Il no di Scholz all’operazione tra Unicredit e Commerzbank sembra riportare molto indietro l’orologio della politica tedesca sull’integrazione europea. Il commento di Michele Bagella, economista e docente a Tor Vergata e membro del Gruppo dei 20
La contrarietà del governo tedesco all’ingresso di Unicredit nel capitale della Commerzbank, e, ancora di più, il suo no alla proposta Draghi di fare debito comune, evidenzia quanto sia cambiata la politica europeista del partito di Helmut Schmidt. Così si esprimeva Schmidt al congresso del suo partito, l’Spd, nel dicembre del 2011: “che oggi la gran parte d’Europa goda della pace e dei diritti umani, non avremmo potuto prevederlo né nel 1918, né nel 1933, né nel 1945. Facciamo perciò in modo di lavorare e di lottare perché l’Unione europea, esempio storico unico, si tragga fuori dalle sue attuali debolezze e proceda nel suo cammino con consapevolezza di sé!”
Il no di Scholz all’operazione Unicredit sembra riportare molto indietro, rispetto ad allora, l’orologio della politica tedesca sull’integrazione europea. Da anni si discute di unione bancaria e dei vantaggi per l’Unione di un sistema bancario comune, di fusioni tra banche per renderle più forti e competitive, e di un altrettanto comune mercato dei capitali. Eppure, nonostante l’evidente utilità di simili obiettivi per la valorizzazione del risparmio e per facilitare i finanziamenti degli investimenti nell’area Ue, la Germania continua a porre ostacoli alla sua realizzazione.
Una volta è l’alta percentuale di debito pubblico posseduto dalle banche italiane, per via di profili di rischio considerati superiori alla media europea (dovuti agli Npl e ai titoli sovrani nei loro portafogli), a impedire che la trattativa per la costituzione di un Fondo bancario europeo di garanzia dei depositi vada avanti. Un’altra, ancora più preoccupante, è il no al debito comune, già sperimentato per fare fronte alle conseguenze del Covid, che il rapporto sulla competitività di Mario Draghi considera essenziale per il rilancio dell’economia europea e non solo.
Sta di fatto che i dossier sull’Unione bancaria, ai quali si possono aggiungere quello sul mercato comune dei capitali (la piattaforma Comune di accesso alle informazioni sulle imprese, Esap, dovrebbe essere disponibile dal 2027), e oggi quello sul debito comune, fanno pochi passi avanti, nonostante l’art.23 della Costituzione tedesca obblighi la Germania a impegnarsi nella cooperazione per lo sviluppo dell’Unione europea. Schmidt, ispirandosi proprio a quest’articolo, riuscì a realizzare l’accordo che portò dell’Unione monetaria europea, insieme a Valery Giscard d’Estaing. Impresa tutt’altro che facile, visto soprattutto il trasferimento della sovranità monetaria che comportava. Eppure…la sua fede europeista gli fece superare tutti gli ostacoli.
Oggi le condizioni dell’economia tedesca non sono così floride come al tempo delle discussioni sulla moneta comune, né sono favorevoli le condizioni politiche. The right wind, mette paura non solo in Germania. Tuttavia, non sembra che ci siano molte alternative per rilanciare l’economia tedesca a una maggiore integrazione finanziaria. L’introduzione di una nuova architettura del settore finanziario, appare strategica al fine di sostenere la resilienza non solo della Germania, ma di tutti i Paesi dell’Unione.
L’aggressione della Russia all’Ucraina ha modificato profondamente le relazioni economiche internazionali. Gli ostacoli al commercio soprattutto con la Cina sono aumentati per tutti, anche per la Germania, per anni partner importante dell’economia del Dragone. Se per queste ragioni a Est la sua economia sta perdendo ruolo, lo può recuperare ad ovest, sostenendo il piano Draghi.
Gli investimenti nelle nuove tecnologie, nella sicurezza ambientale, energetica e nel settore industriale militare, troverebbero terreno fertile nell’economia tedesca, oggi depressa. Questa politica, come detto nel rapporto Draghi, richiede però l’emissione di titoli di debito comune, alla quale ha già dichiarato la sua contrarietà il governo tedesco. Ed è un circolo vizioso, dal quale non si esce con sofismi più o meno fondati, anche perché, dietro di esso, spunta fuori, pur non espressamente chiamata in causa, la questione ben più politica e divisiva della salvaguardia della sovranità fiscale, con buona pace dell’articolo 23 della costituzione tedesca già ricordato.