Non è difficile cogliere la modernità e l’attualità, oggi, delle correnti Dc quando si parla di qualità della democrazia e della democrazia nei partiti. Comprendere il profilo, la natura e la consistenza politica e culturale delle correnti democristiane e, soprattutto, approfondire il ruolo politico che hanno avuto nella storia democratica del nostro Paese è solo questione di volontà e di onestà intellettuale. Il commento di Giorgio Merlo
Diceva Guido Bodrato, uno dei leader storici della sinistra democristiana, “che la storia della Dc è la storia delle sue correnti”. Una osservazione semplice ma quantomai calzante e pertinente. Ma accanto a questa riflessione, è indubbio che resiste ancora una vulgata tanto squallida quanto reticente attorno alla Dc e alle sue correnti. E cioè, ogniqualvolta si parla e si approfondisce il tema delle correnti democristiane ci si limita a giudizi liquidatori. Addirittura volgari. Ovvero puri strumenti di potere, gruppi di malaffare e organizzazioni che avevano come unico ed esclusivo obiettivo la lottizzazione del potere, la distribuzione degli incarichi e l’occupazione delle istituzioni e del sottogoverno.
Ed è un peccato che il profilo, la natura e la consistenza politica e culturale delle correnti democristiane continui a non voler essere compreso e, soprattutto, a non voler approfondire il ruolo politico che hanno avuto nella storia democratica del nostro Paese. E questo per due ragioni fondamentali. Da un lato le storiche correnti della Dc, salvo casi eccezionali e sempre possibili, rappresentavano pezzi della società italiana. E, al contempo, avevano la capacità – attraverso le rispettive classi dirigenti – di trasferire le domande, le attese, i bisogni e le istanze di quei segmenti sociali nel partito e di trasformarli poi in un progetto politico e di governo complessivo.
Non è difficile fare degli esempi concreti. Fra i tanti, per citarne uno solo, la “sinistra sociale” di ispirazione cristiana, cioè la tradizionale corrente di Forze Nuove di Carlo Donat-Cattin e di Franco Marini, che rappresentava nella Dc il mondo del lavoro e dei lavoratori. E non solo, come ovvio e scontato, dei lavoratori cattolici. Era il punto di riferimento politico di moltissimi cislini e, soprattutto, si faceva carico delle esigenze e delle domande di quell’universo all’interno del partito attraverso l’elaborazione di proposte ed iniziative che diventavano parte del progetto politico complessivo della Dc. E lo stesso discorso vale per quasi tutte le altre correnti democristiane per il ruolo che giocavano i rispettivi leader: dalla Base ai Fanfaniani; dalla corrente di Giulio Andreotti ai dorotei di Bisaglia, Rumor, Piccoli e Colombo; dalla destra democristiana di Scalfaro alla vasta, composita e qualificata sinistra democristiana. Insomma, un mosaico ricco di cultura, di progettualità politica e di concreta elaborazione culturale.
In secondo luogo le correnti della Dc non si fermavano al solo perimetro del partito. Erano oggetto e soggetto di confronto politico con tutti i partiti dell’arco costituzionale, come si chiamava un tempo. Anche su questo versante non mancano gli esempi. Dalle molteplici riviste di corrente ai tradizionali convegni di corrente. Laboratori di politica che diventavano, di conseguenza, anche strumenti di formazione di classe dirigente.
Ecco perchè anche gli storici detrattori della Dc e, soprattutto, delle correnti della Dc, dovrebbero prestare maggiore attenzione quando affrontano il profilo e la natura degli attuali partiti personali, o del capo o proprietari. Partiti, cioè, dove il confronto interno è bandito alla radice perché incompatibile con il profilo del partito. Partiti dove il progetto politico viene illustrato in un’intervista dal “capo” a un quotidiano e partiti dove se non condividi la linea dello stesso “capo” sei gentilmente invitato ad andar via.
Per questi motivi non è difficile capire la modernità e l’attualità, oggi, delle correnti Dc quando si parla di qualità della democrazia e della democrazia nei partiti. C’è sempre tempo, infatti, per capire la differenza tra i partiti autenticamente democratici, collegiali e rispettosi del dettato costituzionale e i partiti che sono solo espressione degli umori e dei voleri del capo indiscusso ed indiscutibile. È solo questione di volontà e di onestà intellettuale.