che si stava lavorando per un caccia da consegnare nel 2035. Nel 2022, poi, il capo dello Us Air combat command dichiarò che gli sforzi cinesi erano in linea con la propria timeline. Per The Diplomat, questo resta vero, anche se Brendan Mulvaney, direttore del China aerospace studies institute dell’Usaf, ha risposto a DefenseNews con scetticismo circa le capacità tecnologiche di Pechino.

Le prospettive di export (per il GCAP)

In vista dell’appuntamento del 2035, per i Gcap si aprono importanti prospettive di mercato, innanzitutto per una concorrenza potenzialmente bassa. Come ha sottolineato a Breaking Defense Richard Aboulafia, managing director di AeroDynamic advisory, i velivoli statunitensi sarebbero troppo costosi per le tasche di qualsiasi altro Paese. Inoltre gli Usa non esportano il loro precedente caccia da superiorità aerea, l’F-22, perché troppo strategico, e non c’è motivo di supporre un’inversione di tendenza. Anche i cinesi, impegnati in una competizione serrata con Washington, potrebbero replicarne la politica di (non) export. Inoltre, Pechino non ha mai sviluppato grandi clientele per i propri caccia. Lo Scaf dovrebbe entrare in servizio a inizio anni Quaranta, ma si porta dietro i problemi dell’asse franco-tedesco sulla Difesa, senza contare che Berlino si è spesso mostrata restia a esportare sistemi d’arma a certi Paesi. Anche il russo MiG41 ha i suoi limiti: sebbene secondo i russi sia quasi pronto, potrebbe essere più vicino ad una quinta generazione che ad una sesta (e la quinta generazione russa è stata ordini di magnitudo inferiore rispetto all’F-35, programma di cui, tra l’altro, Regno Unito e Italia sono stati tra i partner più importanti), senza contare che l’aggressione all’Ucraina ha reso più complicato associarsi al comparto militare russo.

Anche la sinergia con gli Usa dei partner Gcap va a vantaggio dell’export del programma. È difficile immaginare che i numerosissimi partner securitari degli Stati Uniti possano comprare sistemi d’arma da Paesi ostili allo Zio Sam, mentre è facile che questi partner comprino sistemi visti di buon occhio da Washington. Il Gcap, che potrebbe anche contenere componenti Usa, è sviluppato dagli stretti alleati britannici, italiani e giapponesi.

Proprio grazie al coinvolgimento del Giappone, il Gcap potrà avere un’appetibilità nel mercato asiatico: dal Vietnam alle Filippine, i Paesi dell’Asia sudorientale e dell’Indo-pacifico sono preoccupati dall’assertività cinese, e non vogliono farsi trovare impreparati. In particolare, a nessuno Stato maggiore della regione potrebbe sfuggire l’utilità di cooperare con le altre aviazioni regionali non-cinesi. Il Giappone dispiegherà un numero importante di piattaforme Gcap e si assicurerà che l’aereo sia performante rispetto a quelli cinesi, rendendo il programma più interessante di altri per, soprattutto, India e Australia.



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