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Immigrazione, l’arma russa nella guerra ibrida all’Europa

Un rapporto di George Scutaru e Andrei Pavel del New Strategy Center evidenzia come Mosca, dall’intervento in Siria al coinvolgimento in Africa fino all’invasione dell’Ucraina, le azioni militari russe hanno generato flussi migratori che destabilizzano l’Unione europea, alimentando divisioni politiche interne e rafforzando la retorica nazionalista. Il tutto, accompagnato da operazioni di disinformazione

Un recente rapporto firmato da George Scutaru, Ceo e fondatore del New Strategy Center, e Andrei Pavel, esperto presso lo stesso think tank romeno, evidenzia come la Russia stia utilizzando la migrazione come strumento di destabilizzazione dell’Occidente. Il documento mette in luce come il Cremlino, nell’ambito della sua guerra ibrida, abbia sistematicamente manipolato i flussi migratori per mettere sotto pressione l’Unione europea e creare fratture all’interno delle società europee.

Tradizionalmente percepito come una questione umanitaria, il tema è stato trasformato dalla Russia in una vera e propria arma strategica. Secondo il rapporto, il Cremlino ha utilizzato conflitti in Medio Oriente, Africa e Ucraina per creare crisi migratorie che minano la stabilità politica, sociale ed economica dell’Europa. Non si tratta solo di interventi militari diretti, ma anche di una strategia più ampia che sfrutta mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici.

Al centro di questa strategia vi è la manipolazione dei flussi migratori. Creando o aggravando conflitti in regioni come Siria, Africa e Ucraina, la Russia ha innescato massicci spostamenti di civili, molti dei quali cercano rifugio in Europa. Il risultato è un afflusso di rifugiati che sovraccarica le capacità dei paesi ospitanti e alimenta tensioni politiche interne, spesso favorendo l’ascesa di movimenti di estrema destra e retoriche anti-immigrazione.

Questo approccio rientra perfettamente nella visione strategica di Valery Gerasimov, capo di stato maggiore della Difesa russa, secondo cui “le guerre non vengono più dichiarate e, una volta iniziate, procedono secondo modelli sconosciuti”. Gerasimov sottolinea come i mezzi non militari abbiano acquisito un ruolo predominante e, in alcuni casi, superino l’efficacia delle armi convenzionali. In questo contesto, la migrazione diventa una vera e propria arma in grado di destabilizzare le nazioni dall’interno.

Il rapporto analizza in dettaglio l’uso della migrazione come strumento nei diversi teatri: l’intervento militare russo del 2015 in Siria rappresenta il caso più emblematico di strumentalizzazione della migrazione, con il sostegno al regime di Bashar Al Assad e i bombardamenti contro le forze di opposizione che hanno aggravato la crisi dei rifugiati; in Africa la Russia ha svolto un ruolo chiave in conflitti in Libia, Repubblica Centrafricana e Mozambico, alimentando instabilità e migrazioni di massa, anche tramite i mercenari del gruppo Wagner; infine, l’invasione dell’Ucraina ha causato la più grande crisi dei rifugiati in Europa dalla Seconda guerra mondiale.

Il rapporto sottolinea che la strumentalizzazione della migrazione da parte della Russia è strettamente legata alle sue campagne di disinformazione, un altro elemento chiave della sua strategia di guerra ibrida. La disinformazione russa ha ripetutamente cercato di alimentare sentimenti anti-immigrati in tutta Europa. Dipingendo i migranti, in particolare quelli provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, come una minaccia per la sicurezza e la cultura europea, la Russia amplifica le narrazioni dell’estrema destra che chiedono controlli più severi sull’immigrazione e, in alcuni casi, si oppongono al sostegno all’Ucraina. Inoltre, la disinformazione russa ha cercato di minare il sostegno ai rifugiati ucraini, enfatizzando il costo economico del loro mantenimento. In Paesi come Germania e Polonia, dove si è concentrato il maggior numero di rifugiati ucraini, queste narrazioni hanno avuto un certo riscontro, approfondendo ulteriormente le divisioni all’interno delle società europee.


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