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Trump e i segnali deboli nella crisi della democrazia. Il commento di Caligiuri

L’attentato a Trump assume oggi una natura totalmente diversa rispetto ai precedenti. Per questo occorre raccontare non che è avvenuto, ma perché è successo. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e autore di “L’Intolleranza come potere. Le strategie per il controllo della mente: un’analisi di intelligence” (Santelli), volume che sarà presentato alla presenza di Vittorio Rizzi, vice capo della Polizia, sabato 20 luglio alle ore 12, nell’ambito del Premio Bancarella 2024

L’attentato a Donald Trump ripropone in modo eclatante, ma non certo imprevedibile, la crisi del sistema democratico.

In più, quello americano non riesce, addirittura nella campagna elettorale alla presidenza, ad andare al di là della riproposizione di uno scontro tra due ottantenni, sui quali, per ragioni diverse, si potrebbe avanzare qualche fondata riserva.

Questa osservazione conferma quanto affermava Gino Gullace a metà degli anni Ottanta quando definiva il Presidente “un uomo in grigio alla Casa Bianca”. Infatti quello che conta è sempre l’establishment, l’apparato, il deep state e il Presidente è solo la punta dell’iceberg o, a seconda dei punti di vista, il contorno.

Anche stavolta, come avviene spesso, nell’incidente in Pennsylvania vengono evidenziati errori di valutazione da parte dell’intelligence.

Queste affermazioni partono da due distorsioni che oscillano pericolosamente su due poli: il primo è una non sufficiente conoscenza dei temi di cui si parla e la seconda è che si ritiene l’intelligence in grado di fare qualunque cosa. Un misto di acqua di Lourdes e Priorato di Sion.

Gli addetti ai lavori sanno perfettamente, per esempio, che non esiste un evento pubblico con migliaia di persone che possa ritenersi assolutamente sicuro.

Inoltre, i fallimenti dell’intelligence sono quasi sempre determinati dalla politica. Quello che è accaduto il 7 ottobre dell’anno scorso nella Striscia di Gaza verrà studiato per anni per comprendere falle, tecniche, resistenze mentali, limiti politici.

Non bisogna dimenticare, infatti, che l’intelligence dipende direttamente dalla politica, che, con istituzioni diverse, prevede le regole, individua i vertici, stanzia i finanziamenti, controlla l’attività, richiede e utilizza le informazioni.

Fin dalla sua fondazione, i Presidenti o candidati alla presidenza, degli Stati Uniti sono stati soggetti ad attentati, a volte mortali come nel caso di Abraham Lincoln e dei fratelli John e Bob Kennedy.

Ma l’attentato a Trump assume oggi una natura totalmente diversa rispetto ai precedenti.

La violenza del dibattito pubblico, che in America evidenzia componenti paranoiche, caratterizza dovunque in modo sempre più esteso il confronto democratico. Infatti, l’emozione “ha conquistato il mondo” come spiega William Davies nel suo bel libro “Stati nervosi”.

Il dibattito politico viene alimentato da tv e social che inondano di immagini e contenuti i cittadini aiutandoli non a capire ma a spingerli verso quale parte stare.

Il sistema mediatico si concentra sulla vivisezione minuziosa e orientata degli effetti, trascurando quasi completamente le cause. Si tratta di una disinformazione strutturale che ha come obiettivo la mente delle persone, che è oggi il vero campo di battaglia per la conquista del potere.

E la disinformazione più penetrante non è quella che si addebita all’estero – che pure senz’altro c’è – ma è quella che viene prodotta all’interno. Se non si comprende questo aspetto di fondo non si comprende la reale natura della disinformazione.

E quando si sostiene giustamente che le democrazie siano sotto attacco, occorre parimenti precisare che il nemico principale non proviene dall’esterno ma opera direttamente all’interno.

Allora occorrerebbe raccontare non che è avvenuto l’attentato a Trump, ma perché è successo.

Secondo me, all’interno dello scenario della evidente crisi del sistema democratico a causa principalmente della inadeguatezza delle proprie élite, la violenza e le contrapposizioni del dibattito pubblico derivano dalla mancanza di idee e di contenuti significativi, anche perché quando si gestisce il potere i comportamenti diventano spesso indistinguibili. Ci si divide assai sulle parole ma molto poco nella concreta gestione delle istituzioni.

È proprio in tale quadro che è emerso negli ultimi anni il fenomeno dell’intolleranza e del linguaggio d’odio che non è un fenomeno sociale di questo tempo ma una deliberata e raffinata strategia per conquistare e mantenere il potere.

Non a caso, la realtà è davanti agli occhi di tutti ma non produce alcuna conseguenza. “Crisi della verità” l’ha definita il filosofo Byung-Chul Han.

Occorre allora cercare di cogliere i segnali deboli, perché quelli forti li vedono tutti e spesso portano altrove.

Il fatto che nell’agosto scorso la piattaforma di Elon Musk, dopo due anni e sette mesi, abbia ridato a Donald Trump il diritto di parola, deve fare riflettere a fondo sul rapporto tra potere economico e potere politico e soprattutto potrebbe rappresentare una spia che il vento sembra spirare da una certa parte.

“Un segnale debole da tenere nella massima considerazione nel prossimo futuro è che gli insulti virtuali verso i rappresentanti del potere si possono trasformare in realtà”. Tratto da Mario Caligiuri, L’Intolleranza come potere. Le strategie per il controllo della mente: un’analisi di intelligence, Santelli, 2023, pp. 36-37, volume che sabato 20 luglio alle ore 12 sarà presentato al Premio Bancarella 2024 alla presenza Vittorio Rizzi, vice capo della Polizia.

 


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