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Perché il prossimo documento strategico di Londra riguarda anche Roma

La riflessione sulla Strategic defence review Uk dell’Ecfr parte dalla necessità di ripensare le Forze armate di Sua Maestà: non più proiezione verso l’esterno, ma difesa territoriale. Poi, razionalizzare gli investimenti e appoggiarsi all’Europa. Per l’Italia significa opportunità

L’eco della Strategic defence review (Sdr) annunciata dal nuovo primo ministro britannico Keir Starmer è arrivato anche in Italia, sulle ali del Global combat air programme (Gcap). Se Guido Crosetto, ministro della Difesa, e i vertici di Leonardo hanno espresso sicurezza circa la stabilità del programma del caccia di sesta generazione sviluppato con Regno Unito e Giappone, vale comunque la pena di seguire da vicino gli sviluppi di Londra. Sia perché il Regno Unito è storicamente la seconda potenza militare dell’Alleanza Atlantica, sia perché ciò che viene detto dai britannici potrebbe essere valido pure dalla nostra parte del canale della Manica, se non delle Alpi. Ecco che ha senso esaminare la riflessione di Nick Witney, già funzionario dei ministeri di Esteri e Difesa di Londra e responsabile per la creazione del progetto della European defence agency (Eda), per lo European council on foreign relations (Ecfr).

Il primo punto fondamentale riconosciuto del report è la necessità, alla luce dell’aggressione russa all’Ucraina, di ripensare le forze armate di Sua Maestà, e reindirizzare, conseguentemente, gli investimenti tecnologici. Londra considera la minaccia russa reale, non uno spauracchio, e Witney consiglia di rafforzare le difese contro gli attacchi aerei. Il punto, però, è che per farlo non basterà l’innalzamento della spesa militare promessa dal governo dal 2,3% al 2,5%, ma sarà necessario sacrificare programmi meno adatti allo scenario geo-strategico corrente. Il primo indiziato, paradossalmente, è il programma che ha portato al varo di due super-portaerei (Hms Queen Elizabeth e Hms Prince of Wales). Witney ritiene, infatti, che costino troppo e che il loro scopo, di proiezione verso l’esterno, sia anacronistico a fronte della necessità di difendere le isole britanniche. Pare improbabile che Londra si privi di due gioielli della Corona di questo livello, ma il ragionamento resta valido, e potrebbe essere declinato verso altre spese (magari la presenza militare in aree di vecchie reliquie dell’Impero, di interesse secondario).

A proposito di supplire alla mancanza di fondi con una gestione più efficace, Witney offre lo spunto più interessante, per quanto semplice, della sua riflessione: “la cronica inabilità del ministero della Difesa di controllare le sue finanze”. L’equivalente britannico della Corte dei Conti, infatti, ha recentemente riferito che i piani di finanziamento del dicastero sarebbero irrealistici, in quanto le aspirazioni sarebbero assai più elevate delle probabili disponibilità. Ad aggiungere al contribuente britannico il danno alla beffa: non solo questi programmi reclamano finanziamenti sempre maggiori, ma sono spesso affossati da problemi e ritardi, attribuiti ai problemi culturali dello stesso ministero della Difesa (si vedano i casi Ajax e Astute).

La soluzione cui Witney fa riferimento è da ricercarsi nella Strategic review del 1998 (a inizio governo Blair), guidata allora (come oggi) da George Robertson (segretario generale della Nato tra il 1999 e il 2003) e cui partecipò lo stesso Witney. Robertson aveva implementato una struttura centrale che seguisse tutti i programmi, mischiando personale civile con ufficiali delle tre forze armate; l’idea era buona, e, siccome è stata annullata poco dopo, potrebbe essere riproposta. In questo, ci si può aspettare la sponda del nuovo ministro della Difesa, John Healey, il quale, in campagna elettorale, aveva sottolineato la necessità di creare un sistema di controllo più centralizzato per gli investimenti più consistenti.

In ultimo, appoggiarsi all’Europa, e a più livelli. Intanto, per spostare il più lontano possibile dalle isole britanniche il fronte con la Russia: Londra dovrebbe fare come Germania e Canada, le quali hanno elevato la loro presenza nei Paesi baltici da battaglione a brigata. In secondo luogo, facendo affidamento sui nuovi Alleati scandinavi – Finlandia e Svezia – e su una Polonia sempre più potente: “pertanto, la tradizionale tendenza britannica a credere che solo il suo Esercito possa costituire un serio rivale per un’offensiva russa nell’Europa settentrionale e centrale deve essere riesaminata”. Per terminare nuovamente intorno al dio danaro, Witney auspica che “la review si provi a rendere i fondi britannici più efficienti attraverso la collaborazione con l’Europa”, attraverso un partenariato “a pagamento” simile a quello per il programma Horizon.

Il significato per l’Italia

Il primo messaggio che possiamo leggere tra le righe è la solidità del Gcap. Se un autore che propone di disfarsi delle portaerei non menziona negativamente il caccia di sesta generazione come un’altra possibile vittima della spending review, un motivo ci sarà: il programma è necessario per la sicurezza del Regno Unito. Le forze Nato, bene ricordarlo, operano sulla base di una dottrina che presuppone la superiorità aerea, e, semplicemente, non possiamo rischiare di metterla in discussione con velivoli meno che ottimi.

In secondo luogo, sarebbe bene domandarsi come possiamo stare così tranquilli spendendo per la Difesa meno dell’1,5% del nostro Pil, quando a Londra sono genuinamente preoccupati per la loro sicurezza, pur progettando di investire il 2,5% di un Pil maggiore del nostro (ed essendo muniti di deterrente nucleare).

Terzo, più Europa. Witney critica espressamente l’aumento degli investimenti europei in ordine sparso, invece che pensati a livello Ue. Inoltre, mentre anche il Regno Unito si rende conto dell’impossibilità di restare isolato (che sia l’abbandono repentino di Donald Trump o la ri-prioritizzazione graduale di Kamala Harris,  gli Usa si stanno orientando verso l’Indo-Pacifico), dobbiamo essere pronti per fare da ponte tra Londra e le capitali europee (Brussels inclusa). Siamo in una posizione invidiabile per farlo (oltre a essere un grande Paese, il Gcap è il programma più importante anche per i britannici, e Leonardo Uk è una delle principali realtà della Difesa d’Oltremanica), ma, per capitalizzarvi, dobbiamo esservi pronti con piani contingenziali istituzionali e industriali, quando non essere noi stessi a prendere l’iniziativa e a dare le carte.

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