Due sono i tasselli imprescindibili che andranno rimarcati al G7 se realmente si intende aprire una nuova stagione di collaborazione internazionale sull’immunizzazione. In primis, una sincera, dimostrabile, e continua volontà politica di un impegno nel campo della prevenzione. In secundis, l’inevitabile necessità di incrementare i fondi destinati alla prevenzione, oggi gravemente insufficienti e ancora intesi come costi e non come investimenti. L’analisi di Thomas Osborn, direttore Area Salute I-Com
A poche settimane dall’appuntamento ministeriale sulla Salute nel contesto del G7 italiano di quest’anno (ad Ancona, dal 9 all’11 ottobre), il coordinamento tra governi, organizzazioni internazionali, ma anche il settore privato e numerose Ong, è più che mai centrale per far fronte ad alcune delle sfide sanitarie del presente e del futuro imminente. L’importanza di uno sforzo globale per la sanità non è una novità e sono numerosi gli esempi nella storia recente in cui tali interventi hanno dimostrato un’efficacia che mai sarebbe stata raggiungibile con interventi limitati a singoli stati. Tra questi, le campagne vaccinali contro la polio e il vaiolo, o la campagna globale Global Fund per sostenere il contrasto all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, o l’Alleanza Gavi per i vaccini, e, più di recente, la campagna coordinata dall’Oms per far fronte alla pandemia da Covid-19. Nonostante alcuni perduranti limiti nella loro azione, questi progetti hanno infatti consentito negli anni di ampliare l’accesso alla salute a livello globale, rafforzando trasversalmente le condizioni di benessere fisico e psicologico, accelerando i processi di transizione dei cosiddetti paesi a basso e medio reddito, favorendo investimenti, e mettendo a sistema contributi finanziari e priorità sanitarie globali. Tutti elementi, questi ultimi, che dovrebbero generare ottimismo circa le possibilità che potrebbero scaturire da un rinnovato ed effettivo coordinamento internazionale intorno ad alcune sfide fondamentali per il futuro del pianeta e in discussione ad Ancona.
Rispetto ai G7 Salute degli ultimi anni, in cui il focus era stato quasi unicamente il Covid, il calendario dei lavori di questa edizione prevede infatti una prospettiva più incentrata sulle nuove tendenze e le nuove priorità della sanità. Vi è infatti un’ampia e diffusa consapevolezza che saranno due i macro ambiti che più impatteranno sul futuro della salute globale: da una parte gli sviluppi demografici, con i conseguenti risvolti in termini di tenuta dei sistemi sociali nazionali e di nuove patologie, tra cui la maggiore incidenza di cronicità e di fenomeni come obesità e diabete, e una conseguente necessità di percorsi di prevenzione life course, ovvero lungo tutto l’arco della vita; dall’altra la necessità di fare ricorso a linee di indirizzo multidisciplinari e trasversali, come quelle dell’approccio One Health, per affrontare gli stravolgimenti degli ecosistemi e delle temperature planetarie, e le ripercussioni di questi sulle specie animali e batteriche, nonché sull’ambiente stesso.
Proprio dall’analisi e dalla comprensione di questi due aspetti, che a loro volta trovano numerose aree di intersezione e di complementarità, nonché di consequenzialità, è nato negli ultimi mesi un tavolo di lavoro promosso dall’Istituto per la Competitività con sette tra società scientifiche e associazioni di pazienti (aderiscono, in ordine alfabetico, Amici Obesi, Cittadinanzattiva, Diabete Italia, Italia Longeva, Società Italiana di Pediatria – SIP, Società Italiana di Terapia Antinfettiva – SITA, Società Italiana di Igiene – SitI) che hanno sottoscritto il Decalogo per una prevenzione globale, dell’oggi e del domani realizzato da I-Com con l’obiettivo di individuare priorità e linee guida da portare all’attenzione del G7. È infatti condivisa l’esigenza che da questo G7 Salute, tenuto in patria e incentrato su temi così cruciali, siano colte tutte le potenzialità e che vi seguano azioni, nazionali ma soprattutto internazionali, dalla rapida ed efficace concretizzazione.
In quest’ottica, centralità è data al tema della prevenzione, elemento che accomuna tanto le sfide sanitarie in campo demografico quanto quelle dello sviluppo di nuove patologie legate alla zoonosi e al clima. In particolare, si rilancia l’esigenza di un rinnovato impegno nel campo dell’immunizzazione delle popolazioni, una delle storiche sfide dell’Oms e che, come citato nei precedenti paragrafi, nei decenni ha por]o e in modo più sano, e contribuendo a rendere l’azione e l’organizzazione dei sistemi sanitari più sostenibile ed efficiente. Grazie all’avanzamento scientifico e innovativo, l’immunizzazione ci consente infatti di poter prevenire già oggi più di 20 malattie letali, evitando così – secondo i dati dell’Oms – da 3,5 a 5 milioni di morti ogni anno per mali come difterite, tetano, pertosse e morbillo. Inoltre, i vaccini hanno svolto, e svolgono tutt’ora, un ruolo fondamentale nel contenere e contrastare le cicliche influenze, ma anche le infezioni da herpes zoster negli adulti e le malattie pneumococciche e meningococciche nei bambini, e recentemente anche da virus Rsv grazie agli anticorpi monoclonali. Numerosi sono i vantaggi che l’immunizzazione comporta anche nella prevenzione nell’ambito dell’antimicrobico resistenza (Amr). La possibilità di intervenire alla radice della causa dell’Amr, contrastando la nascita e lo sviluppo di tali agenti patogeni resistenti, può infatti essere fortemente rilevante per questa che è considerata la principale piaga del presente, con oltre 35.000 decessi per registrati nella sola Ue ogni anno, di cui circa un terzo in Italia, con previsioni di raggiungere 10 milioni di decessi l’anno a livello mondiale entro il 2050.
È da tali considerazioni che scaturisce preoccupazione davanti al recente rallentamento nelle campagne di immunizzazione riscontrato negli ultimi anni. Difatti, non solo non sono ancora stati colmati i ritardi causati dal Covid ma, in particolare per i Paesi a basso o medio reddito, gli ultimi dati registrati mostrano persino un ulteriore peggioramento dal 2022 ad oggi. Le mancate diagnosi, e soprattutto i ritardi nelle campagne di immunizzazione in età infantile degli ultimi anni, stanno mettendo in forte discussione il raggiungimento degli obiettivi dell’Oms al 2030, con il numero di decessi che continua ad essere molto elevato, e in aumento: i casi di morbillo nel 2022 erano ancora circa 150.000, mentre 3500 persone continuano a morire ogni giorno per infezioni da epatite B o C – in altre parole, un decesso ogni 30 secondi – per un totale di 1.3 milioni di morti registrate nel 2022 (+18% rispetto al dato relativo al 2019). Recentemente si sono aggiunte nuove sfide, come quella contro l’Rsv – uno dei virus più comuni che può causare gravi malattie in età infantile e negli adulti con comorbidità – responsabile di oltre 150.000 ricoveri annuali negli adulti europei. Particolarmente preoccupante per il nostro Paese, alle prese con un rapido invecchiamento demografico, è anche il ritardo nella vaccinazione antinfluenzale per la quale sono sempre più distanti gli obiettivi di copertura “ottimali” e “minimi” indicati dall’Oms (ma anche dal ministero della Salute), rispettivamente del 95% e del 75%. In Italia la copertura negli anziani (over65) si ferma infatti al 53,3% (2023), un dato ben lontano dal 65% registrato due anni prima che segna un -10,5% rispetto alla copertura di anziani raggiunta venti anni fa.
Dalle rilevazioni emerge che, mentre i programmi di vaccinazione pediatrica sono oramai ben consolidati in tutta Europa e negli Stati Uniti, quelli per gli adulti non lo sono altrettanto e presentano tutt’ora tassi di adesione e di copertura insufficienti ed estremamente bassi, come nel caso non solo dell’influenza ma anche delle malattie virali (Herpes Zoster), delle infezioni respiratorie (Rsv) e delle malattie batteriche invasive (pneumococco, meningococco). Tra le cause di ciò vi è indubbiamente un considerevole tasso di mancanza di consapevolezza tra i pazienti e nella cittadinanza sui vaccini raccomandati ma, in alcuni casi, a ciò si aggiungono anche l’assenza di campagne informative e di sensibilizzazione da parte delle autorità pubbliche nonché carenza di raccomandazioni o di promozione dell’offerta di vaccinazione da parte degli operatori medici.
Questi sono alcuni dei punti prioritari consegnati alle istituzioni in forma di Decalogo realizzato da I-Com e sottoscritto dalle sette associazioni di pazienti e società scientifiche. Tra le 10 raccomandazioni si insiste fortemente anche sulla necessità di rilanciare le campagne di sensibilizzazione ma soprattutto di coinvolgimento della popolazione sull’importanza di uno sforzo collettivo e diffuso nel campo dell’immunizzazione, nonché aggiornamenti formativi per gli operatori del settore, i quali devono essere messi nelle condizioni non solo di conoscere le varie soluzioni vaccinali, ma anche di sapere quali tecnologie rispondono meglio alle specifiche di ciascun paziente. Al contempo, se la comunità internazionale intende favorire una sempre maggiore copertura vaccinale, appare evidente la necessità di rafforzare anche le catene produttive e di approvvigionamento tanto dei vaccini già diffusi, al fine di renderli realmente accessibili, quanto dei vaccini in via di sviluppo. Difatti, non solo occorrerà creare le condizioni per consentire di aggiornare costantemente tali farmaci in modo da intercettare le sempre più variabili tendenze virali per tempo, ma sarà anche necessario far fronte all’auspicata crescita di domanda globale. Il fine di questi investimenti, fondamentali tanto in termini sanitari quanto per la sostenibilità dei sistemi di salute pubblica, non sarebbe “solo” il miglioramento delle soluzioni già esistenti, ma anche lo sviluppo di nuove forme di immunizzazione come i vaccini m-RNA e DNA, gli anticorpi monoclonali di nuova generazione e di soluzioni di frontiera per contrastare alcuni dei mali più impattanti quali i tumori, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, l’asma allergico, l’Hiv e l’Aids e persino il diabete.
Due sono quindi i tasselli imprescindibili che andranno rimarcati al G7 se realmente si intende aprire una nuova stagione di collaborazione internazionale sull’immunizzazione. In primis, una sincera, dimostrabile, e continua volontà politica – internazionale e dei singoli Stati – di un impegno nel campo della prevenzione. In secundis, l’inevitabile necessità di incrementare i fondi destinati alla prevenzione, oggi gravemente insufficienti e ancora intesi come costi e non come investimenti (ignorando il grandissimo valore che, invece, hanno in chiave di ritorno – secondo l’Oms $7 per ogni dollaro investito). Gli ultimi dati del ministero della Salute evidenziano, ad esempio, che in Italia solo circa il 5% del Fondo Sanitario Nazionale (Fsn) è destinato alla prevenzione, un valore che equivale allo 0,63% del Pil (contro lo 0,65% medio Ue). Un primo segnale di un cambio di passo potrebbe quindi essere un annuncio già in questo G7 sull’intenzione di destinare alla prevenzione l’1% di ciascuno dei Pil delle sette nazioni e, per quel che riguarda più da vicino l’Italia, l’innalzamento al 6% dei fondi Fsn destinati alla stessa.