A 35 anni dalla caduta del Muro, ci troviamo in un mondo diventato multipolare o meglio apolare, caratterizzato da trasformazioni magmatiche, in cui nessuna potenza singola riesce a dominare il sistema internazionale. La storia non solo non ha smesso di esistere ma si è messa a correre. La geopolitica mondiale si è fatta sempre più complessa, e non vediamo emergere i dirigenti politici del cambiamento come è avvenuto in quel 1989. L’analisi di Francesco M. Talò, ambasciatore, già consigliere diplomatico del presidente del Consiglio e rappresentante permanente d’Italia alla Nato
Un giorno non vale l’altro. Alcune date, e alcuni uomini, entrano nei libri di storia. È importante riflettere sul modo in cui l’uomo incide sul tempo con persone che letteralmente fanno la storia. Il 9 novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino segnò un momento decisivo. Fu l’inizio della fine del mondo bipolare, con il suo confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, e l’inizio di un periodo di illusione unipolare.
Il politologo Francis Fukuyama interpretò quel momento come la “fine della storia”, convinto che il modello capitalista- liberale avesse trionfato definitivamente. Tuttavia, dal quel 9/11 (del 1989) all’11/9 (strana cabala numerica!) tale ottimismo venne spazzato via. L’attentato dell’11 settembre 2001 (altra data per i libri di storia) abbiamo avuto la consapevolezza dell’inizio di una nuova era di instabilità. Quel mondo unipolare, considerato il compimento di un ciclo storico, crollò di fronte all’avanzare di forze imprevedibili e caotiche.
A 35 anni dalla caduta del Muro ci troviamo in un mondo diventato multipolare o meglio apolare. Un mondo caratterizzato da trasformazioni magmatiche, in cui nessuna potenza singola riesce a dominare il sistema internazionale. È quindi fondamentale ricordare l’evento del 1989 per evitare assurde ed egoistiche nostalgie della Guerra fredda. Io il Checkpoint Charlie l’ho attraversato e ho vissuto un periodo sufficiente nel grigiore oppressivo della Repubblica democratica tedesca per ricordare la differenza di vita tra i due lati di un punto di controllo per attraversare il Muro, che non era un’attrazione turistica tristemente variopinta come oggi, ma la frontiera tra due mondi contrapposti: quello della libertà e quello del comunismo.
Trovo estremamente grave dimenticare che metà dell’Europa viveva sotto l’oppressione di regimi disumani, in condizioni di povertà e privazione di dignità. La caduta del Muro fu un momento di liberazione per milioni di persone, simbolo della fine di un sistema che si rivelò essere un gigante con i piedi d’argilla. Molti Paesi dell’Europa centro-orientale hanno visto una trasformazione economica e sociale incredibile. Polonia, Repubbliche baltiche e Cechia hanno compiuto progressi straordinari.
Nel complesso, la caduta del Muro ha rappresentato un ritorno all’“ordine naturale” dell’Europa, come suggerì Papa Giovanni Paolo II con la sua metafora dei “due polmoni” dell’Europa, quello occidentale e quello orientale, che finalmente potevano respirare insieme. Sono aspetti dobbiamo ricordare mentre riflettiamo su quanto è accaduto negli scorsi decenni e quindi gli sviluppi in corso. Questo periodo di rinnovata libertà e prosperità non è stato esente da sfide. Negli ultimi 35 anni la storia non solo non ha smesso di esistere ma si è messa a correre.
La geopolitica mondiale si è fatta sempre più complessa, e non vediamo emergere i dirigenti politici del cambiamento come è avvenuto in quel 1989 con persone coraggiose che hanno compreso la necessità di voltare pagina. Se Giovanni Paolo II, Ronald Reagan, Lech Walesa e lo stesso Helmut Kohl (che pure era cancelliere di un Paese che ha fatto della cautela la propria parola d’ordine) si fossero inchinati al totem della stabilità come bene assoluto, il corso della storia sarebbe stato diverso. Questo è il ruolo nella storia di persone che guidano i cambiamenti anziché subirli o resistere a essi, leader politici dei quali avvertiamo la mancanza.
In questo contesto la Nato ha dimostrato una grande capacità di adattamento, sopravvivendo alla scomparsa del suo avversario storico, l’Unione Sovietica. Questo ha mostrato che la Nato non è “un’alleanza contro”, ma “un’alleanza per”: per la difesa di valori condivisi, per la protezione della sicurezza comune. Il numero degli alleati ha continuato a crescere, a testimonianza del bisogno di un’organizzazione in grado di garantire sicurezza. Nonostante questi successi, il periodo successivo alla caduta del Muro ha anche visto il fallimento di alcune opportunità.
Dopo il crollo del blocco sovietico, il mondo avrebbe potuto adottare un nuovo modello di cooperazione internazionale, ma il rapporto con la nuova Russia non è decollato e questo, insieme alle difficoltà nel gestire le crisi emergenti, ha creato un vuoto di potere. Oggi ci troviamo di fronte a tre grandi teatri di crisi: l’Ucraina (con la fallimentare ma perdurante guerra di aggressione di Putin al Paese vicino), il Medio Oriente (con il moltiplicarsi di focolai di conflitto intorno all’insoluta questione israelo-palestinese) e l’Estremo oriente (con varie aree di tensione: penisola coreana, stretto di Taiwan e mar Cinese meridionale). Sono crisi ormai interconnesse.
Il pericolo è che queste tensioni convergano, trasformandosi in un unico grande scontro, come evocato da Papa Francesco quando dieci anni fa parlò di una “Terza guerra mondiale a pezzi”. Il mondo di oggi, 35 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, è diverso da quello che molti avevano immaginato. L’illusione di un mondo pacificato, dominato da un unico modello politico- economico, si è infranta di fronte a una realtà più complessa e difficile da governare.
Il futuro della cooperazione internazionale dipenderà dalla capacità di mantenere la coesione del mondo libero e la consapevolezza di essere portatori di un modello che si è dimostrato superiore nel vincere la Guerra fredda contro le autocrazie e lo è tuttora, rispetto ai sistemi autoritari, che solo in apparenza e nel breve periodo possono essere percepiti come più efficaci. La libertà è più forte ed è vincente rispetto ai muri dell’oppressione.
Formiche 208