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Europeo, continentale e aperto al dialogo. Il ritratto di Mark Rutte secondo l’amb. Talò

Di Francesco Maria Talò

Il nuovo segretario generale della Nato eredita un’Alleanza più grande, e quindi anche più complessa, con le sfide che sono più globali e interconnesse. L’esperienza di Mark Rutte, per anni alla guida dell’esecutivo neerlandese, potrà sicuramente giovare al Patto, con uno sguardo anche al meridione e un’apertura nel conciliare le posizioni di 32 Paesi, con valori comuni ma interessi talvolta diversi

Ho conosciuto bene Jens Stoltenberg, avendo lavorato spessissimo vicino a lui per oltre tre anni quando ho rappresentato l’Italia nell’Alleanza Atlantica e ritengo che, al di là delle opinioni che si possono avere in Italia su di lui, oggettivamente, il fatto stesso che sia stato il più longevo segretario generale della Nato indica una grande capacità di tenuta in un’epoca estremamente difficile, oltretutto con presidenti americani molto diversi tra loro. Stoltenberg ha preso le redini dell’Alleanza in un momento era già stata superata l’epoca della fine della Guerra fredda negli anni Novanta, del primo periodo basato sulla deterrenza e la difesa, e dell’illusione dell’unipolarismo e della “Fine della Storia”. Stoltenberg si è trovato in mano un’Alleanza che viveva la stagione delle crisi, determinate dal terrorismo post-11 settembre, con una importante missione in Afghanistan e una significativa presenza nei Balcani. In questo contesto è arrivato nel momento dello shock del 2014, con l’aggressione alla Crimea: il momento in cui si sono aperti gli occhi sulla natura della Russia. Da allora, la Nato ha riscoperto l’importanza della deterrenza, della difesa, si è riarmata in modo crescente per arrivare all’apice della crisi con la prima grande guerra vissuta in Europa, con l’aggressione da parte di una potenza nucleare, nonché membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu, nei confronti di un altro importante stato europeo.

Stoltenberg ha attraversato tutto questo, con più proroghe e anche con diverse presidenze americane. Va ricordato, infatti, che abbiamo già avuto una presidenza di Donald Trump, e che tutti i presidenti Usa, nessuno escluso, dal vertice in Galles del 2014 in poi hanno chiesto agli europei un maggiore impegno sulle spese per la difesa, e sicuramente il burden sharing non è un’invenzione di Trump, che tuttavia lo ha sottolineato con modalità particolari che hanno rischiato di destabilizzare la Nato. Questa destabilizzazione, per fortuna, non è però avvenuta. Oggi ci troviamo alla vigilia di nuove elezioni americane, con una nuova possibilità di presidenza Trump. Stoltenberg, in tutto questo, ha gestito questa situazione e ha invece rafforzato la capacità complessiva della Nato, e dei componenti europei dell’Alleanza nel fare deterrenza. E adesso, dopo che in passato si era parlato della possibilità che diventasse governatore della Banca di Norvegia, si ipotizza di lui come possibile prossimo presidente della Munich Security Conference. Un think tank tra i più importanti al mondo, fortemente legato alla Nato e dedicato alla sicurezza transatlantica. Un ponte di pensiero tra Stati Uniti ed Europa. Dopo due importanti presidenti tedeschi, due diplomatici prima Wolfgang Ischinger e oggi Christoph Heusgen (consigliere diplomatico di Merkel) toccherebbe stavolta al norvegese.

Oggi la Nato è credibile, e ha reagito in maniera corretta all’aggressione russa, per cui anche i membri del fianco est si possono – credo – sentire al sicuro. La Nato ha anche recepito una nuova dottrina strategica al vertice di Madrid di una difesa a 360° (che poi è la stessa impostazione italiana). Mark Rutte si trova a ereditare tutto questo, e credo dovrebbe continuare su questa strada, accentuando questa impostazione a tutto tondo. Questo si traduce in una Nato che, pur rimanendo un’alleanza regionale (lo è per definizione e non può che essere così) adotti una visione globale, dal momento che tutte le aree di crisi sono tra loro interconnesse. Ciò che succede tra Russia e Ucraina avrà conseguenze nell’Indo-Pacifico se non ci mostriamo perseveranti nel sostegno a Kyiv. Allo stesso modo, ciò che succede nell’Indo-Pacifico avrà delle conseguenze in Africa, che è fondamentale per la nostra sicurezza e per quella della Nato. Ed ecco che si chiude il cerchio.

Credo che Rutte sia una persona che ha questa visione. Intanto per la nazione da cui proviene, i Paesi Bassi, che tra tutti gli Stati continentali dell’Europa è il più atlantista, e non è un caso che sia il quarto segretario generale che proviene da lì (un record effettivamente sproporzionato rispetto alla grandezza del Paese, ma non è un caso). Forse l’Italia avrebbe potuto benissimo esigere che fosse il suo turno, ma alla fine non è stata fatta una proposta con un nome forte. Avremo, tuttavia, comunque un incarico importante, quello di presidente del Comitato militare, destinato all’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che si troverà a lavorare fianco a fianco con Rutte.

Altro elemento fondamentale del nuovo segretario è la sua capacità di parlare con il mondo anglosassone e al tempo stesso essere un Paese Ue. Qui si vedrà la capacità di Rutte di essere qualcuno che capisce le esigenze di tutti, e questo ho avuto modo di apprezzarlo in prima persona quando ha lavorato con noi dentro l’Unione europea. Un esempio interessante è stato quando ha voluto essere parte in quel gruppo che ha concluso l’accordo con la Tunisia. Con la guida di Giorgia Meloni e l’essenziale contributo della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, Rutte sembrava essere un elemento meno coerente. Invece è stata una buona carta. Pur provenendo, infatti, da un Paese di flussi migratori secondari, con i quali in passato ci sono stati spesso dei rapporti difficili proprio su questo tema, Rutte aveva capito l’importanza di lavorare con i Paesi coinvolti dai flussi primari, come l’Italia. Lo ha fatto pur essendo il nostro un Paese con interessi diversi dal suo e pur provenendo da una famiglia politica diversa a quella del nostro esecutivo. Come abbiamo visto alla prova dei fatti, l’accordo con la Tunisia che aveva destato delle perplessità, invece sta funzionando.

I Paesi Bassi, dunque, sono uno stato molto continentale e molto atlantico, e Rutte ha delle spiccate capacità di inclusività e di comprendere le ragioni altrui. È un politico, con una visione intelligente, e sa parlare con aree politiche diverse da lui. È stato a lungo primo ministro di un Paese la cui politica interna è forse poco conosciuta, ma molto complessa e dinamica, fatta di tanti partiti. Infine, e non guasta, è una persona dal tratto umano molto aperto, empatico. In caso di una eventuale seconda presidenza Trump, per esempio, ritengo riuscirà a fare bene e forse meglio di Stoltenberg, ed essere un buon ponte tra le due sponde dell’Atlantico.

Sicuramente riuscirà a essere quel garante della coesione della Nato, che è la caratteristica essenziale dell’Alleanza, l’ingrediente principale della sua credibilità che a sua volta permette di esercitare una efficace deterrenza.

Sarà un compito non facile, dal momento che dovrà mettere d’accordo un numero di Paesi che nel frattempo è cresciuto, arrivando a 32, che hanno sì valori e interessi in comune, ma che hanno anche delle caratteristiche specifiche ed alcuni interessi particolari da conciliare. Ci sarà, poi, da far dialogare il gigante americano con il gruppo dei Paesi europei su dossier delicati come le spese militari. Sono certo che sarà all’altezza della situazione, sulla base di una conoscenza personale che ho avuto modo di instaurare lavorando in varie occasioni vicino a Rutte (la delegazione olandese al Consiglio europeo è, tra l’altro, per qualche ragione vicina a quella italiana). Il lavoro nel contesto Ue ha anche favorito la creazione di un rapporto empatico tra Rutte e Giorgia Meloni, due persone intelligenti, che si capiscono e che pur venendo da realtà diverse geograficamente e politicamente hanno compreso la l’utilità e la possibilità di lavorare insieme.

Sarà importante adesso partire con il piede giusto e credo che sarebbe bene se Rutte decidesse di venire presto in Italia per una delle sue primissime visite da segretario generale.



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