Non si può avere una centralizzazione delle politiche monetarie e sociali senza avere, nel contempo, la possibilità di più consistenti entrate proprie da aggiungere a quelle, per ora davvero esigue, attribuite ad essa dai Trattati europei. Dobbiamo convincerci che le risorse proprie non sono solo il debito. Sono anche tasse europee sulle quali basare l’emissione di debito. Il commento di Franco Gallo, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, al dibattito del Gruppo dei 20 sull’Europa a una svolta
La prima osservazione che, data la mia dimestichezza con le problematiche fiscali, mi è venuto spontaneo fare dopo la lettura del rapporto Draghi riguarda l’applicazione del principio di unanimità. Giustamente Draghi sottolinea con forza la necessità di introdurre rilevanti deroghe all’applicazione di tale principio. La sottrazione della materia fiscale alla volontà del Parlamento europeo produce, infatti, senza dubbio una forte lesione del principio di legittimazione democratica. Se per proteggere le entrate degli Stati membri e garantire un ambiente fiscale equo per tutti è necessaria un’azione coordinata a livello dell’Ue, è infatti del tutto evidente che questa azione non è possibile se la regola dell’unanimità rappresenta – come tuttora rappresenta – una norma inderogabile.
È perciò più che comprensibile la posizione assunta al riguardo dalla stessa Commissione Ue contro la permanenza di tale regola (Comunicazione Ue Com 2019) 8 final e Risoluzione del 4 maggio 2022). Specie negli ultimi anni essa ha intensificato gli sforzi per promuovere un sistema fiscale europeo in cui il voto a maggioranza qualificata rappresenti la norma alternativa. Finora non ha ottenuto però alcuna risposta positiva da parte del Consiglio europeo, che è sempre stato irremovibile nel difendere il potere di veto.
Eppure, non può negarsi, e Draghi lo conferma con convinzione, che l’Ue avrebbe sempre più bisogno di strumenti decisionali efficaci per rispondere alle sfide odierne e per realizzare a pieno i benefici del Mercato unico e dell’Unione economica e monetaria. Continuare ad escludere a livello politico il Parlamento europeo, direttamente eletto, dal processo decisionale in un settore di grande rilevanza politica come la tassazione non può non essere in contrasto con gli obiettivi democratici dell’Unione.
È evidente che lo strumento più pratico per passare dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata dovrebbero essere, perciò, le cosiddette clausole passerella, disciplinate dagli artt. 48 e 192, par. 2 del Tfue su cui non è il caso di soffermarci in questa sede. Quello dell’unanimità è solo uno dei tanti problemi che compongono l’ordito istituzionale su cui il Gruppo dei 20 dibatte da tempo. Spetterà nei prossimi anni ai singoli Stati dell’Europa e agli organi comunitari decidere di ampliarlo e di riempirlo di contenuti soprattutto sul piano della giustizia distributiva e del finanziamento della spesa sociale.
Se nell’ambito della futura legislazione europea la tutela dei diritti sociali e del principio fondamentale di uguaglianza non sarà presa nella dovuta considerazione, il rischio che si corre è che, pur vigendo la Carta di Nizza sui diritti sociali inviolabili, la disciplina delle risorse finanziarie che ne deve garantire l’effettiva soddisfazione rimanga solo nel quadro delle competenze e delle responsabilità degli Stati membri. Essa continuerà, perciò, ad essere sottoposta alle discutibili “trazioni” conseguenti all’avvicendarsi nei dibattiti politici nazionali degli orientamenti ideologici a volte neoliberisti, a volte liberal-sociali, a volte social-democratici.
Se invece, come sembra consigliare il Rapporto Draghi, si volesse consentire all’Ue di approntare un sistema fiscale che la metta in grado di sviluppare consone politiche economiche e finanziarie di impronta solidaristica, bisognerebbe allora prevedere, con un solenne atto comunitario che per ora non c’è, la possibilità di farlo autonomamente esercitando a tal fine poteri normativi propri e di tipo garantistico. Dobbiamo riconoscerlo: non si può avere una centralizzazione delle politiche monetarie e sociali senza avere, nel contempo, la possibilità di più consistenti entrate proprie da aggiungere a quelle, per ora davvero esigue, attribuite ad essa dai Trattati europei. Dobbiamo convincerci che le risorse proprie non sono solo il debito. Sono anche tasse europee sulle quali basare l’emissione di debito.
È in questo contesto istituzionale che assume un valore determinante l’invito rivolto da Draghi ai vertici dell’Ue affinché dedichino le loro energie non solo a consolidare le istituzioni comunitarie, ma anche a ricercare le migliori condizioni per investire massicciamente nella reindustrializzazione, nella transizione ecologica, nell’autonomia strategica e nello sviluppo e controllo dell’Intelligenza Artificiale. Per affrontare le grandi sfide del XXI secolo l’Unione dovrà fare molti passi in più, a costo anche di procedere secondo la formula dei c.d. “cerchi concentrici”. Essa è una potenza economica di primo piano, ma non dispone delle risorse e degli strumenti per agire con efficacia.
Finora ha cercato con fatica di muoversi in questa direzione, presentando il Piano industriale del Green Deal, varando un importante regolamento sull’Intelligenza Artificiale e tanto altro ancora. Ma non è abbastanza. Dovrebbe dotarsi sul piano economico, sociale e fiscale di mezzi che siano all’altezza delle proprie ambizioni e superare il suo status di potenza regolatoria, per diventare o tornare ad essere una vera potenza politica.
Per raggiungere questo obiettivo essa non solo dovrà avere sul piano istituzionale un bilancio centrale e una fiscalità all’altezza del suo ruolo; dovrà anche accelerare il suo processo di sviluppo verso una vera e propria comunità politica sovranazionale, dotata di quella che è stata chiamata da Macron “l’autonomia strategica europea”, ossia la capacità del vecchio continente di emanciparsi dalla dipendenza tecnologica, energetica e militare delle altre potenze mondiali. Non sarà un’operazione semplice in un contesto in cui gli Stati membri non sono in grado di concordare neppure una linea comune per il Mediterraneo. In questo contesto il Rapporto Draghi deve purtroppo considerarsi un avvertimento che ha per ora solo la finalità di scuotere la leadership europea dall’attuale paralisi.