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L’equivoco del centrosinistra. Scrive Merlo

La scomparsa del tradizionale centrosinistra in Italia, sostituito da un’alleanza di sinistra radicale, populista ed estremista, mette in discussione la nozione di bipolarismo e di democrazia dell’alternanza. L’opinione di Giorgio Merlo

La vulgata dice che con il ritorno del bipolarismo si ritorna a parlare di centro sinistra e di centro destra. Apparentemente una tesi corretta ma che, com’è ormai evidente a tutti, non riflette affatto lo stato delle cose. Ora, se nel campo alternativo all’attuale opposizione tutto sommato si può continuare a parlare di un centro destra, o di un destra centro come qualcuno lo definisce, nello schieramento progressista il centro sinistra semplicemente non esiste più. O meglio, non esiste più il tradizionale centro sinistra. E questo per una ragione talmente banale che è diventata in questi ultimi anni addirittura oggettiva. E cioè, si può chiamare una vera coalizione di centro sinistra solo quando nell’alleanza esiste un centro riformista, di governo e plurale e una sinistra di governo, riformista e altrettanto plurale. Una condizione che, oggettivamente, oggi non esiste. Non c’è.

Del resto, il centro sinistra dell’Ulivo – cioè la coalizione nata dopo la fine della prima repubblica e dei governi ancora caratterizzati dalla presenza forte e qualificata della Democrazia Cristiana e dei suoi partiti alleati – era composto da un centro visibile e rappresentativo di pezzi della società italiana alleato con una sinistra altrettanto qualificata e radicata nel paese. Una sinistra ovviamente riformista a cui si aggiungeva, per motivazioni anche numeriche, una sinistra massimalista e radicale ma del tutto minoritaria ed ininfluente ai fini del progetto politico complessivo.

Ora la situazione si è radicalmente capovolta. E cioè, oggi non c’è più una coalizione di centro sinistra ma solo un’alleanza di sinistra. Ossia, un contenitore elettorale che si basa su tre perni fondamentali, al di là dello spettacolo sempre più inguardabile ed incommentabile che offre quotidianamente il cosiddetto “campo largo” o “Fronte popolare”. Ovvero, la sinistra radicale e massimalista della Schlein, la sinistra populista e sempre più demagogica di Conte e dei 5 Stelle e la sinistra estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Una coalizione che, del tutto legittimamente, è una vera e propria alleanza progressista e di sinistra e che, come noto, è del tutto estranea ed esterna rispetto ad una coalizione di centro sinistra. Almeno di quel centro sinistra che abbiamo conosciuto e sperimentato nei decenni scorsi. Quello, per intenderci, di Franco Marini e Massimo D’Alema o di Walter Veltroni e Francesco Rutelli. Oggi, il centro da quelle parti è rappresentato dai partiti personali di Renzi e di Calenda che ricordano molto i “partiti contadini” di comunista memoria per confermare, ad uso propagandistico, la cosiddetta natura plurale della coalizione progressista e di sinistra.

Ecco perché, al di là di molte spiegazioni politiche o politologiche, quando si parla di democrazia dell’alternanza, del bipolarismo ritrovato e delle coalizioni in competizione, è bene anche essere chiari sul profilo politico, culturale e programmatico delle rispettive alleanze. E quindi, per essere onesti intellettualmente, “allo stato dei fatti”, per dirla con una celebre battuta di Carlo Donat-Cattin, ci sono due coalizioni che si contendono il potere e la vittoria elettorale: da un lato il centro destra o destra centro e, dall’altro, la sinistra. Ogni altra interpretazione è falsa, ipocrita e fuorviante.

 


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