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Tra Biden e Meloni c’è feeling, nonostante il “nein” di Scholz

Nonostante le sparate di certa stampa, il rapporto Italia-Usa è solido. Lo confermano le recenti e prossime visite a Roma. A decidere l’esclusione dalla riunione sull’Ucraina è stato il cancelliere tedesco, schiacciato dalle tensioni interne

Chi manda gli inviti per un incontro? Il padrone di casa o gli ospiti? Se lo facessero i secondi, sarebbe una grave mancanza di rispetto per il primo. Perché allora pensare, come fa certa stampa sempre pronta a sfruttare qualsiasi equivoco per attaccare il governo, che sia stato il presidente americano Joe Biden a escludere l’italiana Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, dall’incontro di domani a Berlino, a casa del cancelliere Olaf Scholz con ospiti anche il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Rishi Sunak ma soprattutto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky?

Meloni domani sarà in Giordania e in Libano. “È importante parlare con gli attori della regione, questo viaggio è la mia priorità”, ha spiegato ieri la presidente durante un punto stampa a margine del vertice Ue-Golfo, rispondendo a chi gli chiedeva della sua assenza al summit di Berlino.

Sono le difficoltà interne del governo Scholz e le gelosie verso Roma ad aver spinto probabilmente Berlino a non invitare Meloni. Fosse stato per Washington la decisione sarebbe stata probabilmente diversa. Sì, le elezioni americane sono alle porte e la maggioranza di governo in Italia non ha intenzione di pregiudicarsi i rapporti né con la dem Kamala Harris, vice di Biden, né con il repubblicano Donald Trump, ex vicepresidente. Ma la collaborazione sul sostegno a Kyiv non è in discussione.

Anche perché, proprio sull’Ucraina, dall’amministrazione americana c’è forte apprezzamento nei confronti dell’Italia, in particolare di Meloni, e del suo anno di presidenza del G7. Lo confermano le recenti e prossime visite in Italia di Gina Raimondo, segretaria al Commercio, della delegazione del National Space Council guidata da Chirag Parikh, dell’inviato per il cyberspazio Nate Fick e del segretario alla Difesa Lloyd Austin.



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