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Perché l’Italia dovrà risarcire una manager cinese

Lo Stato dovrà pagare oltre 48.000 euro alla donna, arrestata nel 2022 a seguito di un Red Notice dell’Interpol, per 205 giorni di ingiusta detenzione. Il caso aveva messo in luce i rischi di trattamenti inumani nei centri di detenzione cinesi, influenzando anche future decisioni in ambito internazionale

È finita come avevamo previsto. Ma non era difficile prevederlo. Lo Stato italiano dovrà risarcire la manager cinese che fu arrestata in Italia nell’estate del 2022, alla luce di un Red Notice dell’Interpol. Ingiusta detenzione: 48.343,10 euro per 205 giorni di detenzione in carcere, “ingiustamente sofferti” come recita l’ordinanza di accoglimento emessa dalla Corte d’appello di Ancona.

La vicenda riguarda un tema particolarmente delicato nei rapporti bilaterali: l’estradizione. La donna, ex amministratore delegato di una nota società cinese, era ricercata in patria per presunti reati economici. La Corte d’appello di Ancona aveva dato il via libera all’estradizione ma nel marzo dell’anno scorso la Corte Suprema di Cassazione ha ribaltato la decisione. Con quella sentenza l’Italia è stata il primo Paese a pronunciarsi circa la possibilità di collaborazione con la Cina dopo la storica sentenza Liu v. Poland della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 ottobre 2022.

Nel riassunto delle motivazioni della sentenza della Sesta Sezione penale della Corte suprema di Cassazione si legge che, in tema di estradizione per l’estero, “ove la richiesta sia avanzata dalla Repubblica popolare cinese, sussiste il rischio concreto (…) di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, in quanto plurime fonti internazionali, affidabili, dànno atto di sistematiche violazioni dei diritti umani e del tollerato ricorso a forme di tortura, nonché della sostanziale impossibilità, da parte di istituzioni ed organizzazioni indipendenti, di verificare le effettive condizioni dei soggetti ristretti nei centri di detenzione”.

Accogliendo il ricorso, la Cassazione metteva anche nero su bianco i timori della donna che “si fondano anche sulle condizioni di detenzione subite dal fratello e da quest’ultimo riferite con una nota acquisita al giudizio, nella quale si riferisce di una detenzione disposta illegalmente e, in concreto, finalizzata ad indurre la sorella a far rientro in Cina”.

La difesa era stata affidata all’avvocato Enrico Di Fiorino, che ha seguito un altro caso di estradizione verso la Cina, anche questo ad Ancona. In quel caso, era stata già la Corte d’appello a negare la richiesta di estradizione per un cittadino cinese, ex dirigente di un colosso cinese delle costruzioni, accusato di aver raccolto illegalmente circa 400 milioni di euro, con oltre 10.000 investitori coinvolti. L’uomo era stato arrestato mentre era in vacanza a Numana, pensandosi al sicuro dopo che nel 2022 le autorità tedesche avevano già ritenuto non sussistenti le condizioni per l’estradizione in Cina. La sentenza che lo riguarda è passata in giudicato perché non è stata impugnata. Sta all’uomo ora decidere se affrontare o meno il lungo iter per la richiesta di risarcimento da parte dello Stato italiano per i quasi due mesi trascorsi in carcere.


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