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Phisikk du role – Sarebbe un vero peccato sprecare Fitto

Fitto ha dalla sua il favore del governo che lo designa e l’intuitus personae, cioè le qualità personali che ne fanno un buon candidato alla vicepresidenza esecutiva, carica che avrebbe senso anche per il peso specifico del nostro Paese nell’Ue. La rubrica di Pino Pisicchio

Il grigio si addice a Bruxelles che, almeno fino a prima della tropicalizzazione dell’intero continente europeo, vantava il record di 330 giorni di pioggia fitta su 365. Anche in questi giorni di settembre il grigio prevale, ma si addensa come la nuvoletta di Fantozzi, soprattutto sull’Italia. Adesso il lemma “fitto” a Bruxelles è scritto con la maiuscola ed evoca un’altra cosa: un caso politico che, nelle lineari aritmetiche di organismi complessi come l’Unione Europea, appare come il prodotto di qualche errore di grammatica politica compiuto dal nostro governo e, di conseguenza, il rischio della perdita di un’opportunità per l’Italia.

Com’è noto Ursula von der Leyen, eletta dal Parlamento presidente della Commissione, che è il governo europeo, sta completando la sua squadra. È una squadra articolata, di 27 membri, un commissario per ogni Paese dell’Ue, più qualche vicepresidente con funzioni esecutive. Chi indica i “commissari-ministri” sono i 27 governi in carica, ovviamente impegnando nella scelta il criterio dell’appartenenza politica. Tuttavia non è che l’indicazione fatta dal governo del Paese membro esaurisce la questione.

Infatti accanto al principale, entrano in campo anche altri criteri valutativi, che tengono conto del peso specifico del Paese conferente, del cosiddetto intuitus personae dell’indicato, ma, soprattutto, dell’essere parte o meno della maggioranza che ha eletto la Presidente della Commissione. E qui viene fuori per noi la nota dolente: il governo italiano, rappresentato dalla sua presidente Meloni, peraltro leader del gruppo dei Conservatori al Parlamento Europeo, non solo è fuori dalla maggioranza che ha sostenuto la von der Leyen, formata da Popolari, Socialisti, centristi di Renew, a cui si sono aggiunti i Verdi, ma ha anche votato contro, pur distinguendo il giudizio sulla presidente. E adesso si è aperto il fuoco di sbarramento di socialisti, Centristi e Verdi contro la candidatura italiana di Fitto, ministro del governo Meloni.

Fitto è sicuramente la migliore carta che il governo potesse mettere in campo e non solo per la rarissima qualità in questi tempi fatui e ciarlieri di saper impegnare saggiamente il suo tempo di ministro studiando le carte e lavorando sui contenuti della sua delega piuttosto che riscaldare le poltroncine dei talk show televisivi, cosa che di suo sarebbe già un merito incommensurabile. Ma c’è di più: Fitto ha un cursus honorum, in questo momento sconosciuto alla dilettantesca politica italiana, che è paragonabile solo a quello dei capi corrente democristiani della Prima Repubblica: a 55 anni può vantare di avere alle spalle 36 anni di carriera in cui ha fatto tutto, dal presidente di una grande Regione come la Puglia, al ministro (per tre volte), al deputato italiano (per quattro volte), al parlamentare europeo (per tre volte).

Ha l’abitudine di leggere i dossier, di cercare mediazioni piuttosto che scontri, di ricordarsi dei suoi amici e dei suoi nemici, di coltivare il rapporto con l’elettorato portandosi appresso consensi personali dai partiti centristi alla destra meloniana a cui ha concorso ad imprimere una traccia moderata che ha consentito – fino alla improvvida autoesclusione dalla maggioranza – una buona accoglienza in Europa, dove, peraltro è stimato.

Insomma: sprizza democristianità da tutti i pori. Sicuramente sarebbe una risorsa per l’Italia rispettando, per conformazione mentale, lo spirito d’indipendenza che viene richiesto ai membri della squadra di governo nell’Ue. Fitto, dunque, ha dalla sua il favore del governo che lo designa e l’intuitus personae, cioè le qualità personali che ne fanno un buon candidato alla vicepresidenza esecutiva, carica che avrebbe senso anche per il peso specifico del nostro Paese nell’Ue. Ma la maggioranza richiesta per il passaggio dalle forche caudine del Parlamento è dei due terzi e l’aria che tira in queste ore è grigia di perturbazioni che tengono dentro l’errore originario della rottura alla partenza della legislatura. Sarebbe un peccato sprecare Raffaele Fitto magari ripetendo la figuraccia che nel ‘94 toccò a Buttiglione. Fa bene la Meloni a consultare Draghi. Magari l’avesse fatto prima del 18 luglio, prima del voto contrario al Parlamento Europeo.



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