Ecco la storia della più grande fortificazione di difesa del territorio italiano mai realizzata, tra Guerre Mondiali, Guerra Fredda, spie, armi nucleari e piani di invasione
Nel mio libro ultimo libro “La Guerra Fredda non è mai finita. Storie di agenti segreti e cyber spie”, edito da Rubbettino, ho raccontato brevemente la storia del Vallo Alpino, il sistema di fortificazioni costruito tra le due guerre mondiali per difendere il confine alpino. Questa storia, poco conosciuta, merita un maggiore approfondimento storico perché ha rappresentato un pezzo importante della difesa nazionale. Ma partiamo dalle origini di questa fortificazione.
LE ORIGINI
Dopo la Prima Guerra Mondiale, complici anche tutti i problemi territoriali lasciati aperti dal Trattato di Versailles, la maggior parte degli Stati europei iniziò a fortificare le proprie zone di frontiera: in Francia venne costruita la Linea Maginot, in Germania la Linea Sigfrido, in Svizzera il Ridotto Nazionale, in Grecia la Linea Metaxas, in Russia la Linea Stalin e in Jugoslavia la Linea Rupnik. L’Italia fascista non fu da meno e, data la pessima situazione in cui versavano le opere di difesa nell’arco Alpino, i vertici del Regio Esercito decisero di intraprendere la realizzazione di nuove opere difensive.
IL CONFINE FRANCESE
Queste opere iniziarono sul confine italiano con la Francia, dove c’erano già delle fortificazioni costruite nei secoli precedenti per contrastare gli attacchi dei francesi, ma essendo obsolete o disarmate – i prezzi d’artiglieria erano statati inviati sul fronte del Piave dopo la disfatta di Caporetto – necessitavano di nuove strutture di difesa, e proprio queste divennero la base per il Vallo Alpino.
IL FORTE PIU’ ALTO D’EUROPA
Tra le varie fortificazioni furono realizzate quattro moderne batterie corazzate per sbarrare l’accesso alla Val di Susa con i forti, Pramand a Salbertrand, Paradiso e La Court al Moncenisio e Chaberton a Cesana; quest’ultimo, che dall’alto dei suoi 3.130 metri di altitudine domina la solitaria Cesana e il pianoro del Monginevro, è considerato ancora oggi la fortificazione più alta d’Europa.
1.851 KM DI CONFINE
Sul confine con la Svizzera, invece, venne risistemata la Linea Cadorna, nata durante la Grande Guerra nel timore di un attacco tedesco attraverso la Confederazione elvetica, mentre verso la Jugoslavia e l’Austria, che nel marzo del 1938 venne annessa alla Germania, le fortificazioni furono costruite partendo da zero. Formato da bunker, forti, baraccamenti, batterie di artiglieria, caserme, ricoveri e strade militari, il Vallo Alpino era lungo 1.851 km e partiva dal confine alpino con la Francia, si estendeva per tutta la frontiera con la Svizzera, l’Austria e finiva in Jugoslavia, praticamente da Ventimiglia a Fiume, all’epoca città italiana.
LA CIRCOLARE 200
La costituzione del “Vallo Alpino del Littorio”, questo il nome ufficiale del più vasto progetto di difesa del territorio italiano mai concepito, iniziò il 6 gennaio 1931 con l’emanazione della Circolare 200 da parte dello Stato Maggiore del Regio Esercito che conteneva le linee guida sul metodo di costruzione, il posizionamento e l’armamento delle nuove opere difensive sui confini. In particolare, questa circolare era incentrata sul metodo costruttivo: la Grande Guerra aveva evidenziato l’importanza di fortificazioni e capisaldi che avrebbero dovuto resistere ai nuovi potenti calibri dell’artiglieria; fu quindi deciso di installare le artiglierie in cavità protette da cupole corazzate rotanti, fisse o a scomparsa, e di proteggere i forti con grossi spessori di calcestruzzo armato.
LINEA NON MI FIDO
In Alto Adige, però, il lavoro fu molto più complesso dato che l’area, fino alla fine della Prima Guerra Mondiale era stata territorio austriaco, e quindi non aveva difese. Ma questo confine venne notevolmente rinforzato anche a causa dell’aggressività della Germania nazista. Infatti, nonostante la grande amicizia tra Mussolini e Hitler, il Duce non si fidava molto del Führer e inviò al Generale Badoglio il promemoria: “I tedeschi sono temibili come nemici ed insopportabili come amici. Ma se Hitler intende agire di testa sua, non è detto che io non possa riprendere interamente la mia libertà d’azione. Intanto lei metta subito allo studio il rafforzamento della frontiera verso la Germania”. Non a caso, anche negli ambienti di governo, il tratto orientale del Vallo Alpino del Littorio viene indicato come la “Linea non mi fido”.
SBARRAMENTI DIFENSIVI
Il genio militare italiano aveva progettato il Vallo Alpino come una serie di sbarramenti difensivi, ovvero delle opere fortificate presidiate da appositi reparti militari, ideati per bloccare le principali vie di transito al confine. Questi sbarramenti erano poi posizionati sotto i fianchi delle vallate o a fondo valle, quando questa era abbastanza ampia, e avevano come alcuni fondamentali come: un certo numero di bunker dislocati nella zona armati con mitragliatrici e cannoni anticarro, un fossato o muro anticarro, postazioni d’artiglieria armate di mortai arretrate rispetto allo sbarramento per l’appoggio e l’interdizione, osservatori posti sulle cime più alte aventi una migliore visuale, ampi ricoveri per truppe in posizione più arretrata e collegamenti stradali per poter schierare l’artiglieria di appoggio in maniera rapida ed efficace.
IL MIMETISMO
Chiaramente queste strutture erano perfettamente mimetizzate nell’ambiente circostante. Molti bunker e postazioni vennero scavati direttamente nella roccia, e quindi fu più facile occultarne la presenza; altre invece, specialmente se posizionate nelle valli o in ambienti pianeggianti, furono camuffati come se fossero fienili, legnaie e rimesse degli attrezzi; in alcuni casi furono mascherati come una baita o maso e, in altri casi, addirittura come depositi materiali dell’ANAS o di cabine elettriche.
LA GAF
A presidiare queste fortificazioni c’erano le unità della GaF, il corpo di Guardia alla Frontiera, creato specificatamente per presidiare queste opere, il cui motto era «Dei sacri confini guardia sicura». Creata il 4 dicembre 1934 la GaF, che comprendeva reparti di genio, artiglieria e fanteria, rimase in attività fino alla Seconda Guerra Mondiale dopodiché il corpo fu assorbito nell’Esercito Italiano.
LA REDIFINIZIONE DEI CONFINI
Dopo il secondo Conflitto mondiale la maggior parte delle fortificazioni del Vallo Alpino occidentale vennero demolite come previsto dalle clausole del Trattato di pace con la Francia; alcune poi finirono in territorio francese dopo la ridefinizione dei confini. Stesso destino toccò alle fortificazioni presenti nella parte orientale del Vallo, che passarono in mano jugoslava dopo la cessione di parte del Friuli-Venezia Giulia.
LA GUERRA FREDDA
Ma la funzionalità del Vallo Alpino non cessò del tutto, anzi. L’inizio della Guerra Fredda portò una nuova esigenza di difesa del confine orientale a causa di possibili invasioni proveniente dal blocco sovietico.
LA SOGLIA DI GORIZIA
Una prima criticità era rappresentata dal confine con la Jugoslavia. Qui c’era la famosa Soglia di Gorizia, una delle chiavi della difesa dell’Occidente nei confronti della minaccia di invasione da parte dei reparti corazzati sovietici via Jugoslavia, che svolgeva sul fianco sud della Nato un ruolo del tutto simile a quello del Fulda gap in Germania. Questa minaccia portò alla costruzione di un nuovo sistema fortificato, in parte basato su quello preesistente del Vallo Alpino, che divenne il punto focale della difesa a nord della Penisola da un’eventuale invasione da est.
IL CONFINE AUSTRIACO
A nord, invece, il confine con l’Austria era maggiormente esposto a possibili invasioni dei carri armati del Patto di Varsavia. In questo scenario i mezzi corazzati sovietici sarebbero partiti dall’Ungheria e, dopo aver attraversato l’Austria in poco tempo – che avendo adottato lo status di neutralità non aveva una grande difesa – avrebbero puntato la zona compresa tra il valico del Brennero e il passo della Val Pusteria, che rappresentava l’area più strategica in quanto congiunzione dei due punti d’ingresso verso la Pianura Padana, minacciando quindi tutto lo schieramento meridionale della NATO.
NUOVE DIFESE
Quindi, anche sul confine austriaco, le già presenti difese del Vallo Alpino furono aggiornate e potenziate, sotto l’egida della Nato che integrò i piani di difesa di questa linea con tutti gli altri piani dell’Alleanza. Furono costruiti nuovi bunker, nuove postazioni e gallerie, adatte anche alle armi NBC (nucleare, batteriologico, chimico), collegate tra di loro da un nuovo sistema di comunicazione. Questa linea di difesa avrebbe rappresentato il primo sbarramento all’avanzata delle truppe del Patto di Varsavia, che per fortuna non arrivò mai.
LA BASE DI SITE RIGEL
Tra le strutture costruite c’era anche la base militare di Site Rigel, nel territorio comunale di Naz-Sciaves, nei pressi della città di Bressanone. Il sito fu utilizzato dal 1967, anno di costruzione, fino al 1983 come deposito di «munizioni speciali», sinonimo di munizioni nucleari, dell’Esercito statunitense, destinate, in caso di conflitto con gli Stati del Patto di Varsavia.
MINE NUCLEARI
In questa base, tra le armi in dotazione, c’erano anche delle mine nucleari, si trattava di mine terrestri di potenza estremamente variabile, da 0,1 a 15 kilotoni, e di peso contenuto ad una ventina di kg. Denominate “ADM” (Atomic Demolition Munition) o SADM (Special Atomic Demolition Munition), potevano essere trasportate da uomini o da paracadutisti, e sarebbero state usate per bloccare, in caso di invasione, il transito dei nemici nei colli di bottiglia dei passi alpini di Resia, Brennero o Prato alla Drava-Versciaco.
HONEST JOHN
Cosa ci fosse nella base, ovviamente, era segreto militare e lo è tutt’ora. Poco meno di due ettari che comprendevano un paio di capannoni, due bunker e alcune palazzine con rampe missilistiche a corta e media gittata, puntate su obiettivi strategici come il ponte Europa a nord di Innsbruck. Missili tipo MGR-1 più noti come «Honest John», tecnicamente «vettori tattici per armi nucleari» con gittate tra i 7 e i 48 km.
UNA SPIA TRA I MONTI
La base di Site Rigel, nel 1972, come ha scritto Paolo Cagnan, fu anche al centro di un caso di spionaggio quando il capitano americano James Warren Lieblang, allora ventiseienne, fu arrestato con l’accusa di essere una spia al soldo di Mosca. I giornali dell’epoca scrissero che il capitano Lieblang si era congedato in modo anomalo un anno prima dell’arresto e l’FBI iniziò a pedinarlo nei suoi frequenti viaggi in Italia. Turista sui generis, sempre dalle parti del Brennero e di altri valichi strategici per la difesa, come il passo di Resia e la zona di Trieste. Lo ritroveranno, in quell’estate di quasi 40 anni fa, a curiosare dalle parti di Naz. Fermato a bordo della sua macchina dal controspionaggio italiano, salteranno fuori una macchina fotografica e documenti, che la procura definirà “compromettenti e di notevole importanza”. Le indiscrezioni dell’epoca parlavano di carte geografiche segnate e schizzi sulla dislocazione d’installazioni militari.
LO SBARRAMENTO PIAN DEI MORTI
Una delle opere di fortificazioni più importanti è lo Sbarramento Pian dei Morti, in tedesco Sperre Plamort, che si trova a 2.000 metri di quota, sopra al lago di Resia, al confine con l’Austria, nella val Venosta, in Alto Adige. Questo sbarramento ha una caratteristica unica nel suo genere che presenta un ostacolo anticarro del tutto particolare, a forma di “denti di drago”, un ostacolo difensivo militare costruito in ferro e calcestruzzo, la cui forma è particolarmente efficace per arrestare l’avanzata di carri armati.
LA CADUTA DEL MURO
Alla fine degli anni ’80, con i primi degnali di decadenza del Patto di Varsavia, alcune fortificazioni delle linee più arretrate furono man mano dismesse e quindi demilitarizzate. Con la caduta del Muro di Berlino e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica, la quasi totalità di queste strutture furono dismesse, mentre altre, invece, sono state disarmate e sigillate.
IL VALLO ALPINO OGGI
Molte di queste strutture, benché abbandonate, sono visitabili su tutto l’arco alpino; diverse di queste hanno degli appositi sentieri di montagna e sono diventate delle vere attrazioni turistiche. Alcuni forti e bunker del Vallo sono stati invece recuperati da alcune associazioni volontaristiche e oggi sono diventati dei musei. Tra questi si segnalano: Il Museo del Forte Bramafam a Bardonecchia, il BunkerMuseum a Dobbiaco e il Bunker Mooseum in Val Passiria.
Sulla storia del Vallo Alpino sono statti scritti diversi saggi e libri, tra questi si segnala “Alpi inviolabili. Il Vallo Alpino fino alla Guerra Fredda”, scritto da Minola e Mauro Zetta Ottavio.