Ci si sta finalmente rendendo conto che il rischio di “perdere il treno” è grande. Forniamo competenze, conoscenze, esperienze ma abbiamo lasciato il controllo delle scelte e delle tecnologie altrove, Stati Uniti e Cina in prima fila. E le tecnologie non sono più soltanto tecnologie (lo sono forse mai state?) ma economia, politica, potere. L’intervento di Giovanni Iozzia, direttore Economyup.it e vicepresidente Fondazione Pensiero Solido
“Io spero che mio figlio e mia figlia possano stare in Europa e coltivare grandi ambizioni. Spero che ci sia qualcuno che abbia l’ambizione di buttare il cuore oltre l’ostacolo e dire: io i miei soldi li voglio mettere in qualcosa di grande, qualcosa che crei le fondamenta per un’Europa che, tra dieci-quindici anni, non avrà perso il treno”.
Così si è espressa nei giorni scorsi dal palco dell’Italian Tech Week Samantha Cristoforetti, che è un’ingegnere ma abituata a vedere il mondo dall’alto. Parlava di spazio, ovviamente. Marte, la Luna, le orbite basse e il turismo spaziale sono una delle frontiere su cui il Vecchio continente si gioca il futuro e il suo ruolo nello scacchiere di un mondo in cerca di nuovi equilibri. “Siate coraggiosi per permettere all’Europa di essere protagonista e non cliente”.
Ecco, con il pragmatismo di chi è abituato a risolvere problemi complessi, la prima donna europea a essere stata comandante della Stazione spaziale internazionale in una missione non a caso denominata Futura, ha sintetizzato il motivo per cui l’innovazione in Europa sta diventando di moda. Ci si sta finalmente rendendo conto che il rischio di “perdere il treno” è grande. Forniamo competenze, conoscenze, esperienze ma abbiamo lasciato il controllo delle scelte e delle tecnologie altrove, Stati Uniti e Cina in prima fila. E le tecnologie non sono più soltanto tecnologie (lo sono forse mai state?) ma economia, politica, potere.
Dopo mesi di soddisfazione per il primato mondiale dell’AI Act, a riaprire il libro dei dolori europei è stato a inizio settembre Mario Draghi con il suo rapporto sulla competitività. Algido ma tranchant, come tutti ricordano: se qui non si cambia, il rischio è l’estinzione. Si apre il dibattito ma in quelle 400 pagine ci sono indicazioni chiare per la nuova Commissione in via di definizione. E, infatti, una settimana dopo la presidente Ursula von der Leyen annuncia che nel suo nuovo governo ci sarà per la prima volta nella storia della Ue un ministro che nel suo mandato ha le startup, messe prima di ricerca e innovazione. A Bruxelles le parole non vengono usate a caso e anche la loro posizione conta. E adesso le aspettative sul lavoro di Ekaterina Zaharieva sono grandi.
“Dobbiamo mettere la ricerca e l’innovazione, la scienza e la tecnologia al centro della nostra economia. Zaharieva si assicurerà che l’Unione investa di più e concentri la sua spesa su priorità strategiche e tecnologie rivoluzionarie”. Il compito affidato dalla von der Leyen alla collega bulgara non è cosa di poco conto. La Ue da almeno 10 anni ha programmi, attività e linee di finanziamento per le startup ma non c’è mai stata una forte convinzione politica sull’importanza di sostenere le nuove imprese ad alto contenuto tecnologico per garantire la crescita europea e, ancora di più, per non perdere terreno in quella che possiamo definire la nuova geopolitica della tecnologia e dell’innovazione. Forse a dare la scossa è stata l’intelligenza artificiale o forse anche l’inutilità di lunghe e defatiganti battaglie con le big tech statunitensi di cui alla fine nessuno, persone, governi e aziende, può fare a meno. O forse anche la complessa situazione dell’industria automobilistica continentale messa in ginocchio da scelte sbagliate o comunque poco lungimiranti.
Il rapporto Draghi è pieno di numeri impietosi sui ritardi europei. Ricordiamo qui solo quelli sulle tecnologie digitali più innovative. Circa il 70% dei modelli di base di Ia sono stati sviluppati negli Stati Uniti dal 2017 e tre “hyperscaler” statunitensi rappresentano da soli oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato Ue. L’informatica quantistica è destinata a diventare la prossima grande innovazione, ma cinque delle prime dieci aziende tecnologiche a livello globale in termini di investimenti nel settore quantistico hanno sede negli Stati Uniti e quattro in Cina. Nessuna ha sede nell’Ue. Bastano?
Non tutto, però, è perduto. Perché se in alcuni cambi ormai la competizione è assai dura se non impossibile (uno di questi è proprio l’AI), in altri l’Europa può ancora fare la sua parte. Un solo esempio, sostenuto da qualche dato presente nel Rapporto Draghi: il cleantech. Dal 2016 al 2021 l’Eu ha prodotto il 30% delle invenzioni green, rispetto al 19% di Stati Uniti e del 13% della Cina, che però sta recuperando velocemente. I brevetti vanno trasformati in prodotti da portare sul mercato, a livello globale, e le imprese capaci di farlo più velocemente sono le startup che in Europa fanno fatica a crescere (scalare, come si dice in gergo) perché non c’è un vero mercato unico (tante lingue, regole e culture diverse). E infatti una delle innovazioni normative che ci si aspetta dalla Commissaria Zaharieva è una sorta di Startup Act europeo che omogeneizzi il quadro normativo creando una sorta di figura giuridica unica a livello comunitario.
Certo, poi servono gli investimenti. Ma qui entriamo in un campo che non è solo istituzionale. Il pubblico può fare molto ma non può supplire più di tanto alla distrazione del privato, che in questo caso sono le aziende. Quelle americane comprano quattro volte il numero di startup di quelle europee. In media una grande azienda europea compra una, due startup ogni cinque anni contro tre, quattro di quelle americane e addirittura 12/15 di quelle della Silicon Valley, lì dove sono nati e risiedono i giganti tecnologici che occupano e preoccupano anche l’Europa. E infatti sul podio troviamo Google, Microsoft, Cisco (questi dati provengono dal recente report realizzato da Mind the Bridge con Crunchbase sulle acquisizioni di startup negli ultimi 25 anni)
La presa di coscienza è già un passo importante. La volontà politica sembra esserci. Ma perché l’innovazione non resti una moda d’inizio autunno ci sarà molto da fare per il nuovo governo europeo che si insedierà in dicembre.