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Usa, il budget per la Difesa rischia di arrivare (solo) a 833 miliardi

Di Riccardo Leoni e Nicola V. Stellini

La Difesa degli Stati Uniti potrebbe vedere il suo budget ridotto rispetto agli scorsi anni, e sarebbe quasi una prima volta. Per Wittman, il Congresso chiuderà l’anno fiscale con un’allocazione stimata a 833 miliardi, mentre le crisi aumentano e i rivali si fanno più pericolosi

Durante la Defense news conference del 4 settembre, il vice-presidente della Armed Services Committee della Camera, il repubblicano Rob Wittman, ha dato delle indicazioni circa la previsione di spesa per l’anno fiscale 2025. Secondo Wittman, il Congresso Usa si risolverà ad approvare un budget per il Pentagono di 833 miliardi di dollari. Con l’approssimarsi della fine dell’anno fiscale (la cui scadenza, negli Stati Uniti, è fissata al primo di ottobre), per il deputato della Virginia, sarà difficile che ulteriori rettifiche al budget siano prese in considerazione. Pur senza escludere che ulteriori fondi vengano aggiunti nel corso dell’anno fiscale 2025 (e, soprattutto, dopo le elezioni), Wittman sostiene che il Pentagono “dovrebbe essere in grado di fare ciò che deve con questi numeri”.

Il budget per la Difesa degli Stati Uniti, costantemente in crescita negli ultimi anni, rischia quindi di incontrare la sua prima battuta d’arresto – in termini nominali, visto che, in termini reali, l’inflazione aveva già determinato flessioni. A fronte dello stanziamento di 883,7 miliardi di dollari del 2024, quello per il 2025 costituirebbe il primo rallentamento degli ultimi anni, che ci avevano abituati a costanti, seppur graduali, incrementi per fronteggiare l’ascesa dei principali rivali (Russia, Cina, Iran e Corea del Nord). 

D’altra parte, secondo un rapporto della Commission on the National defense strategy, indipendente e bipartitica, gli Usa non sono mai stati così militarmente impreparati. Il dibattito Usa sulle spese per la Difesa (e, più in generale, su tutta la spesa pubblica), infatti, è tutt’altro che concorde sulla regressione degli stanziamenti. Come aveva precedentemente affermato Robert Wicker – altro repubblicano, ma della corrente neo-con – Washington dovrebbe incrementare la spesa militare per intercettare le autocrazie che “stanno spendendo sempre di più nella Difesa, perché non si curano di spese sociali” e puntare addirittura a un 5% del Pil di reaganiana memoria.

A tutto ciò bisogna aggiungere che l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale, per l’elezione del presidente e per il rinnovo parziale del Congresso, potrebbe porre i legislatori nella condizione di adottare una linea più attendista nei confronti di un dossier delicato come il budget della Difesa. Ogni discussione sostanziale potrebbe venir rinviata a dopo le elezioni, se non addirittura all’insediamento del nuovo esecutivo in gennaio 

L’iter per l’approvazione

Il budget del Pentagono, detto Defense Bill, si basa su due leggi: il National Defense Authorization Act e il Defense Appropriations Bill. Il primo ruota attorno alle commissioni Difesa (Armed Services Committees) e autorizza i diversi programmi e il limite di spesa del Pentagono, mentre il secondo ruota intorno agli Appropriations Committees – alle loro sub-commissioni Difesa, per essere precisi – e ha l’ultima parola sulla distribuzione dei fondi tra i vari programmi autorizzati. Appropriations significa proprio, nel linguaggio del Congresso, allocazione di fondi. In altri termini, la prima legge fornisce la copertura legislativa al Pentagono, la seconda quella finanziaria ai singoli programmi. 

Il processo è ulteriormente complicato dall’intersecarsi, a livello temporale, delle due leggi. Se si considera una sola legge alla volta, poniamo il NDAA, Camera e Senato lavorano separatamente, iniziando dalle rispettive commissioni, e, se approvano due testi diversi, viene formata una commissione interparlamentare, con membri dei due Armed Services Committees, per produrre una versione che deve essere approvata da entrambi i rami del Congresso. La procedura di riconciliazione si complica qualora esistano differenze tra NDAA e Defense Appropriations Bill, con la commissione interparlamentare che diventa formata da membri degli Armed Services Committees e delle sub-commissioni Difesa dell’Appropriations Committee. 

Le sfide all’orizzonte

In una fase caratterizzata da una tendenza globale all’aumento delle spese per la Difesa, un eventuale rallentamento di Washington su quest’ultime potrebbe sia complicare i rapporti con gli Alleati, impegnati a loro volta (ognuno con i suoi tempi, vedasi l’Italia) a seguire le linee guida concordate in sede atlantica, sia galvanizzare i rivali. Ogni dollaro risparmiato sulla Difesa avvicina sempre di più la Cina a colmare il suo divario tecnologico e militare con gli Usa. Le Forze armate cinesi sono ancora inferiori a quelle statunitensi, ma il ritmo della crescita degli investimenti di Pechino supera quello di Washington, senza tener conto dei diversi orizzonti strategici. 

Gli Stati Uniti, per mantenere il loro rango di prima potenza, devono mantenere una proiezione globale, tecnologicamente avanzata e industrialmente capace, resa più onerosa dal sostegno offerto all’Ucraina e a Israele (e Taiwan). La Cina, al contrario, punta a una egemonia regionale e, in caso di scontro con gli Usa, potrebbe concentrare l’interezza delle sue forze nel quadrante dell’Indo-Pacifico che, per gli statunitensi, rappresenta solo uno dei teatri — seppur il più importante. La dottrina strategica Usa vuole evitare di trovarsi a sostenere più di due conflitti regionali di scala medio-grande. Questa postura, al pari della liquidità per il Pentagono, rischia di vedersi ridimensionata, a fronte di due proxy war, di rivali sempre più intraprendenti e di una possibile riduzione del budget. Insomma, i rivali continuano a spendere meno, ma non hanno bisogno di spendere quanto gli Stati Uniti, visti gli orizzonti strategici più contenuti. 

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