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Il caso North Stream 2. Il ruolo inatteso degli attori civili nel sabotaggio

Di Roberto Toncig

La ricostruzione del Wall Street Journal sul sabotaggio del gasdotto rivela l’imprevedibilità degli attori coinvolti e mette in discussione le metodologie di analisi tradizionali. L’uso di civili e mezzi non convenzionali evidenzia i rischi di interpretazioni errate e bias cognitivi

Una settimana fa, il Wall Street Journal ha pubblicato un dettagliato articolo nel quale fornisce una ricostruzione del sabotaggio del gasdotto North Stream 2, avvenuto il 27 settembre 2022. Lo stesso giorno, media internazionali hanno diffuso la notizia dell’emissione da parte tedesca di un mandato di cattura internazionale a carico di un cittadino ucraino, istruttore di subacquea, accusato di essere stato parte della squadra che ha condotto l’operazione.

Senza voler dare una patente di totale veridicità all’articolo, quest’ultimo evento ha fornito indiretti elementi di conferma alla sostanza di quanto riportato dal Wall Street Journal e in parte già emerso in precedenti investigazioni giornalistiche. I dati che appaiono oramai accreditati riguardano, in particolare: la diretta responsabilità di attori ucraini; il pieno (e forse esclusivo) coinvolgimento di civili nell’operazione; l’impiego di mezzi non militari, quali una barca a vela a noleggio ed equipaggiamenti subacquei civili.

Il quadro che ne emerge contrasta fortemente con le ipotesi elaborate anche da autorevoli analisti sin dai primi giorni dopo il sabotaggio circa la Russia quale responsabile dell’azione. Scartando le letture basate su interpretazioni volutamente distorte o inadeguate, un errore interpretativo simile lascia trasparire una serie di rischi connaturati con l’attività di analisi intelligence.

Il primo di essi riguarda il cosiddetto effetto di proiezione, ovvero l’innata tendenza a osservare gli eventi secondo gli strumenti di raziocinio e approcci propri, e non quelli della/e controparte/i. In questo caso può aver giocato un ruolo una valutazione apparentemente razionale, che portava a considerare eccessivamente sbilanciato il rapporto costo/benefici per gli Ucraini; laddove fosse emersa una responsabilità di Kyiv in un momento nel quale il Paese aveva un disperato bisogno di aiuti occidentali, e americani e tedeschi in particolare; il prezzo sarebbe infatti stato altissimo e tale da rendere irrazionale l’operazione. Inoltre, i sostenitori della linea “razionale” facevano notare quanto il blocco di North Stream 2 avesse impattato sui timori già diffusi in Europa in tema di volumi, continuità e prezzi delle forniture energetiche, a tutto favore di Mosca.

Per far fronte ai rischi di bias autoreferenziale da anni gli analisti delle strutture di intelligence utilizzano metodologie basate sull’analisi empatica e altri strumenti correttivi; a quanto pare, non tutti ne hanno saputo fare uso, perlomeno nel mondo degli esperti civili di geopolitica.

Il secondo “attivatore di errore” potrebbe risiedere in un analogo bias, questa volta legato alla cultura operativa di chi cerca di interpretare l’evento. La quasi totalità degli osservatori hanno a suo tempo assunto per default che un’operazione tanto eclatante in termini di audacia e risultato avesse necessitato l’impiego di mezzi di altissimo livello, disponibili ovviamente solo a organizzazioni di matrice militare di primissimo piano (e questa interpretazione venne largamente utilizzata dalla Russia per “dimostrare” la responsabilità di potenze occidentali). Quanto dice il Wall Street Journal non esclude un possibile, parziale coinvolgimento di esponenti delle forze armate ma dimostra quanto inventiva e determinazione possano portare a straordinari risultati operativi e costruire una cornice di plausible deniability a tutela delle implicazioni politiche.

E questo ci porta al terzo, e più intrigante, fattore di “intorbidimento delle acque”: la presenza e l’attivismo sulla scena di un confronto militare tra entità statali di soggetti formalmente – e, in taluni casi, sostanzialmente – slegati dalle entità stesse, operanti con metodologie proprie e per finalità non sempre convergenti con quelle dei loro ritenuti beneficiari.

Un esempio di queste presenze può essere la parabola di Yevgeny Prigozhin, soggetto formalmente scollegato dai Vertici e con i quali è finito con lo scontrarsi apertamente. Ancor più palese e accentuato è il ruolo della squadra di subacquei civili che ha messo in atto il sabotaggio al North Stream 2 e dei loro finanziatori che, con un modesto investimento, hanno permesso di mettere a segno un colpo di dimensione strategica.

Resterà ora da vedere quali saranno le ripercussioni in tema di relazioni internazionali e tra alleati, ripercussioni le cui dimensioni saranno giocoforza influenzate dalle valutazioni su esistenza o meno, natura e profondità di eventuali legami tra i free rider del sabotaggio ed esponenti istituzionali. Un nuovo terreno di gioco e una sfida per le intelligence.

Le brevi considerazioni sinora sviluppate sono palesemente superficiali e puramente teoriche; sono nondimeno legate al desiderio di riflettere sulla complessità del lavoro degli analisti di intelligence e sulle mille difficoltà – informative, concettuali, psicologiche, metodologiche – e pressioni – di scarsità di risorse, urgenza temporale, richiesta di qualità – cui sono sottoposti. Nonostante il crescente contributo delle nuove tecnologie e delle applicazioni di intelligenza artificiale, il loro lavoro è e rimane un’arte.

Per concludere, un breve cenno al rapporto tra mondo militare e mondo civile e a come lo stesso stia evidenziando segnali di evoluzione, che saranno di sicuro interesse per l’analisi strategica.

I recenti decenni di relativa distensione hanno portato alla preminenza della ricerca della superiorità tecnologica in ambito militare, con risultati straordinari in termini di capacità di proiezione, reazione e incisività. Il mondo militare ha a lungo agito da motore di innovazione anche a favore del mondo civile, come testimoniato da prodotti inizialmente militari e ora diffusissimi come il GPS e Internet.

Negli Stati Uniti si sta ora profilando un dibattito molto acceso sull’incidenza dei programmi pluriennali ad alto contenuto tecnologico e impatto economico sulla complessiva efficacia dello Strumento. Secondo una commissione parlamentare bipartisan statunitense questi programmi, per la loro stessa natura, comporterebbero l’eccessiva burocratizzazione dei processi decisionali e la prevalenza dell’avversione al rischio, con effetti di “letargizzazione” del sistema e di inadeguato mantenimento della capacità produttiva di materiale meno evoluto ma altrettanto necessario (vedasi munizionamento di artiglieria).

Anche in questi dibattiti su temi di altissimo profilo tecnico, istituzionale e industriale, non appare estraneo l’influsso degli approcci low-tech, creativi e innovativi messi in campo da quasi tutti i contendenti e loro alleati nelle operazioni militari dei nostri giorni; solo per citare alcuni esempi, droni realizzati in cantina, sciami di droni assemblati con materiale riciclato, barchini esplosivi telecomandati a distanza da semplici sistemi quasi amatoriali. Nuovi conflitti, nuovi attori e nuove soluzioni, una sfida continua anche per le intelligence.


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