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Ripensare la relazione tra Stato e mercato nell’era post-globalizzazione. Un’analisi necessaria

La sfida per le classi dirigenti è intensa e complessa, le imprese non possono più agire esclusivamente come entità autonome, ma devono considerare il contesto politico e sociale in cui sono inserite e lo Stato deve tracciare nuove linee regolatorie che promuovano non solo la crescita economica, ma anche il benessere collettivo. La vera innovazione risiede non solo nelle tecnologie o nei modelli di business, ma anche nella capacità delle classi dirigenti di rispondere con lungimiranza ai cambiamenti del nostro tempo

Nel recente numero di Harvard Business Review Italia, Giuseppe Conte, attuale capo del personale di Inps e riconosciuto come il migliore Hr della Pubblica amministrazione nel 2024 secondo Capital, insieme al giornalista e saggista Salvatore Santangelo, offre una riflessione incisiva sul futuro delle classi dirigenti nel delicato equilibrio tra pubblico e privato.

In un contesto politico ed economico dove i confini tra Stato e mercato si confondono sempre più, l’analisi proposta si distingue per la sua provocatoria originalità, offrendo una comprensione profonda delle interazioni complesse che caratterizzano questi due ambiti, in un’epoca segnata da sfide senza precedenti.

L’articolo prende le mosse da una premessa fondamentale: comprendere la relazione tra Stato e mercato richiede un’attenzione particolare al contesto storico e culturale. Richiamando il pensiero di Ortega y Gasset, i due autori evidenziano come le politiche pubbliche siano influenzate da tensioni esterne e ambizioni geopolitiche.

Questa prospettiva storica è essenziale non solo per analizzare il presente, ma anche per intravedere le direzioni future. Ciò ci invita a riflettere su come le decisioni politiche, economiche e sociali siano il frutto di una lunga eredità di conflitti e fragili equilibri.

Il saggio non si limita a un’analisi retrospettiva, ma mette in luce come le problematiche attuali – dalla pervasività dei social media alle crisi geopolitiche, economiche e sanitarie – richiedano una nuova consapevolezza da parte delle classi dirigenti e delle tecnostrutture pubbliche.

Viene evidenziato un ritardo culturale, sia nel settore privato che in quello pubblico, frutto di un’eccessiva fiducia nella globalizzazione che ha distorto le priorità e le visioni strategiche. In questo contesto, il richiamo alla responsabilità e alla lungimiranza emerge come un tema centrale, invitando a riflessioni profonde su come le scelte attuali possano plasmare il futuro.

Uno degli aspetti più rilevanti affrontati è il concetto di “policrisi”, che suggerisce una crisi multifattoriale che permea diversi ambiti della vita sociale ed economica. Questa policrisi non è una mera somma di problemi isolati, ma un fenomeno interconnesso che richiede risposte collaborative e coordinate. L’approccio tradizionale, che tende a separare le dinamiche del mercato da quelle dello Stato, risulta inadeguato in un mondo sempre più complesso e interdipendente.

In questa nuova era, la relazione tra Stato e mercato deve evolversi verso una sinergia cooperativa. A questo proposito, il rapporto di McKinsey “Geopolitical resilience: The new board imperative” sottolinea l’importanza di una pianificazione strategica che consideri l’interazione crescente tra sfide geopolitiche e operazioni aziendali.

Conte e Santangelo ci invitano a riflettere su come aziende e istituzioni pubbliche possano navigare un contesto in rapida evoluzione, dove le certezze del passato sono state sostituite da incertezze e sfide globali.

L’analisi suggerisce che il neo-liberismo ha generato un’ibridazione paradossale tra pubblico e privato, spesso a scapito del prestigio e dell’autonomia della dirigenza pubblica. Tuttavia, le recenti crisi hanno dimostrato che il ritorno a un interventismo pubblico non è solo auspicabile, ma necessario.

Le catene di approvvigionamento si stanno ridefinendo, mentre nuove fonti energetiche e settori tecnologici emergono come pilastri essenziali per lo sviluppo economico e la sicurezza nazionale.

In questo contesto, il futuro della governance richiede una visione olistica che superi le tradizionali separazioni tra Stato e mercato. Aziende e istituzioni pubbliche devono collaborare come comunità coese, condividendo obiettivi e interessi comuni. Ciò implica un ripensamento delle regole e delle pratiche che governano le relazioni tra pubblico e privato, con un forte accento sulla responsabilità sociale delle imprese e sulla necessità di un intervento statale proattivo.

La sfida per le classi dirigenti è intensa e complessa. Scrivere regole che stimolino e proteggano richiede non solo un’analisi approfondita, ma anche una visione lungimirante. Le imprese non possono più agire esclusivamente come entità autonome, ma devono considerare il contesto politico e sociale in cui sono inserite. D’altro canto, lo Stato deve tracciare nuove linee regolatorie che promuovano non solo la crescita economica, ma anche il benessere collettivo.

Siamo di fronte a un invito provocatorio, ma ben fondato, a riconsiderare le basi della nostra governance. In un mondo in cui la globalizzazione ha ceduto il passo a una nuova era di protezionismo e incertezza, la cooperazione tra Stato e mercato è più cruciale che mai. Solo attraverso un impegno congiunto, consapevole e responsabile sarà possibile affrontare le sfide emergenti e costruire un futuro sostenibile per le generazioni a venire.

La vera innovazione risiede, pertanto, non solo nelle tecnologie o nei modelli di business, ma anche nella capacità delle classi dirigenti di adattarsi e rispondere con saggezza e lungimiranza ai cambiamenti del nostro tempo.



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