Il commento del Generale della Guardia di Finanza in congedo Alessandro Butticé, primo militare in servizio presso le istituzioni europee, e vecchio membro della commissione di disciplina del Consiglio Internazionale dello Sport Militare, alla luce dello Sharp power e del deficit educativo nazionale
Le Olimpiadi 2024, di Parigi, ma anche dell’Europa senza la Russia, si sono appena concluse. Sono state un indubbio successo sportivo italiano, con 12 medaglie d’oro, 13 d’argento e 15 di bronzo. Ma se contiamo il numero di medaglie, vediamo che quelle vinte dagli atleti dei 27 Stati membri dell’Ue sono ben 309, rispetto alle 126 degli Usa ed alle 91 della Cina.
Prova che l’Unione europea è non solo la prima potenza economica mondiale, ma anche la prima potenza sportiva. Dove lo sport può essere un valido termometro per misurare la salute di un popolo e, in particolare, della sua gioventù. Ma l’Ue, se davvero unita, sarebbe anche una potenza militare. Con un bilancio per la difesa che, sommando quello dei singoli Stati membri, supera quello della stessa Cina, oltre che della Russia.
L’Ue fa paura a molti, che hanno tutto l’interesse a sfaldarla
Dovrebbe apparire evidente a tutti che il gigante con i piedi d’argilla europeo sia scomodo, quando non faccia davvero paura, per tanti. A cominciare dagli imperialismi russo e cinese, ma anche quello sciita iraniano, e a gran parte del mondo islamico. Ma anche agli stessi grandi alleati transatlantici. Tanto per citare i principali. E tutti gli imperi della storia, tra le varie armi di dominazione utilizzate, hanno sempre usato anche la politica del dividi et impera.
Che appare essere alla base della dottrina degli attacchi di guerra ibrida che stanno subendo sistematicamente, e non occasionalmente, da anni i singoli stati membri dell’Unione europea, oltre che l’Ue nel suo complesso.
Ed è quello che ho pensato assistendo alle polemiche, ben poco sportive, che hanno accompagnato i giochi di Parigi. Soprattutto in Italia. E che spesso, sull’onda di una polarizzazione di bassa politica e propaganda elettorale interna, che ha ormai contaminato anche lo sport, si sono trasformate in sentimenti anti francesi, anti europei, anti tutto. Che non siano cioè quelli, urlati, dei troppi Masanielli che affollano da tempo il nostro Paese.
Oggettive criticità di Parigi 2024 diventate strumenti di guerra ibrida contro Ue ed Occidente
Intendiamoci, io non sono un difensore d’ufficio di Parigi 2024. E tanto meno di alcune oggettive criticità che sono state riscontrate. Come ad esempio il livello di pericolo per gli atleti rappresentato dall’inquinamento della Senna, o l’imperdonabile previsione di una tettoia che riparasse dalla pioggia tutti i Capi di Stato presenti, e non solo quello francese, alla cerimonia di apertura. Ma anche il cattivo gusto delle scene sanguinolente di una Maria Antonietta che parlava con la propria testa testa decapitata in mano, o della scena di quella che molti hanno hanno interpretato come una parodia dell’Ultima Cena, ed una gratuita offesa a milioni di cristiani, e persino di Mussulmani (per i quali Cristo non è Dio, ma un profeta che va rispettato), che nulla aveva a che fare con lo spirito olimpico.
Criticità delle quali sono certo gli organizzatori italiani delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 sapranno sicuramente fare tesoro. Perché sono certo che i cugini d’oltralpe non si dimenticheranno delle aspre critiche ricevute quest’anno, soprattutto da parte italiana, assieme al Cio.
Certezza che proviene non tanto dal fatto che l’Italia, ad un passo dai giochi olimpici invernali, abbia il coraggio, al limite della temerarietà, di sostituire, per ragioni politiche, un presidente del Coni di provata competenza. Che ha dimostrato essere uno dei pochissimi responsabili di un’istituzione nazionale i cui risultati di gestione non sono fatti di parole, ma della concretezza delle medaglie olimpiche, che pongono l’Italia al nono posto nel mondo.
Mi viene, soprattutto, dalla lettura di due opere che hanno accompagnato la lettura dei commenti, media e social, sui giochi di Parigi. Offrendomi una inquietante chiave di lettura di eccessive e polarizzanti polemiche, come ad esempio quella sul genere della boxeuse algerina medaglia d’oro Imane Khelif. Polemiche che, dall’arena tecnico sportiva in cui dovevano rimanere, nella Pulcinellopoli di cui spesso tratto nei miei pensieri in libertà di un patriota italiano-europeo, precisando che non è la Patria che amo e che ho servito tutta la mia vita – anche ora da semplice volontario istituzionale, attraverso il giornalismo – sono diventate sale della polarizzazione da curva di stadio. Non da tribuna autorità. Con la triste particolarità che hanno coinvolto, e portato nelle curve degli stadi e nei bar sport, anche alcuni vertici istituzionali.
Lo Sharp power della guerra ibrida spiegato da Paolo Messa penetra nella carne viva dell’Italia polarizzata
La prima di queste due opere, in ordine di pubblicazione, che hanno confermato tristemente le mie già grandi preoccupazioni, è “L’era dello Sharp power. La guerra (cyber) al potere”, di Paolo Messa, fondatore di Formiche.
Pubblicato nel 2018, prima quindi della pandemia e, soprattutto, dell’invasione Russa dell’Ucraina, dimostra che l’autore sapeva già tutto. E aveva già previsto tutto. Comprese le polarizzazioni e le campagne anti europee ed anti Occidente, che hanno accompagnato in modo inquietante gli ultimi giochi olimpici.
E sapeva tutto non perché avesse una sfera di cristallo, ma per il semplice fatto che è un attento studioso della nostra realtà. E la sua opera è il frutto di una ricerca accademica fatta non (solo) ascoltando le curve degli stadi ed i bar sport italiani (e non solo), ma anche (soprattutto) analizzando con metodo scientifico la guerra ibrida che da anni si combatte in Europa, anche attraverso la disinformazione. Una guerra cinetica che è ibrida sia nelle forme che nei contenuti. Perché è allo stesso tempo cyber, informativa, politica ed economica.
Ed è una guerra, che si combatte da anni, come nuova forma di lotta per il potere globale. Ci troviamo in quella che Messa definisce l’era dello Sharp power (il potere tagliente). Che segue, accompagna o alterna, le mosse di hard e soft power.
Imane Khelif vittima e strumento di Sharp power contro Europa e Cio
E come non pensare allo Sharp power di fronte agli attacchi spietati, social e mediatici, che hanno visto come destinatari il combinato disposto della gestione olimpica da parte del Comitato Internazionale Olimpico e dalla Francia del principale nemico in Europa della Russia di Putin? Indipendentemente dalle oggettive défaillances segnalate, che, come detto, mi auguro saranno minori ai giochi olimpici invernali organizzati dall’Italia, mi ha scioccato assistere, ad esempio, alla suggestione infusa in tanti italiani dalla Federbox mondiale, notoriamente in mano ad un amico di Putin, circa il genere della boxeuse algerina Imane Khelif. Malgrado la posizione del Cio, cui si è trovato allineato il nostro Coni, oltre che la maggior parte dei tecnici ed atleti del settore.
Non posso quindi non dare ragione, con grande inquietudine, a Paolo Messa, quando, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, scriveva che “siamo di fronte a una rivoluzione nella scienza delle relazioni internazionali. Il trend è globale: l’immagine dell’uomo forte, la creazione di un nemico comune, la narrazione del ‘noi contro di loro’ promosse da regimi illiberali come la Russia, Cina e Iran esercitano un’attrazione sempre più forte sulle opinioni pubbliche di tutto il mondo”.
Unità militari ad hoc hanno gestito gli algoritmi del boicottaggio di Parigi 2024?
Ed è l’era dello Sharp power, quella in cui si sono svolte queste Olimpiadi. Perché francesi, ma anche, come ricordato, europee ed occidentali. E lo Sharp power, usando le parole di Messa, “come un coltello affilato trafigge il contesto mediatico e politico nei Paesi presi di mira”.
E come possiamo ignorare che la lotta per la leadership globale, anche attorno a dei giochi olimpici dai quali (a mio avviso inopportunamente) la Russia è stata esclusa, è fatta a colpi di fake news, manipolazioni e controllo, che vedono nel cyberspazio un teatro d’importanza cruciale? E Messa, senza sapere quello che sarebbe successo a Parigi, evidenzia ciò che gli uomini dell’intelligence sanno da tempo: “Qui a fronteggiarli non sono solo gruppi di troll e hacker con il tacito benestare dei governi di riferimento, ma anche vere e proprie unità militari create ad hoc”.
A causa dei “Maleducati” di Mario Caligiuri, maggiore esposizione italiana allo Sharp Power
Alla domanda sul perché l’Italia sia più vulnerabile di altri Stati membri dell’Unione europea rispetto ai fendenti di questa lama affilata della disinformazione e propaganda anti europea ed anti Occidente (che è sempre un mix sapientemente dosato di true e fake) mi ha dato la risposta la lettura della seconda opera che mi ha accompagnato nell’analisi delle cronache italiane e non di queste Olimpiadi.
Si tratta del libro “Maleducati. Educazione disinformazione e politica in Italia”, del professore Mario Caligiuri, considerato uno dei massimi studiosi di intelligence in Europa (Luiss press).
“In definitiva, l’educazione alla democrazia sarebbe oggi un argine all’idea dilagante che tutto si possa risolvere con la propaganda e con la manipolazione, perché non bastano il voto e le elezioni per rendere reale una democrazia”, ricorda Caligiuri. Spiegando perché la disinformazione rappresenti oggi, a suo avviso, l’emergenza educativa e democratica di questo tempo, in quanto accentua pericolosamente la difficoltà di comprendere la realtà e i fenomeni che ci circondano e ci orientano.
Si è consolidata infatti una società della disinformazione, che si caratterizza in modo assai preciso: “la dismisura dell’informazione da un lato e il basso livello sostanziale di istruzione dall’altro”. Questo determina un cortocircuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione delle reali dinamiche sociali. “E per difendersi dalla disinformazione – secondo Caligiuri – c’è un solo, unico, possibile strumento: l’educazione, che serve per individuare le informazioni rilevanti, sviluppare il pensiero critico e connettersi con il proprio tempo”.
La disinformazione diventa centrale nell’orientare il comportamento dei cittadini e questa tendenza, sebbene operante da tempo, secondo l’Autore, è stata evidenziata solo dopo che l’ideologia progressista del politicamente corretto nel 2016 era stata sconfitta nelle consultazioni presidenziali americane e nella Brexit.
La realtà ha bisogno di occhi per vederla, al di là della percezione
Secondo Caligiuri, “non c’è nulla di misterioso, di complottista o di oscuro. La realtà è sempre davanti agli occhi di tutti, ma non vi si presta sufficiente attenzione. Notava John Le Carrè: ‘Viviamo in un’epoca di straordinario autoinganno dove la verità sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’altra’. Di riflesso, la dialettica tra verità e menzogna diventa ancora più fluida e complessa”. Ed è ciò che ha caratterizzato molto le polemiche polarizzanti, ai più alti livelli anche istituzionali (e non è stata cosa onorevole), attorno al genere della boxeuse algerina che ha poi vinto la medaglia d’oro olimpica.
Italia campo di battaglia della guerra ibrida degli algoritmi
Ma perché l’emergenza disinformazione sembra essere più allarmante in Italia, rispetto ad altri Stati europei, e come storicamente si è andata determinando? Per Caligiuri non vi sono dubbi. La responsabilità principale è nel basso livello di istruzione sostanziale dei cittadini e nel livello di libertà di stampa, che colloca l’Italia al 58° posto su 180 nel mondo. Questo ripropone in entrambi i versanti l’emergenza delle emergenze: quella educativa.
Sulle ragioni storiche che hanno permesso un alto livello di disinformazione in Italia, Caligiuri mette l’accento sui due elementi che caratterizzano la società della disinformazione: la parzialità – a cui poi si aggiunge l’eccesso – dell’informazione e il livello culturale degli elettori, nell’ambito di un processo strutturale di manipolazione dell’informazione, ancora per alcuni aspetti poco studiato con riferimento specifico alla disinformazione prodotta a livello nazionale.
Dall’esame delle interferenze straniere, oggetto del lungo periodo di studio di Paolo Messa, culminato nel 2018 nella citata pubblicazione per la casa editrice della Bocconi (L’era dello Sharp Power, ed. Egea), e delle responsabilità del difetto educativo nel nostro Paese, come evidenziato da Mario Caligiuri, si può meglio comprendere le particolarità del nostro Paese rispetto a molti altri europei ed occidentali.
Senza ignorare la pervasività dei mezzi social, e l’abilità dei nostri avversari strategici, e di coloro che hanno interesse a distruggere la coesione europea, per loro molto pericolosa, ad utilizzarli malevolmente. Un utilizzo senza le reti di protezione rappresentate dall’educazione al loro impiego, che ha profondamente modificato il discorso pubblico nazionale.
Dopo quasi tre lustri, i cleavage della politica sono cambiati di conseguenza (immigrazione, sicurezza, “verde”, diritti individuali, ecc).
Tempi duri per i moderati nel mondo polarizzato
Un pezzo rilevante dell’ideologia della destra contemporanea in Occidente riflette la piattaforma programmatica della Chiesa Ortodossa Russa (con molte sovrapposizioni con quella Evangelica statunitense) e più in generale la polarizzazione ha corroso gli spazi “moderati”, che nell’attuale governo sono occupati, per dirla con la terminologia utilizzata da Caligiuri, dall’” educazione ”, anche nell’approccio con l’Europa, del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani e pochi altri.
E questo ritengo non sia una buona cosa per il Paese, e neppure per l’unità europea. Che, non va mai dimenticato, resta l’unica speranza per non resuscitare nel nostro continente, dopo quasi otto decenni di pace, i fantasmi e le tragedie della prima metà del secolo scorso.
La lettura di Messa e Caligiuri, che mi ha accompagnato in quella delle cronache, spesso poco sportive, anti Olimpiadi, anti francesi, anti europee e anti tutto, mi ha convinto che ci troviamo in presenza della punta di un iceberg, e siamo largamente impreparati a gestire la navigazione in questo mare.
La permeabilità italiana alla penetrazione sovietica e russa
La scelta di molti miei interlocutori, anche moderati, e con livello di educazione elevata, di privilegiare, nelle polemiche attorno al genere della boxeuse algerina, la tesi non disinteressata delle federbox mondiale, in mano ad un amico di Putin, rispetto a quella del Cio, del quale fa parte anche il nostro Coni, non è certamente indifferente alla penetrazione culturale, di matrice sovietica-russa, estremamente profonda e larga in Italia.
Perché per oltre 60 anni ha pervaso la sinistra, e da quasi 15 quella che oggi è la destra.
E non si tratta di singole operazioni improvvisate, ci ammonisce Messa. Ed è avvantaggiata dall’enorme deficit di consapevolezza che abbiamo in Italia, anche per i problemi di pluridecennale “maleducazione” descritti da Caligiuri.