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Cercavo l’Africa vera, ho conosciuto l’Italia migliore. Il viaggio dell’amb. Talò

Di Francesco Talò

Il viaggio dell’ambasciatore Francesco Maria Talò in Uganda insieme al direttore del Cuamm, Medici con l’Africa, don Dante Carraro. A fare la differenza nella presenza degli italiani nel Paese c’è una preposizione: “con” e non “per”. Questo vuol dire fare cooperazione e non assistenzialismo, racconta nel suo reportage Talò

Dopo quarant’anni di vita al servizio dello Stato con tanti viaggi lampo, mi piace ancora girare il mondo ma in un modo diverso, approfondendo le conoscenze. Soprattutto, cerco l’Africa vera, lontano dai palazzi di governo. L’ho fatto grazie a don Dante Carraro in un viaggio estivo che in fondo era iniziato a Natale con un libro ricevuto in dono, “Africa andata e ritorno”, una raccolta di lettere dei volontari del Cuamm, Medici con l’Africa. Le pagine scritte dai ragazzi dell’associazione diretta da don Dante mi hanno fatto scoprire un’Italia migliore che di fatto già realizza il metodo proposto per il Piano Mattei e si è consolidata la mia volontà di scoprire l’Africa vera.

Ho contattato don Dante che mi ha proposto di andare con lui in Uganda perché è un Paese ponte, un anello nella catena di sviluppo. Ci sono ancora grandi lacune da riempire e non sono stati raggiunti i risultati del Kenya, che infatti il Cuamm ha deciso di lasciare, ma l’Uganda è avanti rispetto al Sud Sudan, dove infatti adesso operano infermiere ugandesi con un esempio di cooperazione afro-africana o del Burkina Faso, che potrebbe essere un nuovo Paese per i progetti del Cuamm, in parallelo con la crescente attenzione del nostro governo per il Sahel.

L’idea dei Medici con l’Africa è infatti quella di concentrare le limitate risorse dove c’è più bisogno ed accompagnare verso una crescente autosufficienza le comunità con cui si lavora.

All’arrivo ci dirigiamo subito verso le zone più povere del nord dell’Uganda. Il lungo viaggio in macchina è il modo migliore per entrare nella vita di un Paese che sembra riversare sulle strade tutte le attività: il commercio, con mercatini, baracche e bancarelle ambulanti, la pastorizia, con mucche che vengono condotte ai margini e talvolta al centro della carreggiata, l’agricoltura, con i camion stracolmi di canna da zucchero. E poi sulle strade non solo tanti camion e una miriade di motociclette, ma una fiumana di umanità, persone che camminano a decine di chilometri di distanza da qualsiasi abitato. Il primo mezzo di trasporto sono i piedi.

Camion stracarichi di canna da zucchero

 

 

Il Nilo

E intanto, in macchina con don Dante e il personale del Cuamm, ugandesi e italiani, per me ore di conversazione alla scoperta di un mondo. Capisco che a fare la differenza c’è una preposizione: “con” e non “per”. Questo vuol dire fare cooperazione e non assistenzialismo. Dovremmo saperlo per le esperienze maturate anche all’interno dell’Italia ed è la lezione di Enrico Mattei. Non si tratta quindi di un approccio caritatevole, ma di innescare meccanismi di uno sviluppo che è nel nostro interesse nazionale ed è anche una crescita umana e professionale dei giovani italiani che scelgono di fare un’esperienza in un ospedale africano.

Ne parlo con Martina e Laura nella foresteria dell’ospedale di Matany. Presto torneranno a lavorare a Torino e a Padova, ma sanno già che avranno nostalgia per le giornate trascorse in questa struttura diocesana. Un lavoro gravoso, ma con esperienze mediche che nessun neolaureato in Italia riesce ad acquisire in sei mesi, apparecchiature meno avanzate, ma una straordinaria attenzione clinica e anche, forse sorprendentemente, molto ordine, le infermiere orgogliose nelle loro tenute contraddistinte da cinture di colore diverso in ragione del livello gerarchico raggiunto. I pazienti e le loro famiglie sparsi anche nelle aree verdi dei cortili tra fiori e galline, ma in un contesto di pulizia. I nostri giovani medici mi raccontano dei ringraziamenti ricevuti anche quando l’esito della terapia è tragico. Quale differenza con le cronache dei nostri pronto soccorso!

Si tratta quindi di crescere insieme. Ma come? Si può lavorare su progetti semplici, come fa il Cuamm insieme a piccole organizzazioni della società civile locale. Ad esempio con la casa (in Italia si direbbe capanna) modello, dove si spiega come prevenire la malaria: come usare le indispensabili zanzariere, evitare le pozze d’acqua, piccoli rimedi per prevenire questa malattia infettiva, che in Uganda è la maggiore preoccupazione sanitaria.

Il Cuamm dedica un’attenzione prioritaria a donne e bambini. Visito i reparti maternità con attrezzature donate dalla cooperazione italiana e noto l’attenzione dedicata nei piccoli ambulatori rurali al dialogo con le donne. Ovunque, appesi alle pareti, molti grafici. L’approccio è infatti molto umano, ma anche rigorosamente scientifico: contano i numeri, che sono i fatti. Li vedo in quelle statistiche appese tra i campi ugandesi, li ha sentiti snocciolare da don Dante il capo del governo ugandese Robinah Nabbanja al meeting di Rimini. Bastano pochi dati per alimentare quella speranza indispensabile per far funzionare una cooperazione coinvolgente e quindi duratura tra donatori e governi africani: in Karamoja (la regione settentrionale e particolarmente povera che ho visitato) il tasso di mortalità infantile si è ridotto al 26,1 per mille rispetto alla media ugandese del 36 per mille, dal 2020 al 2023 il tasso di successo nel trattamento della tubercolosi è passato dal 58 all’87%, il notevole aumento nella raccolta del sangue per i reparti di ostetricia ha portato ad una riduzione del 31% della mortalità delle madri.

Francesco Talò con la ministra della Salute Jane Ruth Aceng

Ne ho parlato con la ministra della Salute Jane Ruth Aceng, che incontro a Kampala a conclusione del mio viaggio. Nel nostro lungo colloquio Aceng si dimostra ben informata e molto grata per l’impegno del Cuamm e della cooperazione italiana. La ministra è un medico e mi dice che malaria (l’Uganda è il terzo Paese più colpito al mondo da questa malattia) e tubercolosi rimangono le sue maggiori preoccupazioni e rispetto a queste malattie infettive il lavoro fatto con gli italiani sta producendo risultati. Poi c’è il vaiolo delle scimmie che viene dalla Repubblica Democratica del Congo, il numero degli infettati in Uganda sembra ancora ridotto (a fine agosto sei persone), ma occorre mantenere alta la guardia. Ma ci sono anche quelle che in Uganda sono “malattie nuove”, quelle che colpiscono di più gli italiani: i tumori, i problemi legati all’alimentazione sbagliata ed eccessiva (mentre ancora non è debellata la sottonutrizione). Ecco l’immagine di un Paese in transizione.

Spettacolo col sostegno del Cuamm per indurre la popolazione a donare il sangue

Del resto, l’immagine della transizione è data dal contrasto tra le campagne, dove il tempo sembra trascorrere lentamente, ed il trambusto della capitale con l’inquinamento atmosferico. L’Africa vera è quella che ho visto nei villaggi, ma anche quella di Kampala e in un continente che conosce una straordinaria urbanizzazione l’Uganda si distingue per la crescita demografica.

Le strade servono per collegare questi mondi che convivono, ma sono importanti anche per il sistema sanitario, avvicinano gli ospedali ai malati e alle donne che devono partorire. Intanto il sistema, come mi spiega la ministra Aceng, si struttura in modo articolato. È ciò che ho visto: dal volontario che non è un medico ma spiega agli altri abitanti del villaggio che le donne incinte devono andare in ospedale e non partorire in casa rischiando la vita, ai poliambulatori rurali agli ospedali più attrezzati.

Le strade, le grandi opere infrastrutturali sono un volano di sviluppo. Di cinesi nelle zone rurali che ho visitato non ne ho visti, ma è evidente la pervasiva presenza di Pechino nelle infrastrutture.

A conclusione della visita incontro a Kampala alcuni esponenti di governo. Apprezzano l’impostazione del Piano Mattei, il suo carattere di autentico partenariato e di condivisione di interessi, ma soprattutto lamentano i condizionamenti rispetto ai diritti umani provenienti da alcuni interlocutori occidentali. La Cina evidentemente non ha questo approccio, ma alla lunga – rilevo – fa pagare cari economicamente e politicamente i suoi crediti. Al riguardo i miei interlocutori mostrano di non temere la “trappola del debito”.

Ne parliamo proprio alla vigilia del vertice Cina-Africa di Pechino e i miei interlocutori mi dicono di essere in grado di gestire il rapporto con la RPC: “Non siamo ingenui”. Mi viene invece contestato il “doppiopesismo” degli europei: “Noi per essere ammessi alle università dobbiamo conoscere la rivoluzione francese e la Prima guerra mondiale, ma i vostri studenti cosa sanno dell’Africa?”.

Ovviamente, la Cina non è in Africa per scopi caritatevoli. Fa incetta di materie prime africane, le relazioni commerciali con il continente hanno aperto mercati per i prodotti cinesi e non mancano le scuole di partito. Del resto gli africani sono interessati ad acquistare veicoli, frigoriferi, computer, elettrodomestici, ecc. L’Africa è sempre di più un mercato di consumatori, ma le aziende occidentali sembrano poco interessate o non capaci di competere con cinesi ed indiani.

Eppure c’è un’Africa che cresce anche in campo tecnologico, occorre starci dietro. I nostri diplomatici ottengono importanti risultati e devono letteralmente farsi in tre: l’Ambasciata d’Italia a Kampala dispone di un organico inferiore rispetto a quello di altri paesi europei ed in più, diversamente da alcuni, deve coprire non solo l’Uganda, ma anche altri due Paesi vicini, il Burundi e il Ruanda.

Incontro l’Ambasciatore Massoni che è appena tornato dal Ruanda, dove ha presentato le credenziali di Ambasciatore d’Italia nelle mani del Presidente Kagame. Ricordo l’incontro avuto con questa personalità nel settembre di un anno fa a New York da Giorgia Meloni. Il Ruanda ha conosciuto trent’anni fa un genocidio che ha distrutto la nazione sotto ogni aspetto eppure adesso Kagame mira a fare di questo piccolo Stato la Singapore dell’Africa. È significativo che il Ruanda sia stato scelto come sede per la più importante manifestazione africana dedicata alla cibersicurezza, Cybertech ed è un’interessante opportunità per l’Italia che da anni la sede europea di Cybertech sia Roma, dove la prossima edizione sarà ospitata al centro della Nuvola all’Eur l’8 e 9 ottobre.

Insomma, rinascere dopo i drammi è possibile anche se difficile. Un percorso che comporta anche opportunità per l’Europa. Questo è lo spirito del Cuamm: lavorare “con” e non “per” l’Africa, non considerare questo continente come una terra da cui vengono soltanto tragedie, ma anche un immenso spazio di speranza.

Nel segno della speranza si radunerà il 16 novembre al Lingotto di Torino la grande comunità del Cuamm: un’occasione per mettere al centro l’Africa, non solo con i suoi bisogni e le sue fragilità, ma anche con la sua grande energia e voglia di riscatto. Questa è l’indicazione confermata in occasione della presentazione a Torino del raduno annuale di Medici con l’Africa intitolato “La salute al centro” dal direttore del Cuamm, don Dante Carraro, insieme al sindaco della città Stefano Lo Russo, Marco Gilli, Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, e a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

 



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