Da cattolico, già esponente del Partito popolare e leader della Democrazia cristiana, De Gasperi capì che la ricostruzione del Paese aveva bisogno del recupero della tradizione statuale prefascista, con la quale la Chiesa e i cattolici avevano storicamente avuto un rapporto a dir poco difficile. Il commento di Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of government e professore di Storia contemporanea
Alcide De Gasperi fu lo statista di cui aveva bisogno l’Italia post-bellica. Grazie al suo profondo legame con l’Italia e alla sua forte apertura all’Europa, capì che la rinascita della penisola dopo la catastrofe fascista doveva passare per una sua reintegrazione nel contesto internazionale che in quel periodo, all’alba della Guerra fredda, stava assumendo una nuova forma. De Gasperi percepì con grande lucidità che l’interesse nazionale, la protezione della patria, passava per l’ingresso dell’Italia, a pieno titolo, all’interno dei consessi atlantico ed europeo.
Allo stesso tempo, da cattolico, già esponente del Partito popolare e leader della Democrazia cristiana, De Gasperi capì che la ricostruzione del Paese aveva bisogno del recupero della tradizione statuale prefascista, con la quale la Chiesa e i cattolici avevano storicamente avuto un rapporto a dir poco difficile. Per questo lo statista trentino cercò di proteggere il proprio partito, il governo e lo Stato italiano dal desiderio di alcuni settori del Vaticano di condizionare da vicino la neonata Repubblica.
Da qui la sua insistenza, dopo le elezioni del 1948, sul proseguire la coalizione di governo con le forze laiche, con liberali, repubblicani e socialdemocratici: un modo per recuperare la tradizione risorgimentale e tenere la Chiesa alla giusta distanza. De Gasperi fu, per così dire, un grande giocoliere politico: fece in modo che il Vaticano, l’apparato dello Stato, i laici, le nascenti correnti interne alla Dc, gli americani si controbilanciassero gli uni con gli altri, così che la Repubblica restasse nella giusta posizione centrale.
Un gioco difficile ma assai lungimirante, che almeno nel corso della prima legislatura, dal 1948 al 1953, in buona sostanza gli riuscì. E che però già nei primi anni Cinquanta mostrava serie avvisaglie di crisi. Alla fine della sua vita De Gasperi ingaggiò due grandi battaglie: per la Comunità europea di difesa (Ced), nel cui Trattato aveva inserito l’articolo 38, che associava la Ced alla creazione di una Comunità politica europea, e per la legge maggioritaria del 1953.
Furono due grandi tentativi, da parte di De Gasperi, di istituzionalizzare la propria eredità: l’ancoraggio dell’Italia all’Europa da un lato, l’efficienza delle istituzioni italiane, e in particolare del governo come guida del Paese, dall’altro. Il pensiero costituzionale dello statista trentino era da uomo dell’Ottocento: rivolto al governo di gabinetto, non al governo dei partiti. De Gasperi era il leader rifondatore della Democrazia cristiana, era un uomo fortemente inserito nella storia del proprio partito, ma non era un uomo di partito.
La Dc, per altro, in quella fase era un’organizzazione ancora embrionale, a dargli una struttura sarà Amintore Fanfani nella seconda metà degli anni 50. In quanto uomo di governo più che di partito, De Gasperi pensava il potere esecutivo come un’entità omogenea e fortemente incardinata intorno a un indirizzo politico del quale il presidente del Consiglio doveva essere il garante. Un presidente che amministra il Paese usando sì i partiti, che devono portare voti e consenso, ma facendo in modo che siano strumentali al governo, non lo strumentalizzino.
Al termine della prima legislatura, De Gasperi si rese conto di come la situazione politica degli anni 1948-1953 avesse rappresentato un unicum, il frutto di una serie di casi fortuiti, tra cui la maggioranza assoluta della Democrazia cristiana. Vedeva poi che le elezioni del 1953 avrebbero con ogni probabilità restituito un quadro ben più frammentato, indebolendo la maggioranza, riportando i partiti in primo piano e mettendo in pericolo la compattezza e la stabilità del governo.
La riforma elettorale doveva servire allora a rafforzare l’esecutivo, sovraordinandolo ai partiti politici e, allo stesso tempo, a irrobustire il centro rispetto alla destra e alla sinistra antisistema. Infine, doveva creare una maggioranza che potesse eventualmente cambiare la Costituzione, sempre allo scopo di rafforzare le capacità decisionali del sistema. De Gasperi aveva insomma individuato con largo anticipo il problema principale dell’assetto istituzionale italiano, problema col quale stiamo combattendo ancora oggi.
De Gasperi perse entrambe le battaglie: nel 1953, com’è ben noto, il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale non scattò; e il 30 agosto del 1954 l’Assemblea nazionale francese bocciò definitivamente il Trattato della Comunità europea di difesa. Allo statista trentino fu risparmiato quest’ultimo colpo: era morto qualche giorno prima, il 19 agosto. Se queste battaglie le avesse vinte, oggi vivremmo in un’Italia e un’Europa ben diverse. Con ogni probabilità, molto migliori.
Formiche 200