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Luci e ombre del Rapporto Draghi sulla Difesa. L’analisi di Marrone

Di Alessandro Marrone

Il responsabile del programma Difesa dell’Istituto affari internazionali fa il punto su quanto emerge dal Rapporto Draghi per la Difesa. Bene sui finanziamenti (della Bei in particolare), meno positive le proposte originali, poco pragmatiche e attinenti alla specificità della Difesa

Il Rapporto Draghi dedica una parte di analisi e raccomandazioni anche alla politica industriale europea nel campo della difesa, le quali presentano luci ed ombre. 

Nel documento, Draghi, in modo pragmatico fa proprie diverse analisi, idee e proposte già discusse dagli addetti ai lavori negli ultimi anni. Dall’aggregazione della domanda per favorire standardizzazione, interoperabilità ed economie di scala, al rafforzamento del budget dello European defence fund (Edf) per finanziare attività congiunte di ricerca e sviluppo, fino all’istituzione di un Commissario per l’industria della difesa. L’analisi delle debolezze strutturali dell’industria europea del settore e gli obiettivi generali che il rapporto pone ricalcano in buona parte quelli dei documenti approvati negli ultimi anni da governi e istituzioni Ue. In particolare si riecheggia in alcuni punti la European defence industrial strategy (Edis), presentata da Commissione e Alto Rappresentante la scorsa primavera e attualmente in fase di negoziazione, citata dal rapporto insieme ad altre recenti iniziative UE in questo settore. 

Le luci

Di positivo vi è certamente l’inclusione della difesa nel podio di priorità per l’Ue, insieme a commercio internazionale ed energia, in una prospettiva olistica di rilancio della produttività e della crescita, e quindi delle fondamenta socio-economiche del modello europeo – un modello, giova ricordarlo, di successo e ai primi mosti del mondo quanto a qualità della vita per i cittadini e bilanciamento tra economia di mercato, riduzione delle ineguaglianze e sostenibilità ambientale. Inserire la difesa in tale visione complessiva di politica industriale aiuta a superare la ritrosia verso il settore che ancora alberga in alcune istituzioni e segmenti dell’opinione pubblica europea (ed italiana) dal campo della sostenibilità alla Banca europea degli investimenti (Bei). 

In tal senso, il rapporto sostiene che l’attuale interpretazione europea degli Environmental social and governance (Esg) goals vada cambiata per incentivare le istituzioni finanziarie pubbliche e private a investire nella difesa. Ciò è necessario per contribuire a colmare il gap di investimenti accumulato negli ultimi decenni, specie in ricerca e sviluppo tecnologico, che l’Europa sconta nei confronti degli Stati Uniti e, cosa molto più preoccupante, della Cina. Un gap che l’UE non si può più permettere con l’invasione russa dell’Ucraina e i dubbi sull’impegno americano militare americano in Europa. 

Sulla stessa falsariga il rapporto raccomanda che la Bei cambi le sue regole, le quali tuttora impediscono il finanziamento ad attività industriali chiave nella difesa che non abbiano una forte componente dual-use, ovvero di prodotti utilizzabili anche nel settore civile. I timidi progressi fatti dalla Bei al riguardo a maggio 2024 rispetto al finanziamento di Pmi e start-up attive anche, ma non solo, nel campo della difesa, sono giudicati positivi ma insufficienti. Un cambio di posizione della Bei sarebbe molto importante anche come segnale ad altri investitori pubblici e privati, nazionali ed europei, sulla strategicità e reputazione positiva di questo settore. Ciò si applica, secondo il rapporto, a tutte le linee di finanziamento europeo rilevanti, compresi ad esempio i fondi di coesione. 

Le ombre 

Alcune idee originali presentate dal documento Draghi sono invece di difficile realizzazione, e/o alquanto criticabili, spesso perché non considerano il punto di vista militare. La difesa è trattata come altri settori dell’economia europea, e se ciò da una parte è un bene per far conoscere e riconoscere la problematica da un pubblico più ampio, dall’altro non considerare le specificità della difesa per la sicurezza e sovranità nazionale fa perdere di realismo. Ad esempio, immaginare una nuova Eu Defence industry authority per fare “joint EU programming and procurement function, i.e. to procure centrally on behalf of Member States”, non considera né il faticoso equilibrio raggiunto tra Commissione europea e ministeri della Difesa nazionali sulla governance dell’Edf, incluso work programme per allocare gli investimenti in ricerca e sviluppo, né il fatto che i Paesi Ue già affidano da anni importanti programmi di procurement congiunti ad una agenzia rodata come Occar – una volta però che ne abbiano concordato tutti gli aspetti a livello intergovernativo. Similmente, l’idea di incentivi economici per una “preferenza europea” nella scelta degli equipaggiamenti militari non considera elementi cruciali quali: (i) requisiti militari che influenzano direttamente le specifiche del prodotto; (ii) garanzie militari e di sicurezza che accompagnano l’acquisizione, anche tramite accordi government-to-government; (iii) sovranità operativa e tecnologica, sicurezza degli approvvigionamenti e ritorno industriale su base nazionale, bilaterale e mini-laterale, intra-UE e/o con Paesi terzi (in primis Regno Unito). Tutti elementi rispetto ai quali c’è una radicata varianza tra Stati membri, la quale non va ignorata ma gestita politicamente caso per caso verso una maggiore cooperazione e integrazione europea. 

Il chiaroscuro: il Rapporto per spinta politica

Il dato di fondo è che la politica industriale europea nella difesa a questo stadio non necessita tanto di nuove idee, nuove autority o nuovi complessi meccanismi burocratici per allocare poche centinaia di milioni di euro. Piuttosto, servono volontà politica e investimenti nell’ordine di decine di miliardi per far funzionare gli strumenti già attivi o previsti, e per realizzare gli impegni che governi e istituzioni hanno già preso dall’Eu Strategic compass 2022 in poi. Se il rapporto Draghi aiuterà a creare questa spinta politica, anche attraverso l’agenda della Commissione Von Der Leyen, allora si rivelerà utile per la politica industriale europea nella difesa.  


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