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Le due condizioni per il successo del Pnrr. Il commento di Scandizzo

Possiamo aspettarci effetti positivi dalla attuazione del Pnrr? La risposta è affermativa e le prime indicazioni dei progetti realizzati sembrano confermare impatti significativi sul tasso di crescita dell’economia. Ma ci sono due condizioni. Il commento di Pasquale Lucio Scandizzo

Il programma di investimenti necessario per rilanciare l’economia europea è stato quantificato nel rapporto Draghi in quasi 800 miliardi di euro per anno dal 2025 al 2030. Benché minori, gli investimenti programmati nella Ue a livello comunitario, sono già molto rilevanti. Stime autorevoli indicano la necessità di investimenti aggiuntivi di circa il 2% del Pil per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, con gli impegni più significativi nei settori dell’energia e dei trasporti (già inclusi in parte nel pacchetto Fit for 55, e una forte partecipazione del settore privato.

A ciò si aggiunge il programma RepowerEu con l’obiettivo di potenziare la resilienza energetica investendo 210 miliardi di euro entro il 2027. Per la transizione digitale nell’Ue si prevede una spesa annuale di 125 miliardi di euro, con importanti contributi dagli strumenti di finanziamento europei. Altri capitoli rilevanti sono la spesa per la difesa e gli investimenti per la ricostruzione in Ucraina, che si stimano intorno ai 500 miliardi di euro per il prossimo decennio. Infine, il programma EU4Health, volto a migliorare le politiche sanitarie dell’Ue, ha un budget di 5,3 miliardi di euro per il periodo 2021-2027.

Nel frattempo, è in pieno svolgimento il programma Next Generation Eu, di cui il Pnrr italiano è la componente più rilevante. Da un lato la congiuntura economica si presenta problematica, con la Germania in crisi e una attesa già delusa per un rimbalzo strutturale del tasso di crescita nell’Europa nel suo complesso. Dall’altro lato, la mancanza di capacità fiscale dell’Ue appare un ostacolo alla realizzazione anche degli investimenti che essa stessa ha programmato. Il potere di spesa per investimenti della Ue è, al momento stimabile intorno ai 250 miliardi per anno, di cui più della metà attribuibile al Next Generation Eu, una cifra che non basterebbe nemmeno ad avvicinarla ai 350 miliardi per anno necessari per il finanziamento della cosiddetta transizione verde.

Una parte notevole dei fondi deve perciò essere fornita dai capitali privati. Fin dal cosiddetto Piano Juncker l’Ue ha cercato di strutturare i suoi programmi in modo da favorire il coinvolgimento del settore privato negli investimenti pubblici, attraverso la partecipazione ai rendimenti e una leva finanziaria capace di assorbirne la componente primaria di rischio. L’inizio dell’applicazione del nuovo Patto di stabilità e crescita, con una inedita procedura di contenimento dei deficit di bilancio e di riduzione dei debiti sovrani, se possibile, rende ancora più importante il contributo privato alla formazione di capitale pubblico, soprattutto per le infrastrutture e la ricerca.

In un contesto caratterizzato da difficoltà strutturali di bilancio, di crescita anemica e di speranze europeiste largamente deluse, non meraviglia il fatto che si riaccenda l’interesse sulla efficacia degli investimenti pubblici. In Italia, in particolare, anche se tra ritardi e controversie, il frutto principale delle iniziative europee di rilancio della crescita, i progetti del Pnrr, sembrano avviati e perfino realizzati in una parte significativa. Quali sono i risultati che se ne possono anticipare? Gli effetti degli aumenti degli investimenti sono diversi da quelli della spesa corrente perché comprendono due impatti distinti sull’economia.

Il primo impatto si verifica nel cosiddetto “periodo di costruzione” e si sviluppa sulla domanda di beni e servizi a causa di un impulso alla spesa in conto capitale e alla conseguente creazione di reddito e di potere di acquisto. L’effetto è anticiclico, nel senso che agisce aumentando il reddito verso il suo livello potenziale, il valore di piena occupazione, dal quale può essersi temporaneamente discostato a causa di shock negativi temporanei. L’espansione dei consumi direttamente e indirettamente legata all’investimento determina quello che viene solitamente chiamato “moltiplicatore”, ma nel caso degli investimenti è importante notare che l’effetto espansivo è principalmente la conseguenza di un aumento della spesa in conto capitale, che influisce sulla composizione del bilancio pubblico e può avere conseguenze durature sulle capacità del governo e sulla spesa pubblica e privata.

Queste conseguenze sono importanti per i responsabili politici e includono il fatto che la spesa in conto capitale non tende a generare aspettative di persistenza da parte dei beneficiari, lasciando così il governo più libero dal peso degli obblighi politici derivanti da diritti creati dalle sue azioni. Mentre il primo impatto aumenta il livello di reddito rispetto al livello che l’economia può raggiungere per una data capacità produttiva, l’effetto più importante è però quello che si realizza nella fase operativa e che agisce sulla capacità produttiva e quindi sul potenziale di crescita dell’economia. Si verifica quando la spesa in conto capitale si trasforma in formazione di capitale effettivo, ad esempio in macchinari produttivi e, a causa del ruolo del governo, in un aumento della capacità produttiva delle infrastrutture o di altri beni pubblici messi in funzione.

Questo effetto (se l’investimento è stato correttamente selezionato dall’analisi costi-benefici) è sempre maggiore della spesa sostenuta dal governo per la sua attuazione. Un terzo impatto, complementare, che può accompagnare l’espansione del capitale pubblico, e che è attivamente promosso dal Pnrr, nasce dal fatto che gli imprenditori privati a loro volta espandono i loro investimenti determinando ulteriori effetti positivi sull’economia.

Possiamo aspettarci effetti positivi dalla attuazione del Pnrr? La risposta è affermativa e le prime indicazioni dei progetti realizzati sembrano confermare sia moltiplicatori di breve periodo maggiori dell’unità, sia impatti significativi sul tasso di crescita dell’economia. Questi ultimi, tuttavia, dipendono da due fattori cruciali:

  1. La continuità del programma di investimenti nel tempo, oltre la sua scadenza formale
  2. La capacità di gestire la riduzione del debito richiesta dal Patto di stabilità. Per gli effetti più importanti, che sono quelli di lungo periodo sul tasso di crescita, bisognerà attendere, ma stime preliminari suggeriscono che essi dovrebbero essere almeno di 0.10 punti percentuali per ogni punto percentuale di crescita del capitale pubblico come percentuale del Pil e forse molto più elevati se si riusciranno a realizzare le riforme previste.


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