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Invasione di pannelli solari cinesi in Italia? Ecco perché (e come)

Di Emanuele Rossi e Gianluca Zapponini

Un documento dell’Enea sembra suggerire la possibilità che il mercato italiano venga inondato di pannelli a celle prodotti da industrie extra europee. Il che porta immediatamente alla Cina, con tutti i rischi del caso. Per Tabarelli (Nomisma Energia) l’errore è stato non usare gli incentivi per creare filiere nazionali

L’argine italiano ai pannelli fotovoltaici della Cina sta per essere travolto. È quanto sembra emergere dalla lettura di un documento dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. In un burocratese non immediatamente comprensibile ai più, sotto l’oggetto Riscontro Enea in merito al registro delle tecnologie per il Fotovoltaico, si legge infatti che l’ente procederà “alla formazione e alla tenuta di un registro in cui sono iscritti, in tre distinte sezioni, su istanza del produttore o del distributore interessato, tutti quei prodotti che rispondono a determinati requisiti di carattere territoriale e qualitativo”.

Il nocciolo è il punto b di tali requisiti, quello relativo ai “moduli fotovoltaici con celle, prodotti negli Stati Membri dell’Unione europea”. In tale sezione si starebbero considerando implicitamente anche i moduli fotovoltaici contenenti celle extra Ue. Questo comporta che per esempio un prodotto romeno con tecnologia di cella cinese (come quelli della Dahai Solar di Calarasi) potrebbe essere ammesso nel mercato italiano, nonostante tali sistemi Made in Prc (Made in Public Repulic of China) siano stati oggetto di varie misure (dai dazi anti-dumping al sistema di registrazione delle importazioni appunto) da parte dell’Unione per ragioni di concorrenza scorretta e preoccupazioni sulla sicurezza dei dati.

La norma italiana rischierebbe così di incentivare la tecnologia delle celle di provenienza extra Ue. Se si considera che la Cina è il primo produttore al mondo di pannelli fotovoltaici, allora il problema diventa consequenziale. Gli assemblatori europei, di cui solo tre sono italiani, si sposterebbero su altri approvvigionamenti, non esistendo nessun produttore europeo di celle al di fuori della catanese 3Sun e di Meyerburger (che per altro ha recentemente annunciato di dirottare la sua produzione verso gli Stati Uniti). L’effetto sarebbe una riduzione della competitività, per esempio per 3Sun, oltre a una possibile contrazione del prezzo di offerta dei moduli con le celle italiane.

Non è certo un caso se la Cina è impegnata a implementare il sistema cosiddetto 14+1, che connette a Pechino la Central and Eastern Europe, blocco regionale che, con la New Silk Road Initiative, la Repubblica popolare ambisce a influenzare se non governare, per soddisfare le esigenze di investimenti infrastrutturali e per la transizione energetica di quei Paesi (per esempio il mega impianto di Kaposvár, in Ungheria, costruito dalla Cmc cinese o le batterie di Catl a Debrecen). Con questo impegno che è anche sostenuto dall’obiettivo di acquisire influenza nella regione anche nell’ottica di disarticolare l’Unione, la sfera energetica green è considerata uno dei vettori di penetrazione, anche perché uno degli anelli deboli e complicati anche a causa del Green Deal. Non è altrettanto un caso se gli Stati Uniti hanno creato il sistema di investimenti che ruota attorno al Three Seas Initiative Investment Fund, connesso alla iniziativa Trimarium.

Sembrerebbe quasi del tutto superfluo permettere un ingresso in forze di pannelli cinesi. La capacità produttiva aggregata dei fornitori europei, infatti, pare assicurare un’offerta sufficiente a soddisfare l’evoluzione della domanda generata dal Piano transizione 5.0 italiano, finanziato coi fondi del Pnrr. Per questo, ripristinare l’interpretazione originale dell’ormai famoso punto b del registro Enea ripristinerebbe anche lo spirito originario della norma volta ad incentivare produttori Ue che decidano di investire nello sviluppo tecnologico di celle innovative ad alta efficienza, in linea con i più recenti orientamenti della Commissione Europea di re-shoring di questa tecnologia.

Quanto scritto dall’Enea è allora frutto dell’apertura strategica a Pechino o è la conclusione di un burocrate zelante? E si sono considerati gli impatti sull’industria italiana?

Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, raggiunto da Formiche.net, fa notare un aspetto. “Non credo che dovremmo meravigliarci del fatto che i produttori cinesi stanno inondando il mercato europeo con i loro pannelli. L’Europa ha 200 GW di potenza, di cui 30 in Italia, oggi il grosso dei pannelli relativi a questa potenza è già tutto in mano alla Cina. Ho cominciato a lavorare con le rinnovabili 40 anni fa e già allora era chiaro che gli incentivi alle rinnovabili non devono solo servire ad aumentare il peso dell’energia pulita, ma anche per creare filiere nazionali, creare occupazione, fare ricerca. Tutto questo non è stato fatto, le industrie si sono impoverite e ora non hanno più ricerca. E tutto questo è andato a vantaggio della Cina. In effetti è un po’ triste, anche perché l’Europa discute, parla, di batterie, di eolico e altro ma poi alla fine viene sempre tutto dalla Cina”.



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