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Babygirl, o dell’autoironia sul desiderio femminile

Di Chiara Buoncristiani

Il tema della sessualità femminile rappresenta il perno del nuovo film di Halina Rejin, che affronta la questione con toni divertenti e scherzosi. Ma capaci di far riflettere

Chi ha paura del desiderio della donna? Vent’anni fa c’era il toyboy, ragazzo-giocattolo che invertiva i ruoli di potere. Oggi Babygirl, film in concorso alla 81esima Mostra del Cinema di Venezia 81 dove c’è una potente amministratrice delegata che perde la testa per un giovane stagista e mette a repentaglio carriera e famiglia quando inizia una relazione con lui. E’ così che, passati 25 anni da  Eyes Wide Shut, vediamo una Nicole Kidman interpretare i paradossi del desiderio. Vediamo la protagonista  catturata da una spinta inconscio potentissima che la spinge ad accettare un patto erotico: farà tutto quello che lui le chiederà.

“Abbiamo tutti una piccola scatola nera piena di fantasie proibite”, spiega la regista Halina Rejin, “che potremmo non confessare mai a nessuno. Sono affascinata dalla dualità della natura umana e questo film è un tentativo di far luce, senza giudicare, sulle forze contrapposte che compongono le nostre personalità. Per me il femminismo è la libertà di studiare la vulnerabilità, l’amore, la vergogna, la rabbia e la bestia interiore di una donna”. D’altra parte la pellicola non cerca di mostrare la sessualità in modo esplicito, ma si rivela una commedia pervasa di erotismo ma anche da molta come auto-ironia. La trovata interessante è l’idea di raccontare con una buona dose umorismo una crisi di mezza età al femminile, che è soprattutto voglia di provare per una volta nella vita un orgasmo come si deve.

Diritto inalienabile per qualunque essere umano, ma se sei donna, e moglie, e madre, e anche una top manager come puoi fare? Con il giovane Samuel la protagonista cerca una dinamica sessuale “diversa” dalla sua vita professionale e lavorativa che la vede in controllo e al comando, quella della sottomissione e di una pratica sessuale ormai talmente diffusa da essere addirittura titolare di un’etichetta: il “kink”, praticato da Romy con il suo giovane stagista (Harris Dickinson) dallo stile un po’ tenero, un po’ autoritario. Grande simpatia per Antonio Banderas, nei panni del marito tradito, un regista creativo, empatico e per nulla maschio alfa. Il film ha il pregio di non avere altre ambizioni che intrattenere, ma far riflettere sulla libertà delle donne di pretendere di esaudire il proprio piacere. “Invecchiare” altro commento di Rejin, “significa affrontare l’infinità del tutto. Nella mezza età non possiamo più nasconderci e siamo costrette ad affrontare i nostri demoni; più reprimiamo la nostra ombra, più pericoloso e dirompente può diventare il nostro comportamento. La relazione al centro di Babygirl consente a Romy e Samuel di mettere in scena la loro confusione riguardo a potere, genere, età, gerarchia e istinto animale. Nonostante i tabù, la gioia di quell’esplorazione è liberatoria e persino curativa”.

Interessante che il richiamo all’ordine arrivi da una giovane collega, che indica all’amministratrice delegata l’importanza e il rispetto di una leadership al femminile in rottura con quella patriarcale della “vostra generazione”. E c’è da chiedersi se sia più importante mantenere il potere o rivendicare la vulnerabilità e la spietata sincerità come valore, anche in ambito lavorativo.

 



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