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Barche, tragedie in mare, spie e presunte tali. Quando naufraga la verità

C’è chi, come il noto diffusore di fake news Cesare Sacchetti, vede un nesso tra quanto accaduto sul Lago Maggiore e a Palermo. Così le teorie del complotto sfruttano tragedie reali per diffondere sfiducia

Ci sono complottisti di lungo corso come Cesare Sacchetti, che si era guadagnato un posto nella lista dei dei “super-diffusori di disinformazione sulla Covid-19 in Europa” compilata da NewsGuard, azienda americana leader nel monitoraggio della disinformazione sul web, e certo non si è fermato lì. È stato lui il primo a ipotizzare similitudini tra il naufragio del veliero Bayesian a Palermo della scorsa settimana e quello dell’imbarcazione turistica Gooduria nelle acque del Lago Maggiore a maggio dell’anno scorso. Potrebbe essere stata utilizzata “un’arma a energia diretta”, ha scritto ipotizzando un regolamento di conti voluto dalla famiglia Rothschild, immancabile in ogni moderna teoria del complotto (il fatto che sia una famiglia ebraica non è secondario).

Dopo di lui è arrivata Raffaella Regoli, giornalista nota per aver rivelato che agli incontri privati del Bilderberg si può partecipare solo se invitati e che nelle basi militari non si entra senza autorizzazione. “Ha stato il mal tempo”, ha scritto con, oltre al refuso (si scrive “maltempo”), un riferimento a “Ha stato Putin” ormai diventato un indizio di filoputinismo o quantomeno antioccidentalismo.

“Nel mare di Palermo ci sono le stesse onde del Lago Maggiore…” ha postato su X il comunista Marco Rizzo, coordinatore di Democrazia sovrana e popolare.

Ma ci sono anche analisti, più o meno noti ma sempre in cerca di visibilità, che in assenza di informazioni da analizzare riempiono le giornate “limitandosi” a gettare in pasto ai loro seguaci tutti i tasselli di un puzzle complottista che loro non hanno il fegato di comporre. Ipotizzano regolamenti di conti sostenendo che un “visto?, non accade sotto nella Russia di Vladimir Putin” che suona un po’ come excusatio non petita. E sono quelli, assieme ai giornalisti a caccia di clic, che più spesso citano il “precedente” di Robert Maxwell, il cui corpo senza vita fu ritrovato nel 1991 nell’Oceano Atlantico nel quale sarebbe caduto accidentalmente dal suo panfilo.

Ignorano il più delle volte la causa per eventi estremi dovuti alla tropicalizzazione, forse perché “la crisi climatica è impopolare, non vende”, come ha scritto Sergio Scandura, corrispondente di Radio Radicale, su X.

Che cos’hanno in comune le tre storie? Poco o niente, neppure le dinamiche degli eventi.

Solo due elementi. Primo: la tragedia avvenuta in un luogo come il mare, ambientazione che stimola l’immaginazione come pochi altri. Secondo: i servizi segreti, fattore che più di tutti alimenta le fantasie. Infatti, Maxwell e il miliardario Mike Lynch, il proprietario del Bayesian, avevano legami di natura diversa con varie agenzie (tra cui il Mossad, che nel mondo intelligence è il servizio che, a volte anche per un po’ di antisemitismo, scatena fantasie); a bordo del Gooduria si trovavano funzionari dell’intelligence italiana e del Mossad (Claudio Alonzi, 62 anni, e Tiziana Barnobi, 53, dell’Aise; l’uomo indicato dai media israeliano con nome di copertura di Erez Shimoni, 54), vittime assieme a Anya Bozhkova, 50 anni, la moglie di origine russa dello skipper Claudio Carminati (che ha patteggiato la pena a quattro anni di carcere per le accuse di naufragio colposo e omicidio colposo).

Viene da chiedersi che cosa spinga a ipotizzare e alimentare certe teorie mentre ancora si cercano i corpi. Sincera convinzione in teorie alternative che possano dare “soluzione” in grado di soddisfare meglio la mente di quelle cosiddette “mainstream”? Ego? Malafede? Un disegno più ampio per minare le istituzioni democratiche e la loro credibilità? Ignoranza?

Soffermandosi per un momento su quest’ultima è inevitabile notare come, nella tragedia di Palermo, emerga la faciloneria con cui vengono confuse le attività dei servizi segreti e quelle delle società che forniscono servizi a questi ultimi, tutto buttato sotto il cappello “intelligence” o peggior ancora, o meglio per i fini di spettacolarizzazione, “007”.

Non bisogna, però, dimenticare che le teorie del complotto non sono una novità dell’ultimo secolo. Basti pensare al grande incendio di Roma del 64 d.C. attribuito all’imperatore Nerone che avrebbe voluto trovare spazio per la sua Domus Aurea. È da quando abbiamo tracce scritte dalla storia che abbiamo teorie del complotto. A dimostrazione, come ha spiegato il neuroscienziato David Eagleman in una puntata del suo podcast Inner Cosmos dal titolo “Are our brains wired to believe in conspiracy theories?”, che si tratta di un fenomeno neurale e non soltanto culturale. Anche per questo, l’educazione può aiutare ma non può essere considerata una bacchetta magica. Un altro fattore che può aiutare è la responsabilità: delle piattaforme su cui oggi le teorie del complotto sembrano venir premiate, di chi quelle piattaforme le popola/utilizza e di chi ha incarichi pubblici e, nella migliore delle ipotesi per strizzare l’occhio a qualche segmento di elettorale, rilancia certe fantasie facendo poi spallucce. Altrimenti, non si fa che rendere ancor più fertile il terreno per gli attori ostili come la Russia, la Cina e l’Iran che sfruttano proprio “la mancanza di fiducia dell’opinione pubblica nei confronti del governo e della società civile”, come aveva spiegato a Formiche.net Rory Cormac, professore dell’Università di Nottingham.

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