Se la competizione sulla nuova rivoluzione industriale, ossia quella dell’Intelligenza Artificiale, fosse un Monopoli tra le principali potenze, l’Unione europea non sarebbe messa troppo bene. L’intervento di Lodovico Mazzolin, manager settore bancario e finanziario
Vi ricordate il Monopoli, il gioco da tavolo che simulava un mercato immobiliare? Immaginiamo di simulare il Monopoli nella gara tra le principali potenze mondiali per quella che sarà la nuova rivoluzione industriale: la rivoluzione delle decisioni, ovvero la rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale (AI).
Ma come è partita l’Europa, dove si trova nell’AI Monopoly game?
Ormai il dibattito economico, politico e sociale è pervaso da tavole rotonde, interventi, slogan e luoghi comuni sull’AI. Una cosa è certa, così come la rivoluzione delle interazioni (i.e. rivoluzione digitale) ha modificato i paradigmi di business e la società, la rivoluzione delle decisioni sarà probabilmente ancora più stravolgente. Per comprendere bene il fenomeno AI suggerisco il libro “L’era dell’Intelligenza artificiale” scritto da Eric Schmidt – fondatore di Google – Henry Kissinger – grande politico americano passato recentemente a miglior vita – Daniel Huttenlocker – scienziato e accademico del Mit. Il saggio, pubblicato lo scorso anno, notevole per chiarezza e profondità, evidenzia l’ampiezza del raggio di azione dell’AI che, già dal 2017, con il programma Alpha Zero – Deep Mind batteva nel gioco degli scacchi qualsiasi altro programma, figuriamoci gli umani; qualche anno più tardi veniva annunciata la scoperta di un nuovo antibiotico, ottenuto grazie all’aiuto dell’AI, che era riuscita a individuare proprietà molecolari sfuggite.
I campi di applicazione sono ormai molteplici. Dal marketing, dove gli algoritmi hanno fatto impallidire le tecniche tradizionali di target marketing, alla medicina, al lifestyle (si pensi alla guida assistita, alla scelta dei ristoranti), robotica, difesa, solo per citarne alcuni. Ma con quali conseguenze? Secondo gli autori, presto l’umanità si ritroverà a imboccare un sentiero pericoloso, poiché l’AI sta cambiando il pensiero, la conoscenza, la percezione, la realtà e, di conseguenza, il corso della storia. Esiteranno decisioni completamente automatizzate, decisioni assistite, decisioni comparate. Particolare attenzione andrà posta sull’intelligenza generativa e cioè basata sull’autoapprendimento. Insomma, il mondo sta cambiando profondamente e il tutto grazie all’enorme sviluppo della capacità di calcolo e di storage che non era neanche immaginabile quando conseguii la laurea in informatica a metà degli anni 90.
La rivoluzione delle decisioni è un terreno di gioco nel quale una grande potenza deve sapere competere e gestirne le implicazioni sociali e politiche. In sintesi, secondo il parere di molti esperti, tre sono le caratteristiche fondamentali per essere davanti nella competizione AI e gestirne in modo proficuo sia economicamente, che socialmente gli effetti: 1) Apertura al cambiamento 2) Quantità e qualità degli investimenti per l’innovazione 3) Imparare, correggere e gestire gli impatti.
In merito al primo aspetto, l’Europa forse è il fanalino di coda. Mi ha stupito l’affermazione del Country Manager Italia di Meta che, intervistato recentemente sulla diffusione degli smart glasses realizzati con Essilor Luxottica, ha dichiarato che gli occhiali che si possono acquistare in Europa restano diversi da quelli che si trovano oltre Oceano. In Canada e negli Stati Uniti l’AI è già parte integrante della seconda versione e possono descrivere quello che la persona vede o tradurre un menù in più lingue. In Europa, non è possibile perché, a causa delle incertezze normative, è stato fermato l’addestramento del modello e, ad oggi, non è prevista l’introduzione dell’AI multimodale, cioè quella che combina dati provenienti da diversi canali.
Come si fa ad essere aperti all’innovazione se si rende la stessa complicata, creando consumatori di serie B. Peraltro in questo caso non si danneggia solo un’azienda americana, ma anche un’azienda europea che produce gli occhiali, leader a livello globale.
Tutti sappiamo che l’Europa ha corso per emanare con grandi proclami l’AI Act. L’intento di legiferare in materia è ammirevole, ma l’impianto ha notevoli problematiche e rischia come al solito di bloccare l’innovazione. Ad esempio, i modelli di Intelligenza Artificiale in Europa, possono essere allenati solo con materiale non protetto da copyright! Praticamente è impossibile sviluppare intelligenze artificiali e mentre i nostri competitor diventeranno più produttivi, noi saremo invasi da chi avrà la cassa per comperare le nostre aziende. Si può comprendere che un autore, artista voglia essere tutelato, ma anche lui ha visto film, quadri e letto libri per imparare. Altra aspetto che fa sorridere: è necessario specificare quando il contenuto è sviluppato da un’intelligenza artificiale! Ma ci si rende conto che ormai moltissimi contenuti sono il frutto di una collaborazione uomo/macchina e che quindi, ad esempio, per scrivere un articolo si usa un correttore di bozze basato su AI. Altro fatto esilarante: i software di controllo sono solo possibili per le forze dell’ordine; quante opportunità si perdono per la fantomatica privacy mentre, invece, siamo bombardati quotidianamente da contact center che ci propongono svariate offerte inutili.
L’impianto normativo è decisamente farraginoso, con molte aree grigie e come al solito si cerca di legiferare a 360° sviluppando norme poco applicabili. Risultato la tecnologia si diffonde più lentamente e quindi impariamo meno velocemente. Avremo AI avanzate in US, Cina e Russia che hanno studiato all’Università e le nostre invece alla secondaria. Insomma, è come se i cinesi aprendosi al capitalismo avessero detto cari americani/europei venite qui portateci la vostra tecnologia, facciamo le JV, ma non vogliamo copiare i prodotti fatti da aziende non comuniste. Paradossale!
Anche ammettendo che la nuova Commissione europea superi l’obsolescenza e l’inapplicabilità dell’AI Act, rimane il problema che per fare innovazione è necessario investire molto. Nelle nuove tecnologie siamo decisamente indietro, dobbiamo aprirci, investire e usare la logica della JV con gli americani, sfruttando il valore dei nostri 450 milioni di consumatori, in modo coordinato ed organizzato.
Il rapporto AI Index 2024 sviluppato dalla Stanford University ci dà molti spunti di riflessione per sviluppare un ragionamento approfondito in materia. In primo luogo, non siamo molto produttivi in materia di AI. Nel 2023, 61 modelli di intelligenza artificiale degni di nota sono stati originati da istituzioni americane, superando di gran lunga i 21 dell’Unione europea e i 15 della Cina. Non è l’Università a produrre maggiore innovazione, ma l’industria. Nel 2023, l’industria ha prodotto 51 modelli di apprendimento automatico, mentre il mondo accademico ha contribuito solo con 15. La ricerca applicata la fa da padrone! Nel 2023 però ci sono stati anche 21 modelli degni di nota frutto di collaborazioni tra industria e mondo accademico, un nuovo massimo. È necessario quindi prevedere forti incentivi alle aziende che investono e stimolare la collaborazione con il mondo accademico.
Ci vogliono veramente tanti soldi, il tema non può essere affrontato da un singolo Paese dell’Ue. Gli investimenti nell’AI generativa salgono alle stelle. Nonostante il calo lo scorso anno degli investimenti privati nell’IA, i finanziamenti per l’AI generativa sono aumentati, quasi triplicando rispetto al 2022 raggiungendo i 25,2 miliardi di dollari. I principali attori nello spazio dell’intelligenza artificiale generativa, tra cui OpenAI, Anthropic, Hugging Face e Inflection, hanno portato a casa importanti round di raccolta capitali privati. Il numero di brevetti di intelligenza artificiale è esploso. Dal 2021 al 2022, le concessioni di brevetti sull’AI in tutto il mondo sono aumentate del 62,7%. Dal 2010, il numero di brevetti di AI concessi è aumentato di oltre 31 volte. La Cina domina in merito alla produzione di brevetti. Nel 2022, infatti, la share di brevetti della Cina è stata del 61%, superando gli Stati Uniti, che hanno avuto una quota del 21% . Dal 2010, la quota statunitense è diminuita del 54%.
In termini di investimenti privati totali, gli Usa ancora una volta sono i leader. Nel 2023, sono stati impegnati 67 miliardi di dollari circa 9 volte quanto investito dalla Cina (7,8 miliardi), e 18 volte l’importo investito nel Regno Unito, terzo paese nella classifica (3,8 miliardi). Quando si aggregano gli investimenti dal 2013, le classifiche dei paesi maggiori investitori rimangono le stesse: gli Stati Uniti sono in testa con 335 miliardi, seguiti dalla Cina con 104 miliardi e dal Regno Unito con 22 miliardi. Mettendo insieme Germania e Francia, i due unici paesi dell’UE nella classifica dei primi 15, non si arriva neanche alla cifra del Regno Unito.
Se guardiamo gli investimenti negli ultimi anni per area geografica, il divario tra gli Stati Uniti e gli altri si sta ampliando nel tempo. Dal 2022 gli investimenti sono diminuiti in Cina (-44,2%) a fronte di una non brillantezza dell’economia, nell’Unione Europea/Regno Unito (-14,1%), mentre gli Stati Uniti hanno messo a segno una sostanziale crescita (+22,1%). La disparità diventa particolarmente rilevante quando si esaminano gli investimenti legati all’AI generativa. Ad esempio, nel 2022 gli Stati Uniti hanno superato di circa 1,9 miliardi gli investimenti combinati dell’Unione Europea e del Regno Unito. Nel 2023, questo divario si è ampliato a 21,1 miliardi di dollari.
Tutti questi fatti ci devono far riflettere e tornando al Monopoli e alla domanda iniziale, verrebbe da dire che noi europei abbiamo preso la famosa carta Imprevisti “vai in prigione senza passare dal via”, e stiamo perdendo numerosi giri. Speriamo che la nuova Commissione faccia un “doppio ai dadi”, se non ricordo male si usciva dalla prigione anche così, e ci faccia recuperare terreno.
Abbiamo bisogno di un piano strutturale sull’AI per cavalcare e non subire, un piano che faccia leva sull’attrattività del nostro mercato per recuperare il gap cumulato alleandoci in modo intelligente con i leader.