Il blocco internazionale riceverà nuovi membri, aumentando la sua rappresentazione a livello internazionale. L’analisi sugli effetti per il resto del mondo del think tank Carnegie Endowment for International Peace
Tutto pronto per il vertice dei Paesi Brics nella città di Kazan, Russia, dal 22 al 24 ottobre. Ma, anche se il nome non è cambiato (nasce nel 2006 dalle iniziali dei suoi fondatori: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), questa volta la lista degli invitati sarà più ampia.
Nell’ultimo summit in Sudafrica erano arrivati nuovi membri, come ad esempio Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto e Arabia Saudita. Questa volta a volere entrare ci sono anche Turchia, Azerbaigian, Malesia e persino Cuba, sebbene le richieste formali non siano ancora state definite. Anche Thailandia, Kazakistan e Algeria sarebbero in fila per entrare.
Secondo un’analisi del think tank Carnegie Endowment for International Peace, il segnale che vuole inviare Vladimir Putin con questa “festa allargata” è molto chiaro: “Nonostante i grandi sforzi dell’Occidente per isolarla, la Russia ha molti amici in tutto il mondo”.
Tuttavia, alcuni analisti sostengono che la formazione di un blocco dei Brics+ ancora più esteso è l’evidenza che l’ordine globale si sta frammentando in blocchi rivali, grazie all’intensificarsi delle tensioni geopolitiche tra Est e Ovest e alla crescente alienazione reciproca tra Nord e Sud.
“Pechino e Mosca sono intenzionate a sfruttare il risentimento di alcuni Paesi nei confronti degli Stati Uniti – prosegue l’analisi – e dei suoi ricchi alleati mondiali per consolidare un contrappeso anti-occidentale al venerabile Gruppo dei 7 (G7), un processo che probabilmente paralizzerà la cooperazione globale all’interno di altre sedi multilaterali”.
L’espansione dei Brics sarebbe, dunque, la dimostrazione di “una crescente insoddisfazione globale e una determinazione a sfidare i vantaggi strutturali di cui le democrazie di mercato avanzate continuano a godere in un ordine globale che è stato per molti aspetti creato dall’Occidente, per l’Occidente”, sostiene Carnegie.
In questo scenario, il blocco dei Paesi emergenti si presenta come una valida alternativa per ridurre i privilegi esorbitanti di questi Paesi. Ma cambierà per davvero l’attuale ordine globale? “L’impatto finale dei Brics+ sarà probabilmente più misurato e incrementale – si legge nell’analisi -. Fornirà a un insieme eterogeneo di potenze emergenti e medie un veicolo per promuovere i loro interessi (a volte) sovrapposti e una piattaforma per armeggiare, o ‘bricoler’, come direbbero i francesi, con le regole e le istituzioni del sistema multilaterale”.
Un suggerimento per gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali è aumentare le prospettive per uno scenario senza scontri, mentre si prendono misure concrete per rispondere alle legittime richieste delle potenze emergenti e, allo stesso tempo, cercare di promuovere le loro aspirazioni.
“Come il G7 e il G20, il gruppo Brics ha lanciato una serie crescente di iniziative e partnership in molteplici aree tematiche, dall’energia alla salute allo sviluppo sostenibile. Il risultato è un impressionante e sempre più denso reticolo transnazionale di minilateralismo in rete, con una forte attenzione alla cooperazione Sud-Sud”, sottolinea il Carnegie.
Allo stesso tempo, però, l’eterogeneità politica, strategica ed economica del blocco dei Brics, con le loro rivalità geopolitiche all’interno, diluiscono la coerenza e limitano il suo impatto diplomatico.
Per l’Occidente, i Brics+ “sono un promemoria dei pericoli derivanti dall’ignorare le legittime richieste di Paesi e popoli in tutto il mondo per una maggiore gestione, influenza e potere nelle strutture di governance globale”, conclude il think tank. Ignorare o resistere a queste pressioni, anziché impegnarsi o accogliere, non farà altro che indurire le divisioni globali, incoraggiare i regimi autoritari e fornire aperture ad attori malintenzionati.
Una risposta più accertata sarebbe quella di trattare la creazione dei Brics+ come uno stimolo e un’opportunità per coinvolgere importanti potenze emergenti, tra cui paesi come Brasile, India, Indonesia, Sud Africa e Vietnam, che non hanno alcun desiderio di essere dipendenti della Cina, e costruire in questo modo un ordine globale più inclusivo.