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Nature Restoration Law. Opportunità o minaccia per l’Italia post-sisma? L’intervento di Castelli

Di Guido Castelli

Il regolamento Nature Restoration Law è la premessa di un vero e proprio attentato all’equilibrio uomo-natura su cui è stata costruita la storia millenaria dell’Italia. La ricostruzione che sta procedendo sull’Appennino centrale, dopo il sisma di otto anni fa, può diventare laboratorio di questa buona pratica, che smentisce l’eccesso di ideologismo ecologico che ancora alberga a Bruxelles e Strasburgo. L’intervento di Guido Castelli, commissario straordinario Sisma 2016

È entrato in vigore domenica 18 agosto il regolamento europeo sul ripristino della natura – noto come Nature Restoration Law – uno dei punti fondamentali del Green Deal. La norma europea impone a ogni Stato membro di ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030. La soglia sale al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. Insomma, più natura, meno antropizzazione. Un successo rivendicato da un ecologismo, credo, malinteso. Almeno per l’Italia.

Mi spiego a partire dall’esperienza che sto sviluppando come Commissario straordinario per la ricostruzione e la riparazione dopo il sisma 2016. Sono i giorni del triste anniversario, l’ottavo (24 agosto 2016) del terremoto. Nell’area del cratere – 8000 chilometri quadrati, più estesa dell’intera Olanda, giusto per inquadrare le dimensioni della tragedia e la qualità del campione – la “natura” la fa da padrona. E aggiungo ahimé. Il 70% del territorio colpito dal sisma di otto anni fa è ricoperto da boschi, per lo più selvaggi, cioè cresciuti senza gestione, con piante in competizione e quindi con apparati radicali deboli che appesantiscono i terreni in pendenza. I quali, con gli eventi estremi, diventano lave torrentizie che spazzano via vite umane, economie e identità, come ci testimoniano i tragici eventi di questi ultimi anni.

Solo il 25% dell’area è ancora rivolto ad attività agro-silvo-pastorali (dimezzata in meno di 50 anni) e il 5% risulta urbanizzato. I circa 4mila insediamenti urbani del cratere sisma 2016, che già prima del terremoto erano prevalentemente disabitati per il 90%, ora rischiano di scomparire totalmente. Più natura di così! Ma si tratta di una criticità clamorosa che dovrebbe essere posta all’attenzione di chi crede – a Bruxelles o a Strasburgo forse se lo possono permettere, in Olanda no, senza l’opera dell’uomo il loro territorio sarebbe invaso dal mare – al mito palingenetico di una “natura selvaggia” da affrancare rispetto all’azione e al presidio dell’uomo.

La spina dorsale dell’Italia, l’Appennino, è il presidio naturale della vita a valle. La nostra penisola è per il 66% montana e alto collinare, e si trova nel mare che si riscalda più velocemente di tutti al mondo, il Mediterraneo. Ma un Appennino spopolato – riconsegnato alla Natura senza l’Uomo – ha privato del fondamentale presidio umano tutto il territorio circostante (valli e coste), accentuando la fragilità idrogeologica dell’intero Paese, soprattutto nel tempo del “climate change”.

Il regolamento Nature Restoration Law è la premessa di un vero e proprio attentato all’equilibrio uomo-natura su cui è stata costruita la storia millenaria dell’Italia. La biodiversità che si manifesta a Castelluccio di Norcia – e che rende lo spettacolo della fioritura un’icona internazionale – è figlia della presenza attiva e responsabile dell’uomo.

Il collegamento tra abbandono del territorio e aumento del rischio da impatti climatici è stato approfondito da un recente rapporto sull’alluvione in Emilia Romagna del maggio 2023, realizzato dalla Commissione tecnico-scientifica coordinata dal professor Armando Brath. Nell’analisi emerge quanto l’abbandono di molti terreni forestali e agricoli abbia comportato una riduzione delle cure ordinarie del territorio, e quindi anche di abbandono della rete idraulica minore. Il rapporto chiarisce, inoltre, come non sempre all’aumento di copertura forestale corrisponda un aumento della capacità regimante della vegetazione in un terreno agricolo poiché “l’aumento di densità all’interno del popolamento induce una maggiore competizione che riduce la resistenza meccanica, indebolendo il popolamento (e la capacità di ancoraggio delle radici), ed una maggiore mortalità.

Inoltre, l’abbandono favorisce ribaltamenti di ceppaie, soprattutto in cedui abbandonati, mortalità di alberi e polloni che va ad alimentare il trasporto solido delle lave torrentizie, a mettere in pericolo infrastrutture lungo i corsi d’acqua”. Infine, “la minore manutenzione della rete idraulica minore, dei terrazzamenti e delle strutture costruite nei secoli dall’uomo quali muretti a secco contribuisce ad aumentare piccole fratture e dissesti locali che possono dare origine a frane”.

Le inondazioni in Emilia Romagna o nelle città costiere sono anche figlie dolorose di una montagna abbandonata al bosco instabile e incapace di resistere alla forza delle acque. La cementificazione degli alvei dei fiumi è una drammatica concausa. Ma il primo problema è l’abbandono del territorio a vantaggio del bosco disomogeneo, con radici non fortemente affondate nel terreno e quindi pronto a levarsi come una intera tovaglia strappata da una mano maldestra.

Montagna e bosco hanno bisogno di cure. Così anche la “risorsa legno” – abbondante ma poco utilizzata – può diventare un’opportunità: in questo senso con i fondi del Piano complementare al Pnrr stiamo dando avvio a una filiera del legno, per trasformare il bosco da problema da gestire a risorsa da utilizzare. È lo stesso spirito che ci ha condotto a sottoscrivere un protocollo d’intesa con il ministero dell’Agricoltura, che ha individuato l’area del cratere come territorio idoneo nel quale applicare misure di integrazione uomo-natura, attraverso iniziative volte a rendere economicamente e socialmente conveniente tornare a utilizzare il territorio. Un modo per incentivare filiere agro-silvo-pastorali che possono offrire nuove opportunità di insediamento produttivo per giovani e nuovi imprenditori.

La Natura ha bisogno dell’uomo, non della sua cacciata da un ipotetico Eden da rigenerare. La ricostruzione che sta procedendo sull’Appennino centrale, dopo il sisma di otto anni fa, può diventare laboratorio di questa buona pratica, che smentisce l’eccesso di ideologismo ecologico che ancora alberga in troppi uffici di Bruxelles e Strasburgo.



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