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Pechino domina nove tecnologie critiche su dieci. Report Aspi

Un rapporto del think tank australiano fissa la svolta nella corsa tra Washington e Pechino al 2016. Gli esperti avvertono: per mantenere il primato servono investimenti a lungo termine, conoscenze scientifiche, talenti e istituzioni di alto livello

La Cina domina l’89 percento delle tecnologie critiche tracciate dall’Australian Strategic Policy Institute. Il think tank australiano ha lanciato il suo Critical Technology Tracker un anno fa e mezzo per fornire “un indicatore privilegiato delle prestazioni di ricerca, degli intenti strategici e delle potenziali capacità scientifiche e tecnologiche future di un Paese”. Sono state prese in esame 64 tecnologie critiche in settori quali la difesa, lo spazio, l’intelligenza artificiale, la tecnologia quantistica, la cibernetica, i materiali avanzati e la robotica. Inizialmente il think tank aveva esaminato i dati tra il 2018 e il 2022, ma con un aggiornamento della scorsa settimana ha ampliato la portata del progetto a oltre due decenni per analizzare meglio le tendenze a breve e lungo termine.

Il progetto racconta la storia di Stati Uniti e Cina e di come il dominio tecnologico sia passato dai primi ai secondi. La svolta si è verificata attorno al 2016. Nei primi cinque anni coperti dal progetto (dal 2003 al 2007), gli Stati Uniti erano al primo posto in 60 delle 64 tecnologie, mentre la Cina era in testa solo in tre (il Giappone era in testa nell’area dei distributed ledgers, che all’epoca era un campo emergente). Oggi la Cina è in testa in 57 tecnologie su 64, mentre gli Stati Uniti si aggiudicano le restanti sette. “Come dimostrano i nostri dati, la Cina ha fatto passi da gigante negli ultimi due decenni, e soprattutto a partire dagli anni 2010”, scrivono gli autori sostenendo che il piano “Made in China 2025” del Partito comunista cinese, annunciato nel 2015 e che prevedeva ingenti finanziamenti statali diretti per ricerca e sviluppo in tecnologie chiave, sia stato un fattore determinante. Inoltre, ricordano la Cina ha pianificato un forte aumento del suo budget annuale per la scienza e la tecnologia, portandolo a 370,8 miliardi di yuan (51,5 miliardi di dollari).

Le aree in cui gli Stati Uniti sono in testa oggi sono l’informatica quantistica, i vaccini e le contromisure mediche, la medicina nucleare e la radioterapia, i piccoli satelliti, gli orologi atomici, l’ingegneria genetica e l’elaborazione del linguaggio naturale. I vantaggi più recenti della Cina, invece, si sono verificati nei settori dei sensori quantistici, del calcolo ad alte prestazioni, dei sensori gravitazionali, della tecnologia di lancio spaziale e della fabbricazione di chip.

Ma tra essere leader e avere il monopolio della ricerca c’è differenza. Il progetto monitora le tecnologie che ritiene “ad alto rischio” di monopolizzazione da parte di un’unica nazione e ne ha individuate 24. L’anno scorso il numero era di 14. Ognuna delle nuove tecnologie ad alto rischio identificate non solo è dominata dalla Cina, ma può essere considerata un’applicazione di difesa, tra cui radar, motori aeronautici avanzati, droni, co-robot, posizionamento e navigazione satellitare.

Il progetto racconta di passi avanti significativi fatti dall’India (è tra i primi cinque Paesi in 45 delle 64 tecnologie critiche e ha scalzato gli Stati Uniti dal secondo posto nella produzione biologica e nei distributed ledgers); del calo del Regno Unito (primi cinque solo in 36 tecnologie); dell’ingresso della Corea del Sud nella top five in cinque delle 24 tecnologie analizzate dal think tank. I risultati, concludono gli esperti, “dovrebbero servire a ricordare ai governi di tutto il mondo che acquisire e mantenere l’eccellenza scientifica e della ricerca non è un rubinetto che si può aprire e chiudere”. E ancora: “La costruzione di capacità tecnologiche richiede un investimento sostenuto e un accumulo di conoscenze scientifiche, talenti e istituzioni di alto livello che non possono essere acquisiti solo con investimenti a breve termine o ad hoc”.



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