Per ragioni di sicurezza nazionale Washington vuole vietare la vendita di veicoli con tecnologia cinese e russa dal 2027. Pechino accusa: “Azioni discriminatorie”
Il governo degli Stati Uniti intende vietare la vendita nel Paese di veicoli connessi che incorporano tecnologia cinese o russa a partire dal 2027. La ragione? Rischi per la sicurezza nazionale.
La spiegazione di Washington
“Le auto di oggi hanno telecamere, microfoni, Gps e altre tecnologie connesse a Internet”, ha sottolineato in una nota Gina Raimondo, segretaria americana al Commercio. “Non ci vuole molta immaginazione per capire che un avversario straniero con accesso a queste informazioni potrebbe rappresentare un serio rischio per la sicurezza nazionale e per la protezione dei dati dei cittadini americani”, ha aggiunto. Non è ancora chiaro quali produttori o modelli saranno interessati dal divieto, che sarà sottoposto a consultazione per 30 giorni prima di essere formalizzato.
I marchi potenzialmente interessati
Non ci sono auto di marchi cinesi in vendita negli Stati Uniti, ma alcune case automobilistiche occidentali, come Volvo (controllata dalla cinese Geely), Polestar, Buick e Lincoln, vendono veicoli fabbricati in Cina nel mercato statunitense. Ci sono anche i veicoli assemblati negli Stati Uniti con componenti cinesi. Secondo un’analisi preliminare delle autorità americane, la presenza di software cinesi o russi nei veicoli è “minima”, mentre per i dispositivi hardware l’uso di componenti cinesi è più diffuso e richiederà cambiamenti nei fornitori. Il divieto per gli hardware sarà così posticipato al 2029, dando all’industria il tempo di adeguarsi. Per i software la misura sarà in vigore dal 2027.
La reazione cinese
La Cina ha ammonito gli Stati Uniti di non intraprendere “azioni discriminatorie” contro le sue aziende rispondendo alle anticipazioni. “Pechino si oppone all’ampliamento del concetto di sicurezza nazionale da parte degli Stati Uniti e alle ripetute azioni discriminatorie intraprese contro aziende e prodotti cinesi”, ha affermato Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri, commentando la vicenda nel corso del briefing quotidiano.