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Come si muovono i partiti italiani sugli aiuti militari a Kyiv. L’analisi di Vignoli e Coticchia

Di Valerio Vignoli e Fabrizio Coticchia

La questione dell’invio di armi all’Ucraina è stata un’ulteriore occasione per osservare la riproposizione dello scontro tra partiti anti-establishment e moderati. L’analisi di Valerio Vignoli, assegnista di ricerca in scienza politica all’Università di Firenze, e Fabrizio Coticchia, professore ordinario di scienza politica all’Università di Genova

Gli sviluppi estivi nel conflitto russo-ucraino, con gli attacchi delle truppe di Kyiv in suolo russo, hanno riacceso il dibattito tra i partiti italiani (ma anche all’interno di essi) sul supporto militare italiano all’Ucraina, prorogato fino alla fine del 2024 da un decreto-legge approvato a febbraio. La Lega, già critica delle sanzioni alla Russia in campagna elettorale, ha infatti colto l’occasione per ribadire di essere fermamente contraria a ulteriori invii di armi qualora esse vengano utilizzate per scopi offensivi, smarcandosi così dal resto della maggioranza di governo. L’incursione ucraina ha contribuito inoltre a riaffiorare alcune divisioni all’interno del Partito democratico, evidenti durante il dibattito per l’approvazione dell’ultimo pacchetto di aiuti militari, e ribadite dalle scelte difformi dei deputati su una risoluzione al Parlamento europeo.

Quali sono allora le posizioni dei partiti italiani sul tema degli aiuti militari all’Ucraina? E, soprattutto, su quali valori e narrazioni si fondano? In un articolo di recente pubblicazione su “South European Society and Politics”, abbiamo cercato di rispondere a queste domande. Lo studio esamina i voti e i dibattiti parlamentari, triangolando fonti quali interviste e software per l’analisi del contenuto degli interventi. La ricerca rivela, in linea con la letteratura recente in materia, che fattori quali l’ideologia (e in particolare i core value, i valori chiave) sono fondamentali per capire il comportamento dei partiti in politica estera e di difesa.

In termini generali, i dibattiti sui primi due decreti-legge riguardanti il supporto all’Ucraina – il primo discusso e approvato a poca distanza dall’invasione russa sotto il governo Draghi e il secondo nel gennaio del 2023 sotto il governo Meloni – hanno fatto complessivamente riemergere lo scontro tra partiti che alcuni autori definiscono come “moderati” da quelli considerati “estremi/radicali”. Uno contrasto già evidenziato su altri temi di politica estera e di difesa, come le missioni all’estero. A un asse centrista (Partito democratico, Forza Italia, e Italia Viva-Azione) che ha espresso il suo convinto favore all’invio di armi si è infatti contrapposto un insieme di forze più radicali (Alleanza verdi e sinistra, Movimento 5 Stelle e Lega), scettiche, se non totalmente contrarie, sulla questione. A rompere questo schema ci ha pensato però Fratelli d’Italia, un partito generalmente classificato (almeno fino al momento delle elezioni 2022) come di “destra radicale”, che tuttavia ha sostenuto in maniera convinta l’invio di aiuti bellici all’Ucraina. All’interno di dibattiti permeati da una generale e condivisa preoccupazione verso confronto militare sempre più aperto, in piena continuità con la cultura strategica italiana, a confrontarsi sono state due narrazioni.

La narrazione “critica” si è ancorata al timore di una escalation (persino nucleare) del conflitto, l’enfasi sulla diplomazia e una certa dose di antiamericanismo. Quella “a supporto” si è basata invece sull’interpretazione della guerra come scontro di valori tra democrazia e dittatura, il rispetto del diritto internazionale e l’appartenenza a un sistema di alleanze internazionali. Così come le logiche di governo hanno contribuito a nascondere parzialmente queste divisioni in sede di voto, una certa fatica per alcuni partiti critici sull’invio di armi all’estero ha contribuito ad acuirle. E così al no della sola Sinistra Italiana (nemmeno di tutta LeU) per il primo decreto, si è aggiunto il voto contrario dei pentastellati nel secondo. A dispetto di tutte le polemiche, la Lega ha continuato e (continua) a votare a favore del supporto all’Ucraina.

Ogni partito in parlamento ha però avuto una sua lettura del conflitto in corso e, di conseguenza, della decisione di inviare equipaggiamento militare a Kyiv. Tra i contrari la sinistra radicale (Sinistra Italiana-Avs) è quella che talvolta ha utilizzato maggiormente una retorica della de-escalation, sfruttando l’occasione anche per ribadire la necessità di tagliare le spese militari. Già sul finire del governo Draghi, il Movimento 5 Stelle ha abbracciato questa retorica pacifista, causando peraltro la fuoriuscita dal partito dell’ex leader del partito e ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Tornato ai banchi dell’opposizione, il Movimento si è fatto ancora più critico rispetto all’invio delle armi in Ucraina. Più circoscritta e “utilitarista” invece la narrazione del Carroccio che ha sottolineato come il supporto militare da parte dell’Occidente non abbia contribuito a placare un conflitto in un’area sensibile per gli interessi nazionali ma anzi l’abbia esacerbato. Il divario tra il voto, costantemente a favore dell’invio di armi, e la retorica, assai critica rispetto a tale decisione, si rivela come un tratto caratterizzante degli interventi della Lega.

Chi ha sostenuto l’invio di armi l’Ucraina ha invece messo l’accento sul diritto dell’Ucraina a difendere la propria integrità territoriale e sui valori liberali. Il Partito democratico, in particolare, ha incentrato la propria narrazione sull’importanza di mandare un messaggio forte al regime di Vladimir Putin a tutela dei principi democratici e del diritto internazionale. L’importanza di allinearsi con i principali partner internazionali (Nato in primis) nel supporto militare a Kyiv, emerge con maggiore forza nelle argomentazioni di Azione-Italia Viva, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Considerate alcune passate dichiarazioni di stima da parte di Giorgia Meloni per Putin e la sua visione conservatrice della società (ben lontane, certo, dal rapporto pre-2022 che avevano Lega e Silvio Berlusconi con il leader russo), in molti hanno interpretato questa svolta atlantista come diretta ad accrescere la credibilità internazionale del partito in vista delle elezioni. Non bisogna però dimenticare come Alleanza Nazionale già negli anni Novanta, gli anni di formazione politica della stessa Meloni e di altri membri di spicco del partito, avesse già fatto una scelta di campo netta in tal senso. La solidità mostrata da Fratelli d’Italia, anche a discapito di tendenze divergenti nel proprio elettorato, contribuisce a rimarcare il sostrato ideologico della posizione a supporto dell’invio di armi all’Ucraina, pur all’interno di un approccio comunicativo di basso profilo sul tema (a fronte di una opinione pubblica riluttante).

In definitiva, la questione dell’invio di armi all’Ucraina è stata un’ulteriore occasione per osservare la riproposizione dell’ormai consolidato scontro tra partiti anti-establishment e moderati in Italia e non solo. Il caso deviante di Fratelli d’Italia ci ricorda però d’altra parte le specificità delle questioni di sicurezza e difesa nel determinare le divisioni politiche interne e come tali divisioni siano maggiormente basati su differenze ideologiche rispetto a opportunismi del momento.


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