Diana, l’acceleratore della Nato, ha annunciato le 10 start-up che passeranno dalla prima alla seconda fase del programma, con un potenziale di finanziamento di 300mila euro. Tra queste, Ephos, che si occupa di tecnologia quantica, fa da portabandiera per l’Italia
L’italiana Ephos, azienda basata nel milanese dedita allo sviluppo di infrastrutture per tecnologie quantiche, è una delle più promettenti start-up dell’Alleanza Atlantica. È stata infatti una delle 10 giovani aziende selezionate da Diana (Defence innovation accelerator for the north Atlantic) per passare alla seconda fase del suo primo programma di accelerazione di start-up. Quest’ultimo ha l’obiettivo di aiutare nuovi attori a raggiungere il mercato della difesa dell’Alleanza, sviluppando tecnologie dirompenti in sensori e sorveglianza, resilienza energetica e comunicazione sicura di informazioni.
Ephos è l’unica azienda tricolore, in un insieme dominato dal Regno Unito (con quattro start-up – a ulteriore riprova dell’opportunità di coinvolgere l’industria della difesa di Sua Maestà nelle geometrie Ue) e che vede la partecipazione di un’azienda da Usa, Paesi Bassi, Canada, Polonia e Lituania; assenti quindi Francia e Germania, e un chiaro dominio europeo (anche se, forse, start-up francesi, tedesche o statunitensi possono trovare in patria gli acceleratori di cui hanno bisogno). Nel complesso, questo insieme di aziende forniranno soluzioni relative al quantico, piattaforma smart per l’energia rinnovabile, droni sottomarini e antenne intelligenti per ambienti ostici.
Questi magnifici dieci potranno ricevere fino a €300.000, dopo aver lasciato al palo le altre 34 aziende che avevano partecipato alla prima fase. Questa prima fase, iniziata a dicembre 2023, aveva allocato fino a €100.000 e visto la selezione di 30 aziende europee, di cui 7 britanniche, 3 italiane e 3 olandesi – buona conversione per noi, quindi. La selezione è avvenuta tramite una serie di competizioni che hanno avuto luogo lo scorso autunno nei cinque principali centri di Diana (Torino, Copenaghen, Tallin, Boston, Seattle). Citando il comunicato Nato, le commissioni erano formate da “esperti tecnici, della difesa e dell’innovazione”, che hanno giudicato i partecipanti sulla base di, tra le altre cose, “potenziale tecnologico, realizzabilità commerciale, rilevanza per l’utente finale e maturità di investimento”.
“Siamo fieri di annunciare le dieci aziende innovative che avanzeranno alla Fase II”, ha detto il professor Deep Chana, managing director di Diana. “Per risolvere problemi complessi di sicurezza e resilienza, abbiamo bisogno di un ecosistema di innovatori che creativi e collaborativi, disposti a mettere il loro talento e la loro esperienza a frutto. Questi dieci innovatori, in realtà tutta la nostra prima classe [ossia tutti i 44, nda], stanno spianando la strada per una forte catena di innovazione che le Nazioni alleate potranno adottare”.
Ephos
L’azienda italiana sviluppa e costruisce circuiti fotonici integrati per i più avanzati sistemi quantici della computeristica e delle comunicazioni. Le tecnologie fotoniche sono essenziali, in quanto minimizzano la perdita di segnale, migliorando la scalabilità del sistema. Il risvolto strategico è ugualmente importante, in quanto i sistemi crittografici quantici si annunciano essere strutturalmente non decriptabili e, dall’altra parte, in grado di decifrare facilmente qualsiasi cifrario non-quantico.
“La missione di Ephos è la missione di Diana: costruire le infrastrutture essenziali per l’innovazione Alleata nelle tecnologie quantiche”, ha dichiarato Andrea Rocchetto, ceo dell’azienda. “Realizzare la prossima generazione di tecnologie emergenti e dirompenti, velocemente e in modo sicuro, richiede il meglio delle istituzioni, dell’accademia e del settore privato. Siamo onorati do far parte la classe di innovatori pionieri dell’emergente ecosistema tecnologico Nato”.
Diana
La Defence innovation accelerator for the north Atlantic è stata fondata nel 2022 dalla Nato, e basata a uffici distaccati dell’Imperial college di Londra, proprio per supportare la crescita e l’integrazione di nuovi attori nell’ecosistema della difesa alleato. Dice tutto il motto: “Uniting disruptors to shape a peaceful future”. L’organizzazione offre quindi risorse, guida e il suo network di centri di ricerca, operatori, scienziati e integratori di sistemi per aiutare le start-up nella loro crescita. Il finanziamento di questo acceleratore è volontario (i.e., staccato dai contributi che gli Alleati versano alla Nato), ma sufficiente a lanciare il bando per la seconda classe di start-up a luglio: hanno risposto più di 2600 aziende (un raddoppio rispetto ai candidati della prima classe), e le selezionate entreranno nell’acceleratore a inizio 2025.
Unica pecca, forse, è la limitazione dell’opportunità a compagnie dual-use, ossia quelle la cui tecnologia può essere trasposta nel civile. Si tratta di un vecchio errore, figlio della stigma negativa che il settore si è trovato affibbiato dopo 80 anni di pace, che, come ha evidenziato il Rapporto Draghi in relazione alla Bei (Banca europea degli investimenti) non possiamo più permetterci.