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Ecco perché il Referendum sulla cittadinanza ha ottenuto un risultato sorprendente

Di Marco Mayer e Valeria Fargion  

È improbabile che Forza Italia riesca a imporre a Salvini lo Ius Culturae. Prepariamoci a un referendum molto importante che per alcuni aspetti fa venire in mente la battaglia sul divorzio del 1974, quando vinse l’Italia del buon senso, più consapevole dei valori di una società democratica, più aperta e lungimirante della sua classe politica. L’opinione di Marco Mayer e Valeria Fargion

La raccolta di 510.123 firme in 18 giorni per il referendum promosso da +Europa (e da altri soggetti) sulla cittadinanza è un risultato sorprendente. Come si spiega una adesione di massa così rapida e inusuale?

Certo la tecnologia ha aiutato, nonostante qualche difficoltà tecnica al ministero della Giustizia. Ma forse la cosa più importante è che tra molti italiani è cresciuta la consapevolezza che nello scenario del XXI secolo i migranti stranieri possono essere una risorsa utile non solo per contrastare l’inverno demografico, ma più in generale per garantire all’Italia un futuro di crescita economica e di maggiore vitalità culturale.

Un altro aspetto da considerare è che è aumentato il dissenso – soprattutto nel mondo cattolico – per l’ accanimento del Viminale nei confronti delle Ong che si occupano di soccorsi in mare. Anche le parole del Papa sono servite a spiegare all’opinione pubblica l’assurdità di costringere le imbarcazioni di soccorso a percorrere centinaia di miglia marine per raggiungere i porti del centro-nord, allontanandole così dalle zone del Mediterraneo dove possono salvare la vita ad altri naufraghi.

Certo, quando parliamo di immigrati ci sono luci ed ombre. Partiamo dalle prime.

In tante famiglie si sono stabilite relazioni affettive con le badanti, che consentono agli anziani di restare nelle loro abitazioni, così come con le infermiere extracomunitarie impegnate nella assistenza domiciliare. E sono ormai moltissimi i paramedici stranieri che lavorano nei nostri ospedali.

Ma è soprattutto sulle scuole che dovremmo puntare l’attenzione. È qui che attraverso il gioco e la condivisione si sbriciolano le barriere etniche e che nascono amicizie tra gli alunni italiani e i loro compagni provenienti dall’estero.

Come sottolinea una vastissima letteratura scientifica a partire da quella sul social investment, i processi di integrazione sociale, ivi incluso il superamento della trappola della povertà e dell’emarginazione delle fasce più deboli della popolazione, hanno maggiori possibilità di successo se iniziano il più presto possibile e quindi sin dall’asilo nido e dalla scuola materna.

A questo proposito sarebbe istruttivo rileggere oggi quanto scriveva Monique Kremer sul caso olandese, in un saggio visionario pubblicato nel lontano 2008 sulla Rivista delle politiche sociali.

Sul fronte del nostro sistema educativo, il primo grande problema è che per molti anni tutto il peso dell’integrazione linguistica è ricaduto sulle spalle degli insegnanti, salvo il caso in cui sono intervenuti gli enti locali come ad esempio per il comune di Firenze o la provincia di Trento.

In assenza di supporti linguistici aggiuntivi la non conoscenza della lingua italiana di bambini e ragazzi stranieri appena arrivati finisce quasi inevitabilmente per essere fonte di grandi tensioni nelle classi.

In realtà, qualcosa sembrerebbe muoversi: sulla base di un provvedimento approvato di recente, dall’anno scolastico 2025/26 è previsto che il ministero della Pubblica Istruzione assegni alle scuole personale ad hoc per l’insegnamento dell’italiano. Tuttavia ciò può avvenire soltanto nei “limiti dell’organico vigente”, come recita testualmente il provvedimento, senza prevedere risorse finanziarie aggiuntive. E qui casca l’asino…

Ancora più problematiche sono poi le misure adottate dal ministero dell’Interno che hanno portato, a partire dal 2023, a cancellare i finanziamenti per i corsi di italiano nei centri di accoglienza per i richiedenti asilo, con implicazioni – come è facile capire – del tutto controproducenti.

Ma al di là delle politiche spesso miopi messe in atto dalle nostre istituzioni, è inutile negare che l’immigrazione può portare con sé anche molti problemi.

Può favorire il potenziamento di organizzazioni criminali, così come comportamenti illegali da reprimere e punire. Basti pensare a cosa ha significato storicamente
l’importazione della mafia siciliana nella metropoli di New York.

Dunque non c’è da scandalizzarsi all’ipotesi di espellere migranti (regolari e non) che compiono violazioni gravi.

La verità, però, è che a parte la situazione delle persone sospettate di terrorismo, i rimpatri sono praticamente possibili solo con la Tunisia perché gli altri Stati della sponda sud del Mediterraneo hanno deciso di non collaborare con lo Stato italiano.

Lo scarto tra prese di posizione ideologiche e la realtà dei fatti è in questo caso difficilmente colmabile. E che dire se quelli che si vorrebbero rispedire a casa arrivano dall’Afghanistan o da Paesi africani in mano a dittatori controllati dalla Russia di Putin, come Eritrea, Niger, Burkina Faso o Mali?

Come sottolineato nel rapporto di Mario Draghi l’immigrazione è una necessità per arrestare il declino dell’intero continente europeo e l’ attuale flusso di migranti non sarà sufficiente nei prossimi anni né a garantire la crescita né a far quadrare i conti dei nostri sistemi di protezione sociale.

È improbabile che Forza Italia riesca a imporre a Salvini lo Ius Culturae. Prepariamoci dunque a un referendum molto importante che per alcuni aspetti fa venire in mente la battaglia sul divorzio del 1974, quando vinse l’Italia del buon senso, più consapevole dei valori di una società democratica, più aperta e lungimirante della sua classe politica.

 


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