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Tutto per il sicario di Berlino. Cosa dice di Putin lo scambio di prigionieri

Vadim Krasikov, colonnello dell’Fsb lodato dal leader nella nota intervista a Tucker Carlson, è l’uomo al centro dell’operazione che ha coinvolto altre 25 persone e sette Stati. Era stato condannato per l’omicidio di un esule georgiano in Germania. L’impegno del Cremlino per riaverlo è la conferma del patto di sangue con i suoi uomini

Vadim Krasikov è il pezzo pregiato dell’inedito maxi-scambio di prigionieri, il più grande post Guerra Fredda, che ha coinvolto 26 persone (tra cui il giornalista Evan Gershkovich del Wall Street Journal, Paul Whelan, un ex Marine, e il dissidente Vladimir Kara-Murza) e sette Paesi (Stati Uniti, Russia, Germania, Polonia, Slovenia, Norvegia e Bielorussia).

È un colonnello dell’agenzia d’intelligence interna russa Fsb, che stava scontando una condanna all’ergastolo in Germania per aver ucciso al Tiergarten di Berlino, nell’agosto del 2019, con tre colpi d’arma da fuoco, l’esule georgiano Zelimkhan Khangoshvili, che aveva combattuto a fianco dei ribelli ceceni.

A lui il leader russo Vladimir Putin aveva fatto riferimento a febbraio, pochi giorni prima della misteriosa morte del dissidente Alexey Navanly, nella nota intervista con Tucker Carlson, figura di spiccio dell’alt-right americana. Parlando di Gershkovich, nei giorni scorsi condannato a 16 anni di carcere per spionaggio, si era detto aperto a uno scambio come accaduto già a fine dicembre con la cestita americana Brittney Griner, arrestata all’aeroporto di Mosca con l’accusa di trasportare olio di hashish nel suo bagaglio, e il trafficante d’armi russo Viktor Bout. In quell’intervista Putin si era spinto oltre nel paragone tra un giornalista e un sicario: mentre “non ha senso” tenere in prigione Gershkovich, Krasikov è “una persona che, per senso di patria, ha fatto fuori un bandito in una delle capitali europee”. “Che l’abbia fatto di sua volontà o meno, è un’altra questione”, ha detto ancora non negando che l’operazione gli fosse stata ordinata da Mosca.

Le parole di allora e le mosse recenti di Putin confermano il patto di sangue tra il Cremlino e i suoi uomini: li indietro, sempre e a qualsiasi prezzo se si comportano bene; per quelli che si comportano male, trova il più delle volte il modo per metterli a tacere.

Il rientro in patria di Krasikov è stato possibile grazie anche alla decisione di Alexander Lukashenko, leader bielorusso sempre più “pupazzo” di Putin, di graziare il cittadino tedesco Rico Krieger, che era stato condannato alla pena di morte per fucilazione per sei reati, fra cui terrorismo e attività mercenaria. La sua liberazione ha dato alla Germania, che nei suoi discorsi Putin ha sempre ignorato preferendo riferirsi agli Stati Uniti e ignorando quindi la sovranità tedesca, una ragione per liberare Krasikov.

Siamo davanti a un altro chiaro esempio di diplomazia degli ostaggi, tattica che ha costi e rischi ridotti per chi la utilizza, mentre richiede alle società aperte di coinvolgere tutti i loro settori per contrastarle con efficacia. Assieme a Krasikov, tornano in Russia anche la coppia Artem Dultsev e Anna Dultseva, spie dell’Svr, Pavel Rubtsov, uomo del Gru sotto copertura giornalistica, l’hacker Roman Seleznev, Mikhail Mikushin, “illegale” del Gru, e il trafficante Vadim Konoshchenok. Tanto per dare l’idea dell’asimmetria dello “scambio”.

“Sempre più spesso gli Stati, ma anche gli attori non statali, detengono ingiustamente persone, spesso come pedine politiche”, aveva dichiarato a febbraio Antony Blinken, segretario di Stato americano. Una pratica “in crescita” che “minaccia la sicurezza di tutti coloro che viaggiano, fanno affari e vivono all’estero” e che rappresenta “una palese violazione dei diritti umani individuali delle vittime, di una violazione del diritto internazionale, di una violazione della sovranità dello Stato e, soprattutto, di una violazione della loro umanità basilare”, aveva aggiunto.


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