Meno nascite e meno forza di lavoro. Il governo di Pechino ha deciso di modificare l’età pensionabile dei lavoratori in un momento di crisi demografica e di occupazione giovanile. Ecco cosa pensano gli esperti di questo grande cambiamento
Non solo l’Europa è alle prese con la questione delle pensioni. Per la prima volta dal 1950, la Cina pensa di aumentare l’età pensionabile, che è una delle più basse nel mondo. Il motivo: ci sono sempre meno lavoratori, mentre aumenta il deficit delle risorse per pagare le pensioni. Così, il governo di Pechino ha deciso di cambiare le normative e gli uomini non andranno più in pensione a 60 anni ma a 63 anni. L’età pensionabile per donne impegnate in mestiere manuali, invece, passa da 50 anni a 55 anni e per chi occupa posti amministrativi di ufficio da 55 anni a 58 anni.
Secondo quanto riferito dall’emittente tedesca Deutsche Welle, le autorità cinesi prevedono un cambiamento progressivo nei prossimi 15 anni, partendo dal 2025. L’agenzia statale Xinhua ha confermato che le persone possono scegliere di ritardare il loro pensionamento fino a tre anni.
Ma cosa comporta questa scelta di Pechino in termini economici e sociali? Yi Fuxian, analista dell’Università di Wisconsin-Madison, ha spiegato a DW che nei prossimi anni la Cina “può affrontare maggiori sfide come una società invecchiata, rispetto a gran parte dei Paesi sviluppati. La Cina ha mantenuto l’età pensionabile senza cambiamenti fino ad ora, e il cambiamento attuale è ancora insufficiente”. L’analista pensa che, se Pechino avesse fatto queste modifiche prima, molti problemi attuali si isarebbero potuti evitare.
Nel 2023, l’indice di natalità della Cina è arrivato ad un minimo storico: 6,39 nascite per ogni 1000 persone. Il totale della popolazione è sceso di più di due milioni per il secondo anno consecutivo. Negli ultimi anni sono state promosse molte politiche per incentivare il matrimonio e la maternità, ma senza molto successo.
Per Eli Friedman, esperto di politiche del lavoro cinese dell’Università di Cornell, l’aumento dell’età pensionabile contribuisce poco alla riduzione della forza lavoro in Cina. Lui ha spiegato che un elemento chiave è nel ruolo dei nonni, che si occupano di seguire i bambini. Se si chiede a questa generazione di continuare a lavorare, meno persone saranno disposte o avranno tempo per tenere i più piccoli della casa.
Friedman sostiene che è necessario un cambiamento strutturale del sistema di benessere che aggiusti l’età pensionabile. Così com’è adesso, il sistema di pensioni cinese è molto decentralizzato e presenta molte varianti. Rimandare il momento in cui si va in pensione significa che molte meno persone lasceranno il mercato del lavoro e ci saranno meno posti di lavoro disponibili per i più giovani. Questo in un momento in cui l’indice di disoccupazione dei giovani è già molto alto. A settembre del 2024, l’Ufficio di Statistica Nazionale della Cina indicava il 18,8% di disoccupazione giovanile.
Inoltre, la nuova politica cinese chiede ai lavoratori di contribuire di più al sistema sanitario e pensionistico. “Per 2039, i lavoratori dovranno avere contribuito per almeno 20 anni per avere diritto alle loro pensioni”, si legge su DW. Questo cambiamento avviene mentre si pensa che il fondo delle pensioni della Cina è sull’orlo del collasso. Già nel 2019 l’istituto di ricerca statale Accademia Cina di Scienze Sociali aveva avvertito di un possibile crollo nel 2035 (e il Covid-19 non aveva ancora colpito l’economia cinese).