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Italia 5.0, un new deal delle competenze in Italia e in Ue

Italia eccellenza manifatturiera e agricola, ma serve investire in competenze e digitalizzazione per rilanciare la produttività ed essere un modello di società 5.0 al mondo. Fondamentali il ruolo del capofiliera per stimolare innovazione, competenze e digitalizzazione e la collaborazione pubblico-privato. Ecco lo studio di Teha Group in collaborazione con Philip Morris Italia

Intelligenza artificiale e innovazione digitale sono al centro del mondo che conosciamo oggi. Si rende necessario quindi sviluppare un nuovo paradigma nella relazione tra uomo e tecnologia dove quest’ultima diventa un abilitatore di nuovi modelli di cittadinanza e lavoro che vedano l’individuo al centro, senza sostituirlo e dove la chiave per la competitività è l’innovazione, che a sua volta è alimentata dalle competenze.

Da questo principio è partito lo studio “Italia 5.0: le competenze del futuro per lo sviluppo dell’innovazione nell’epoca dell’intelligenza artificiale in Italia e in Ue”, elaborato da Teha Group in collaborazione con Philip Morris Italia, e presentato oggi alla 50esima edizione del Forum di The European House – Ambrosetti, in una conferenza stampa cui hanno preso parte Massimo Andolina, presidente Regione Europea, Philip Morris International, Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato, Philip Morris Italia – VP South West Europe Cluster e l’advisor scientifico e portavoce dell’iniziativa Giorgio Metta, direttore scientifico, Istituto Italiano di Tecnologia.

La ricerca si è posta l’obiettivo di definire gli elementi per un New Deal delle competenze per trasformare il nostro Paese in un’Italia 5.0 – in grado di cogliere da protagonista tutti i benefici derivanti da innovazione, digitalizzazione e nuove tecnologie – che rappresenti anche un modello da esportare a livello europeo.

Lo studio ha fatto leva su un’ampia attività di stakeholder engagement, che ha visto la partecipazione di oltre 10 vertici di imprese, delle istituzioni e delle associazioni di categoria in interviste riservate, nonché il coinvolgimento di oltre 450 imprese da 4 Paesi Ue (Italia, Germania, Francia, Spagna) in una survey, somministrata in collaborazione con Coldiretti, per misurare digitalizzazione e competenze nei settori agricolo e manifatturiero.

I PUNTI EMERSI DALLA RICERCA

L’adozione del paradigma 5.0 rappresenta un imperativo competitivo: i Paesi che investono di più in R&D crescono maggiormente e sono più competitivi. Inoltre, c’è una forte correlazione tra digitalizzazione delle aziende e capacità di generare innovazione.

L’Italia è una potenza agricola e manifatturiera. Le Pmi sono centrali nel tessuto economico europeo ed italiano, rappresentando il 97% del totale delle imprese in Europa e il 98% in Italia.

Il ruolo delle grandi aziende è fondamentale per guidare un processo di digitalizzazione, innovazione e sostenibilità delle filiere assumendo il ruolo di capofiliera. Le aziende parte di una filiera sono più innovative e più sensibili a sostenibilità e digitale.

Essere parte di una filiera genera degli impatti positivi anche per quanto riguarda la produttività e la sostenibilità, come dimostra il significativo differenziale nei dati tra la media di aziende agricole italiane e aziende tabacchicole associate a Coldiretti che collaborano con Philip Morris Italia (+56% per la produttività e +24% per la sostenibilità).

Per la società 5.0, le competenze sono chiave: serve alfabetizzare digitalmente 15 milioni di cittadini, aumentare gli iscritti a corsi di laurea ICT e agli ITS e puntare sulla formazione continua.

CINQUE PROPOSTE PER LANCIARE IL NEW DEAL DELLE COMPETENZE

Sulla base delle prospettive fornite dalle attività di stakeholder engagement – survey, interviste riservate e tavoli di lavoro – sono state elaborate 5 proposte chiave per lanciare il New Deal delle competenze per un’Italia 5.0

Formazione in ingresso. Lanciare un Piano Marshall delle competenze con l’obiettivo di superare i gap del Paese e di rendere l’Italia una fucina di talenti per il paradigma 5.0. Nei prossimi anni sarà necessario innanzitutto accelerare l’alfabetizzazione digitale di 15 milioni di cittadini per centrare gli obiettivi Ue stabiliti nel Digital Compass (80% di adulti con competenze digitali di base). Inoltre, occorre fare un deciso passo avanti sulla formazione universitaria e su quella professionalizzante: per recuperare il gap con i Paesi benchmark più avanzati, è necessario aggiungere ai numeri attuali 137mila laureati ICT, 87mila ingegneri e 140mila iscritti agli ITS. In questo, i fondi del Pnnr rappresentano un’opportunità da cogliere al meglio.

Formazione permanente. Oltre alla formazione in ingresso, per un’Italia 5.0 è necessario intervenire anche sui percorsi di reskilling e upskilling dell’attuale forza lavoro. Occorre individuare strumenti normativi adeguati per offrire ai lavoratori percorsi di miglioramento delle proprie competenze, sostenendo la transizione digitale del mercato del lavoro italiano. L’obiettivo è quello di formare almeno 2,8 milioni di lavoratori in Italia, al fine di raggiungere la media Ue di quota di partecipazione a percorsi di formazione e istruzione nella popolazione adulta.

Digitalizzazione delle Piccole e Medie Imprese (Pmi). La digitalizzazione delle Pmi italiane è cruciale per la competitività del sistema-Paese, in quanto rappresentano l’ossatura produttiva del nostro sistema economico. Per questo motivo è necessario creare un piano nazionale dedicato alla digitalizzazione delle Pmi e in particolare delle filiere manifatturiere e agricole, al fine di rendere l’adozione di nuove tecnologie più accessibile. L’obiettivo è quello di digitalizzare almeno 126mila Pmi per raggiungere il target Ue fissato nel Digital Compass (90% di Pmi con livello digitale di base). Il piano transizione 5.0 rappresenta un passo importante in questa direzione.

Capofiliera e innovazione. Per dimensione economica, impatto occupazione e propensione all’innovazione, la presenza di un’impresa capofiliera è determinante per la digitalizzazione di tutte le altre aziende coinvolte nella filiera, come evidenziato dalla survey Teha su 400 aziende europee: il 44,9% dei rispondenti in Italia e il 40,4% dei rispondenti in Spagna, Francia e Germania afferma che il capofiliera favorisce la formazione continua e lo sviluppo di competenze digitali. questo motivo, occorre valorizzare il ruolo dei capifiliera come motore per l’innovazione di prodotto e di processo, per la digitalizzazione e per la sostenibilità, promuovendo la diffusione di contratti di filiera come già fatto con successo in Italia.

Collaborazione pubblico-privato: per realizzare una strategia sul medio periodo è fondamentale che vi siano quadri regolatori efficaci, stabili, in grado di promuovere l’innovazione di prodotto e di processo e creare un ecosistema tra Istituzioni, università e aziende. Sotto questo aspetto, in virtù del quadro unionale nel quale l’Italia agisce, per recuperare competitività rispetto ad altri continenti è fondamentale che queste condizioni vengano garantite e promosse a partire dal legislatore europeo.

GLI INTERVENTI

“Per cogliere appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale, è chiave per l’Italia muoversi verso un nuovo paradigma di dispiegamento tecnologico: quello della Società 5.0”, ha detto Valerio De Molli, managing partner & ceo di Teha Group e The European House – Ambrosetti.
“Per costruire un’Italia 5.0 è strategico il ruolo delle aziende capofiliera: l’Italia è infatti un Paese di Pmi, che generano il 48% del valore aggiunto del Paese e impiegano il 57% degli occupati, ma sono più in difficoltà rispetto a digitalizzazione e competenze, per cui è necessario il ruolo di stimolo della grande impresa. Inoltre, le competenze sono chiave, soprattutto per cogliere i benefici dell’intelligenza artificiale: il Paese è in ritardo, serve un Piano Marshall delle competenze”, ha concluso.

“La ricerca conferma – anche con le testimonianze dirette provenienti dal mondo delle aziende – che il capitale umano è oggi l’elemento chiave della competitività delle imprese e della crescita dell’economia, elemento ulteriormente valorizzato dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale”, ha sottolineato Metta. “L’Italia è un Paese di eccellenze anche nella ricerca e nell’istruzione. Tuttavia, l’Italia ha un problema di scala sulle competenze: nonostante le eccellenze, l’Italia sconta un ritardo sistemico sulle competenze digitali, sia di base che avanzate: mancano infatti 15 milioni di cittadini da alfabetizzare al digitale, aumentare gli iscritti a corsi di laurea ICT e agli ITS e puntare sulla formazione continua”.

Per Andolina “l’ambizione dell’Italia può e deve essere quella di abbracciare un nuovo paradigma di sviluppo per posizionarsi come modello da esportare in Europa. Per colmare il gap di competenze digitali occorre partire dalle esperienze più virtuose e da una collaborazione pubblico-privato di tipo strutturato. In questo momento storico è fondamentale, da una parte, tenere il passo dell’innovazione, guidandola, per mantenere alta la competitività; dall’altra parte garantire il più ampio accesso possibile a percorsi di formazione all’avanguardia, che accompagnino i professionisti lungo il loro intero percorso in azienda”.

Infine secondo Hannappel “l’esperienza di Philip Morris Italia è emblematica: grazie alle competenze all’avanguardia della nostra filiera integrata – che oggi coinvolge oltre 41.000 persone e più di 8000 imprese – abbiamo costruito negli anni un modello di business invidiato in tutto il mondo, il cui principale driver è sempre stato la capacità di innovare. I dati oggi mostrano i frutti di questo percorso virtuoso e quanto il ruolo di capofiliera sia essenziale, in particolare nel mondo agricolo: grazie agli accordi di programma sottoscritti negli anni da Philip Morris con il Ministero dell’Agricoltura e con Coldiretti, gli agricoltori aderenti all’iniziativa mostrano dati sull’innovazione sensibilmente migliori rispetto alla media Italiana ed Europea: l’89% di tali aziende dichiara di aver realizzato o di avere in corso progetti agritech rispetto al 46% della media italiana e al 77% della media Ue”.

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