Nel giorno del suo insediamento, se potessi dare un consiglio non richiesto a Rutte, gli ricorderei dei “Good old times”, i buoni vecchi tempi. In Europa c’è stata una guerra fredda durata dal ’49 al ’91. Nel 1967 venne pubblicato il famoso Rapporto Harmel, sui “Futuri compiti dell’Alleanza”, che indicava la politica verso l’allora Unione sovietica, fatta da una parte di deterrenza e dall’altra di dialogo. Due cose che non sono opposte
Il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, non è il primo olandese a ottenere la carica, tant’è vero che i Paesi Bassi sono diventati, con la nuova nomina, il primo stato per numero di segretari generali, e io stesso ho lavorato con il precedente neerlandese, Jaap de Hoop Scheffer, fino al 2008. Quindi questa non è una novità.
Jens Stoltenberg va via dopo dieci anni, e il primo commento da fare è che forse questo sia stato un periodo un po’ troppo lungo. Un decennio è tanto tempo, soprattutto passato al vertice di un’organizzazione che lavora per consenso. La sua permanenza è stata causata dalle due successive proroghe, nel 2022 e nel 2023 a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Quindi si tratta sicuramente di un veterano, ma al contempo credo sia una cosa positiva per l’Allenza che lasci l’incarico, perché dopo dieci anni il rischio è che una persona si fissi un po’ su certe politiche, in un contesto che nel frattempo può invece cambiare molto.
Naturalmente c’è poi il punto di vista politico, con Stoltenberg che veniva da un Paese, la Norvegia, che non è membro dell’Unione europea. Il che non è un problema di per sé, ma certamente avere un Paese come i Paesi Bassi che esprime un segretario generale vuol dire anche un rapporto con l’Ue più fluido e più facile. Non dimentichiamoci che Rutte è stato primo ministro del suo Paese per circa quattordici anni, nei quali ha avuto molto a che fare con il blocco del Vecchio continente. Penso, quindi, che quel rapporto fondamentale tra Nato e Ue possa sicuramente migliorare nel tempo. Essendo un consumato uomo di governo, tra l’latro, potrà anche far valere argomenti che non si limitano esclusivamente al 2% del Pil, ma che riguardino i rapporti politici di aiuto che l’Europa può dare e a dato agli Stati Uniti (per esempio in Afghanistan per molti anni). Insomma, secondo me può fare un discorso “europeo” anche da dentro la Nato.
Stoltenberg poi, essendo norvegese, era quasi naturalmente l’interprete di un gruppo di Paesi nordici, baltici e del nord-est che, anche legittimamente, hanno sempre fatto squadra. Rutte, invece, avrà probabilmente una visione un po’ più “centrale” in quella che è la composizione dei vari interessi nazionali all’interno della Nato. Perlomeno, aggiungerei, gli olandesi da sempre sanno che esiste il sud. Magari lo vedranno in maniera diversa da noi italiani, ma comunque sanno che è una cosa fondamentale di cui occuparsi. Per esempio, guardando al mondo arabo, Stoltenberg lo ha visitato pochissimo, andando forse in visita a un paio di capitali arabe, ma non più di questo.
Anche riguardo al nostro Paese, il rapporto di Stoltenberg è stato corretto, ma eravamo sempre uno dei tanti Paesi della Nato. Per un olandese, invece, l’Italia ha un peso importante, con una secolare tradizione di rapporti. Io stesso ho lavorato benissimo in qualità di deputy con de Hoop Scheffer, che è sempre venuto in Italia volentierissimo.
È naturalmente troppo presto per fare pronostici, tuttavia Rutte, essendo un politico abituato nel suo Paese a guidare governi di coalizione, potrebbe avere un linguaggio diciamo più “articolato” di Stoltenberg, che invece ha sempre avuto un modo di porsi molto corretto, ma anche molto specifico. Oggi la Nato ha, invece, 32 membri, e questo nella realtà dei fatti costituisce un problema importante per il suo “governo”, perché tenere insieme così tanti Paesi diversi è sempre più complicato. Con Stoltenberg si è avuto l’ingresso di Svezia e Finlandia, e adesso invece si avrebbe bisogno di calibrare questo allargamento settentrionale con delle politiche verso il sud. Sebbene l’impegno di portare verso il meridione l’attenzione della Nato dovrebbe essere assunto anche dal governo italiano, sicuramente nel periodo Stoltenberg abbiamo avuto un’alleanza il cui baricentro era spostato molto a nord. Con Rutte immagino che questo riallineamento sia più facile.
Guardando al delicato tema dell’Ucraina, bisognerà vedere quale sarà il clima generale. Il segretario generale della Nato non è il “capo” della Nato, che rimane un’alleanza politico-militare i cui proprietari sono i singoli governi dei Paesi membri. Presiede il Consiglio, è la persona di riferimento, ma non fa la politica della Nato, e dovrebbe parlare con il consenso dei governi alleati. Quindi bisognerà vedere quale sarà il mood dominante, soprattutto tra un mese e mezzo, dopo le elezioni statunitensi. Adesso è una cosa molto difficile da prevedere.
Il tema resterà, però, quello della ricerca di una de-escalation, con una ricerca di qualche pace. Adesso non sappiamo come Rutte deciderà di declinare questa politica. Certamente avrà le mani più libere del suo predecessore, nel senso che iniziando adesso non ha il timore di contraddirsi, può dire quello che vuole, mentre Stoltenberg ha parlato per circa otto anni (dei suoi dieci) di aggressione in Ucraina e così via. Sarebbe stato molto difficile per lui mostrare un approccio diverso. Naturalmente è impossibile prevedere come Rutte imposterà la sua dialettica, e fino ad oggi non si è espresso troppo, anche perché non aveva titolo a farlo.
In conclusione, nel giorno del suo insediamento, se potessi dare un consiglio non richiesto a Rutte, gli ricorderei dei “Good old times”, i buoni vecchi tempi. In Europa c’è stata una guerra fredda durata dal ’49 al ’91. Nel 1967 venne pubblicato il famoso Rapporto Harmel, sui “Futuri compiti dell’Alleanza”, che indicava la politica verso l’allora Unione sovietica, fatta da una parte di deterrenza e dall’altra di dialogo. Due cose che non sono opposte. Si andava a cercare con l’Urss un modo per provare ad arrivare a un accordo, e nel tempo reinserirla in un contesto europeo alla quale la Russia appartiene storicamente, in qualche modo. Questo si traduce oggi nel fatto che, a mio avviso, dobbiamo difendere l’Ucraina e la sua integrità internazionale al massimo delle possibilità, cercando con difficoltà un modo per arrivare a un dialogo con Mosca. Rutte dovrebbe cercare, quindi, di riprendere questo tipo di ragionamento del Rapporto Harmel, dialogo e deterrenza, perché gli consentirebbe di avere una gamma di strumenti molto maggiore rispetto alla confrontazione pura e semplice.
Durante la Guerra fredda esistevano, per esempio, programmi di cooperazione puramente scientifici con l’Urss. Questi programmi, pur nella loro assoluta neutralità politica, creavano comunque dei rapporti tra scienziati occidentali e sovietici, creando dei rapporti di convivenza reciproca e dialogo. Oggi si è calati in un’atmosfera, con un gruppo di Paesi che va dal Regno Unito, alle repubbliche baltiche, fino alla Polonia, che sono fortemente posizionati contro la Russia. Questo non è di per sé sbagliato, ma a questo andrebbe aggiunto anche un tentativo di avere un dialogo nel lungo periodo.
Naturalmente siamo solo all’inizio della segreteria di Rutte. Vedremo cosa ne dirà lui.