Quali sono le motivazioni profonde che hanno spinto il Cgs Cavour fino al Giappone? Ben oltre una coreografia diplomatica, per Patalano la missione è parte delle strategie di Roma per collegarsi con Asia, Africa e Medio Oriente e per assicurarsi la sicurezza delle vie marittime. Senza scordarsi l’elevazione della componente avioimbarcata alla quinta generazione
Cosa è andato a fare il carrier strike group guidato dalla portaerei Cavour fino a Tokyo? La diplomazia navale – certo. Le esercitazioni – senz’altro. Il partenariato col Giappone, trainato dal Gcap – ovviamente. Ma perché?
Se lo è chiesto Alessio Patalano – Professore di Guerra e Strategia in Asia orientale all’assai prestigioso Department of War Studies del King’s College di Londra, dove è pure direttore del programma sul Giappone e di quello sull’Indo-Pacifico (oltre ad essere, tra le altre cose, Senior fellow a Rusi e un commentatore per Nikkei) – su War on the Rocks.
Di cosa si è trattato? Né “un semplice esercizio diplomatico europeo” né un coreografico “viaggio europeo per ‘mostrare la bandiera’ in acque lontane”. Viceversa, un segnale “delle preoccupazioni del Paese per la fragilità dell’ordinamento marittimo globale” e “punta di diamante per la strategia di connettività economica e di sicurezza del Mediterraneo” oltre i suoi confini geografici, nonché parte di “importanti passi avanti politici indicanti un impegno a mantenere un vantaggio tecnologico nella Difesa”.
Posto questo, si cominci tenendo a mente il dibattito circa l’impegno europeo in Indo-Pacifico, giudicato da alcuni come superfluo, se comparato alla sicurezza dell’Europa stessa, e insostenibile per le Forze armate europee dopo decenni di budget al ribasso. Patalano spiega che questo, però, è limitante per il caso italiano: non considera né gli interessi di Roma nella regione né il suo (potenziale) ruolo. Insomma, limitarci a contestualizzare la nostra proiezione in Indo-Pacifico come un gioco a somma-zero tra la sicurezza europea e quella asiatica ignora la possibilità che il Paese persegua una strategia intercontinentale.
Questa strategia intercontinentale, nelle sue diverse sfaccettature, è il fil rouge che unisce le tre chiavi di lettura che il Professore del King’s offre per capire le motivazioni dietro alla missione del Cavour.
In primis, mandare la nave ammiraglia fino a Tokyo è in linea con la politica estera di Giorgia Meloni, caratterizzata da un cambio di passo nell’ampliamento del Mediterraneo allargato. Patalano vede il Piano Mattei e le sinergie trovate con l’India in ambito Via del cotone (nonché le interconnessioni tra i due a livello infrastrutturale) come parte di un unico continuum che leghi la Penisola con le opportunità di Africa, Medio Oriente e Asia. Importante specificare che “per il governo Meloni, comunque, la promozione di nuovi legami nel Golfo e nell’oceano Indiano vanno a braccetto con la comprensione di un ordinamento mondiale più frastagliato […] il governo italiano vede i legami con gli attori nell’Indo-Pacifico come una specifica opportunità per Difesa e industria” (da leggersi anche come “industria della Difesa”). Al centro di queste opportunità, il Giappone e il Gcap: “l’Italia ha usato la missione per sottoscrivere militarmente azioni politiche, gettando le fondamenta per una relazione securitaria [con Tokyo, nda] che miri ad un livello qualitativamente non troppo diverso da quelli goduti da Regno Unito e Francia”
La seconda chiave di lettura della missione del Cavour è da ricercarsi “nell’impegno in interazioni strategiche di più ampio respiro con partner chiave – in particolare il Giappone – mostrando la comprensione e l’impegno dell’Italia per la fragilità dell’ordinamento marittimo globale”. Esempio principe di questo impegno è lo sforzo nazionale (anche tramite missioni internazionali) nel mar Rosso, che ha visto la flotta italiana essere la prima per missioni di scorta condotte (la flotta militare) e godute (la flotta mercantile). Questo, chiaramente, non può che passare dalle capacità e dai mezzi della Marina Militare, per i quali Patalano attribuisce il merito alla lungimiranza dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi e dai conseguenti investimenti pluriennali, che hanno reso la nostra Marina la seconda in Europa (insieme a Londra, dietro Parigi). Ciò – unitamente a sviluppi recenti come il Piano del Mare e il Polo Nazionale della dimensione Subacquea – fanno della Marina uno dei principali strumenti della proiezione italiana oltre il Mediterraneo.
In ultimo, navigare verso il Giappone ha permesso all’Italia di affinare le capacità della propria componente avioimbarcata. Presentare per la prima volta velivoli imbarcati al Pitch Black, esercitarsi con le Marina di Giappone, Usa, Francia e Germania, coadiuvare Noble Shield, Aspides e Atalanta, navigare insieme Cgs statunitensi e integrare navi spagnole e francesi all’interno del Cgs Cavour è stata una straordinaria opportunità verso lo sviluppo di una forza avioimbarcata di quinta generazione. Questo, per Patalano, anche alla luce dello European Carrier Group Interoperability Initiative – quindi a beneficio dell’Europa, non solo dell’Italia.
Nel complesso, “alleati e partner dovrebbero seguire da vicino l’attivismo italiano a Est di Suez”, scrive il Professore. Meloni ne condivide la visione circa un Indo-Pacifico libero e aperto – per quanto all’interno di una strategia più ampia, di respiro inter-continentale – e “l’aumentata comprensione e familiarità dell’Italia dell’Indo-Pacifico e dei suoi attori chiave, tramite un insieme di iniziative più ampio, è un moltiplicatore di forze per fronteggiare le sfide dei regimi autoritari”. A riprova del fatto che l’Europa dovrebbe impegnarsi in Asia.