L’eliminazione di Ismail Haniyeh è l’ultima di una lunghissima serie di operazioni attraverso cui lo Stato ebraico, nei suoi 76 anni di storia, ha raggiunto e ucciso in qualsiasi parte del mondo i soggetti appartenenti ad organizzazioni ritenute direttamente o indirettamente responsabili di attentati nei confronti di ebrei o di israeliani. Dall’operazione “Ira di Dio” all’uccisione di Mughnyah, passando per i raid contro i reattori nucleari in Siria e in Iraq
“Ovunque si stia preparando un complotto, in qualsiasi luogo in cui si preparano le persone a uccidere ebrei, israeliani, è là che ci impegniamo a colpirli”. Così la storica premier Golda Meir, dopo il massacro di Monaco del 1972, inaugurò quella strategia con cui Israele nel corso degli anni colpirà, in varie parti del mondo, anche a distanza di anni, i suoi nemici.
Undici atleti israeliani sono stati appena uccisi da un commando di Settembre Nero, gruppo terroristico palestinese, davanti agli occhi di tutto il mondo, proprio in quella Germania che nemmeno trent’anni prima aveva messo in atto il più orribile genocidio della storia. Israele è sconvolta, la premier Golda Meir decide che per la sicurezza del Paese, degli israeliani e degli ebrei di tutto il mondo, è necessaria una svolta. Non si tratterà, però, solo di vendetta, ma anche di sicurezza, prevenzione e soprattutto deterrenza. Saranno, infatti, questi gli obiettivi dell’Operazione di Dio, organizzata dal Mossad con il chiaro scopo di uccidere i responsabili del massacro del 5 e 6 settembre 1972, ed al contempo, appunto, per creare un deterrente a futuri atti terroristici antisraeliani.
Tale operazione ebbe inizio il 16 ottobre del 1972 a Roma, con la tanto discussa eliminazione di Wael Zuaiter, e proseguì per circa vent’anni in varie zone d’Europa e del mondo. Sempre a Roma, tra l’altro, dieci anni dopo, verranno poi uccisi due militanti palestinesi, Youssef Kamal Hussein, viceresponsabile della rappresentanza dell’Olp in Italia, con un ordigno piazzato nella sua macchina, e il giornalista palestinese Nazeyk Matar, a revolverate.
Nel mezzo c’è l’Operazione Babilonia. Il 7 giugno 1981, durante il governo presieduto da Menachem Begin, i cacciabombardieri israeliani distruggono il reattore nucleare iracheno a Osirak, a ovest di Baghdad, causando l’uccisione di dieci soldati iracheni e uno scienziato francese e provocando un’ampia condanna a livello internazionale. Operazione preventiva, facente parte della cd. dottrina Begin, attiva ancor oggi, che considera legittimo ogni intervento di Israele volto a prevenire la corsa al nucleare dei Paesi che considera nemici.
Così come fu preventiva, sempre nell’ottica della dottrina sopracitata, l’Operazione Corchard, con la quale l’aeronautica israeliana nel settembre 2007 bombardò il reattore nucleare siriano, tra Raqqa e Deir Ezzor, in grado, secondo Israele, di produrre il plutonio necessario per l’atomica.
Sempre in Siria, a Damasco, sei mesi dopo, il 12 febbraio del 2008, la collaborazione tra Cia e Mossad portò la storica uccisione di Imad Mughniyah, leader e fondatore di Hezbollah, considerato responsabile dell’attentato al quartier generale israeliano a Tiro e di quello all’ambasciata americana a Beirut, e che per sfuggire alla caccia di Israele e Stati Uniti, ogni notte dormiva in un posto diverso.
Un altro bersaglio inserito nella lista della “vendetta senza confini e senza scadenza” è Mahmoud al-Mabhouh, funzionario di Hamas e fondatore del suo braccio armato, le Brigate ‘Izz al-Din al-Qassam. Nel gennaio 2010, attraverso una clamorosa operazione del Mossad, al-Mabhouh, verrà assassinato in un hotel a Dubai, ma le forze di polizia del Paese, dopo aver raccolto i video registrati dalle telecamere di sorveglianza, sveleranno a tutto il mondo la responsabilità degli agenti israeliani, che subiranno ancora una volta, un’ampia condanna morale a livello internazionale.
E già nel marzo 2004, a Gaza, Hamas era stata colpita con l’uccisione del suo fondatore, lo sceicco Ahmed Yassin, tramite un missile lanciato da elicotteri israeliani, e nemmeno un mese dopo, Israele, tramite un raid uccise anche il suo successore, ‘Abd al-‘Azīz al-Rantissi. Anche in questo caso non mancarono le polemiche da parte di diversi organi internazionali, che accusarono lo Stato ebraico di compiere delle vere e proprie uccisioni extragiudiziarie.
E arriviamo ad oggi, con la violenta guerra tra Israele e Hamas in corso a Gaza, ma che non si limita esclusivamente ad operazioni all’interno della striscia, dal momento in cui come avvenuto in passato, Israele, al fine di conciliare sicurezza, prevenzione, deterrenza e vendetta, compie mirate operazioni nei Paesi confinanti. Mercoledì scorso c’è stata, infatti, l’uccisione del capo politico di Hamas, ma prima dell’eliminazione di Ismail Haniyeh con il raid a Teheran, Israele in questi mesi aveva già colpito più volte fuori da Gaza, al fine di eliminare anche dei bersagli non palestinesi. Ricordiamo, infatti, che nelle ore precedenti la morte di Haniyeh, Israele aveva ucciso a Beirut il capo dell’unità strategica di Hezbollah e braccio destro di Nasrallah, Fouad Shukur, mentre il primo aprile, durante il bombardamento del consolato iraniano di Damasco, era rimasto ucciso, insieme ad altre quindici persone, Mohammad Reza Zahedi, comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica.