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Che cosa aspettarsi dal Labour al potere. Gli scenari dell’amb. Terracciano

Secondo il diplomatico, già capo missione a Londra tra il 2013 e il 2018, Starmer cercherà misure incrementali per migliorare il rapporto con l’Unione europea. Non ci sarà la sintonia Sunak-Meloni ma il rapporto bilaterale rimane solido, aggiunge

Dopo 14 anni e cinque premier (David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss e Rishi Sunak) il Regno Unito cambia. I conservatori lasciano il governo ai laburisti e Keir Starmer è il nuovo primo ministro. Ne parliamo con Pasquale Terracciano, ambasciatore italiano in Russia dal 2018 al 2021 e nel Regno Unito dal 2013 al 2018, ovvero negli anni prima e dopo il referendum del 23 giugno 2016 che ha dato, con la vittoria del Leave, il via alla Brexit.

Starmer ha promesso che cambierà tutto, ma non il sostegno all’Ucraina. Che cosa si aspetta in politica estera dal nuovo governo britannico?

Ho conosciuto Starmer durante il mio mandato a Londra. In quel periodo lui era segretario ombra per la Brexit. Con la sua leadership, nel Labour si è imposta una linea centrista fermamente ancorata alla Nato. In politica estera, mi aspetta una continuità sostanziale per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina, l’importanza della special relationship con gli Stati Uniti e anche il sostegno a Israele. In questo, Starmer ha mantenuto una linea ferma che potrebbe essergli costato qualche seggio nelle constituency dov’è forte la presenza musulmana.

Cambieranno i toni?

Non cambierà la linea ma cambieranno probabilmente i toni. Saranno meno belligeranti di quelli di Johnson sul conflitto russo-ucraino e più critici sulla linea del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma sempre nell’ambito del sostegno a Israele.

Ha citato la special relationship. Oggi alla Casa Bianca c’è il dem Joe Biden e le sintonie potrebbero essere forti. Che cosa potrebbe cambiare con il ritorno del repubblicano Donald Trump?

In quel caso Londra potrebbe andare in affanno, anche perché non credo ci possa essere molto feeling tra due persone tanto diverse come Starmer e Trump. Il primo, però, ha fatto emergere doti di flessibilità che potrebbero aiutare anche in questa occasione.

Nei giorni scorsi, il think tank dell’ex primo ministro laburista Tony Blair ha pubblicato un rapporto suggerendo un riavvicinamento all’Unione europea. Persino un nuovo accordo di difesa e sicurezza che permetta di parlare di un coinvolgimento nel Fondo europeo della difesa. Come sarà il rapporto tra Regno Unito e Unione europea secondo lei?

Starmer era un convinto sostenitore del Remain, ora c’è una congiura del silenzio che attraverso tutto l’arco costituzionale britannico: non si parla di ritorno nell’Unione europea né di mercato unico né di unione doganale. Ma quando Starmer parla di un rapporto più stretto con l’Unione europea si riferisce a questioni come la cooperazione in materia di industria della difesa, a un eventuale accordo sulla sicurezza europea che preveda meccanismi di consultazione regolari e stabili, alla cooperazione scientifica (il programma satellitare Galileo, per esempio) e culturale (si pensi all’Erasmus) e a misure di controllo doganale per rendere gli scambi effettivamente frictionless.

Che cosa aspettarsi allora?

Credo che Starmer cercherà, seguendo una strategia pragmatica, di attuare misure incrementali per migliorare il rapporto con l’Unione europea nel primo mandato. In un eventuale secondo mandato, potrebbe cominciare a emergere qualche elemento di maggior collegamento e riavvicinamento strutturale ed eventualmente potrebbero cadere anche alcuni tabù di oggi come il mercato unico e l’unione doganale.

E il ritorno nell’Unione europea?

È prematuro parlarne.

Negli ultimi anni i rapporti tra Italia e Regno Unito si sono rafforzati: è stato firmato un importante accordo di cooperazione, i due governi hanno aderito al Global Combat Air Programme con il Giappone e tra Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e il primo ministro Sunak si è instaurata una forte sintonia. Che cosa accadrà ora?

Anche se non ci sarà più l’intesa molto forte che si era creata tra Meloni e Sunak c’è una tradizione di rapporti solidi e convergenti. Il rapporto bilaterale rimarrà, dunque, positivo anche senza questo livello di intesa ideologica tra i leader.

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