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Cosa serve alla produzione di serie tv italiana. L’intervento di Bettanini

Di Tonino Bettanini

Un imprinting italiano, un made in Italy del talento e della simpatia nei teatri del mondo che le serie tv, povere nella scrittura, hanno fin qui ignorato è quello che serve alla produzione italiana. L’intervento di Tonino Bettanini

Il dibattito sulle serie tv italiane conosce due partiti: quello del “così è se vi pare” a cui basta ninnare il pubblico generalista con storie di medici, di simpatici “don” e  di detective; quello del gotha aristocratico dei magazine patinati e influenti, che  incoraggia a passare il segno dell’educazione d’antan, per celebrare le “stranezze” vaticane (The Young Pope di Sorrentino), compiangere e promuovere il pluralismo fluido lgbt, o per disegnare, infine, scenari del male irredimibile come nella celebratissima Gomorra di Roberto Saviano.

Ma da dove arrivano le storie delle nostre serie TV?

Se guardiamo ai medical drama, l’alfa del genere è stato E.R.-Medici in prima linea (1994), con le sue 15 stagioni, debitore dei racconti di Michael Crichton. Ispirerà Chicago Med, Dr. House naturalmente Grey’s Anatomy (2015, venti stagioni ormai). E noi? Complice il tempo sospeso della pandemia, una citazione meritano sia Doc – Nelle tue mani, sia La linea verticale (entrambe su Rai play)  del compianto Mattia Torre.

Ma a completare una panoramica forzatamente veloce, e per ragionare di come alzare l’asticella delle produzioni made in Italy, dobbiamo attraversare il territorio del remake, con due dei nostri family drama storici più noti: Un medico in famiglia e I Cesaroni, in onda tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 (da due format spagnoli: Medico de Familia e Los Serranos, trasmessi su Telecinco). Un buon interesse hanno suscitato Call My Agent – Italia (Sky, dal gennaio 2023) remake della francese Chiami il mio agente! (Dix pour cent), Studio Battaglia, ispirata all’inglese The Split , protagoniste quattro donne. Ma non sempre la ciambella del remake esce col buco. E’ il caso, ad esempio, di Vostro Onore (RaiPlay), remake della serie di Sky Atlantic Your Honor.

Se pensiamo l’identità italiana (certo mobile, dinamica e non imbalsamata da una retorica nazionalista, cui fa però da contrappeso il conformismo ideologico spesso manipolatorio e nostalgico del “sol dell’avvenire”) non siamo stati per lo più capaci di trasferire la ricchezza dei suoi contenuti (non solo storico-culturali) in una rappresentazione che non fosse in qualche modo di maniera e non riuscisse ad uscire dal recinto di casa. Occhio che qui non si chiede appunto di costruire in alternativa i tratti di una nostra identità seguendo moduli e ispirazioni attribuibili a un clima che si vorrebbe di regime (“quelli – figurarsi -, guardano a Gramsci”). Le storie di italiani che vengono in mente hanno fin qui avuto un buon intento, quando non decadono in una rappresentazione complottistica della realtà (penso a Adriano Olivetti, la forza di un sogno, 2013). Senz’altro meglio Luisa Spagnoli, (2016). Deludenti, ma anche forvianti gli otto episodi di Leonardo (2021, Rai) per ripetere il risultato de I Medici. I moduli di una storia trattata come un   feuilleton hanno infastidito per ricostruzioni e ambientazioni non attendibili, espressioni linguistiche troppo moderne, l’inganno di momenti di apparente divulgazione che falsificano invece la realtà. Allora quasi meglio il biopic su Goffredo Mameli il ragazzo che sognò l’Italia, leggero e gradevole racconto del ragazzo che a 19 anni, nel 1847, scrisse il nostro inno e che morì a 22 anni per difendere il sogno di un’Italia unita.

Quel che fin qui manca è indubitabilmente la capacità di trattare la miniera di contenuti e storie che nutrono il nostro dna, liberando una nuova fantasia, una scrittura che è fin qui per lo più mancata nell’esito non lusinghiero della performance italiana di due piattaforme come Netflix e Amazon. E che è comparsa, in positivo, nei successi delle serie che hanno alle spalle una signora scrittura, una traduzione cinematografica, in qualche caso ben tre passaggi. Montalbano, sorretto dalla scrittura maestra di Andrea Camilleri; Blanca, la poliziotta ipovedente ispirata ai testi di Patrizia Rinaldi; L’amica geniale di Elena Ferrante e Gomorra di Roberto Saviano ma anche il Rocco Schiavone interpretato da Marco Giallini, ispirato dai romanzi di Antonio Manzini.

Diverso il discorso, ad esempio, di Mare Fuori tributario di moduli americani e più interno ad una cultura convergente: colonna sonora dedicata e predominante; montaggio dai tagli improvvisi, timelapse, salti temporali.

Nel ventaglio dei contenuti delle serie TV – nonostante i tentativi non tutti felici, e per di più intermittenti, del servizio pubblico – potrebbero entrare produzioni originali, caratterizzate dalla stessa capacità di penetrazione dei prodotti del made in Italy (senza per questo scivolare nel minculpop). Trattando ad esempio la miniera di contenuti e storie che nutrono il nostro dna nel mondo (la cooperazione italiana; le azioni di peace keeling e nation building): un territorio da esplorare, motore di storie dai contenuti adrenalinici più vari (dalle catastrofi ambientali, alle emergenze: es. rapimenti; al settore sanitario; dalla difesa e conservazione del patrimonio culturale agli episodi di terrorismo, etc..).

Simpatia, gentilezza e cordialità, talento, competenza e capacità di reazione e di governo dell’emergenza sono tratti di questo agire italiano che potrebbe incontrare una narrativa (gli spagnoli lo hanno fatto con la serie, La Unidad, a partire dal 2020) non conformistica (The West Wing, 1999-2006, potrebbe ispirarci: racconta la vita politica quotidiana della Casa Bianca), capace di affermare a partire dal linguaggio (nei dialoghi!) quel tocco di “sense and sensitivity” che fa della tua storia una storia di tutti. E lasciando scorrere in sotterranea il racconto di un’identità (positiva) esportabile del nostro Paese, un sentimento che per lo più avvertiamo nelle vittorie nel mondo dello sport.



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